il foglio della moda
Trovare Ferré a Venice Beach
A quindici anni dalla scomparsa, un creativo californiano ne riscopre la lezione. Ma il marchio è sparito
Venice Beach, California, fine maggio 2022. Presentazione della sfilata Dior Homme estate 2023 e delle collaborazioni creative che hanno affiancato lo stilista en titre, Kim Jones. Parla il giovane creativo Eli Russell Linnetz, vincitore dell’LVMH Prize 2022. Ha trentuno anni, un marchio di moda hyper-cool nato due anni fa definito in acronimo, ERL, un passato piuttosto corposo come stage-sound-set designer, fotografo, produttore per nomi come Kid Cudi, Lady Gaga e Woody Allen, e per stylist-produttore di editoriali di moda per Justin e Hailey Bieber, Shawn Mendes, Selena Gomez e Grimes. Prende il microfono e dice queste parole: “Ci siamo ispirati agli archivi di Dior partendo dall’anno della mia nascita, il 1991. Era il periodo unico di Gianfranco Ferré alla direzione creativa, che ci è sembrato perfetto per interpretare questo momento. L’idea di un certo massimalismo che pervade tutta la collezione arriva proprio da lì, e anche da un lato del mio universo estetico”. Vedere come un ragazzo che ha circa la metà dei miei anni, che è nato e cresciuto in California respirando pop, abbia colto perfettamente lo spirito di Gianfranco Ferré nell’aerea, rigorosissima idea della collezione, è stato un colpo al cuore. Un momento di pura gioia.
Fra pochi giorni, il 17 giugno, ricorreranno i quindici anni dalla morte dello stilista che tutto il mondo definiva “l’architetto della moda”. Io che ho collaborato con lui sostanzialmente dal giorno successivo alla mia laurea fino alla fine dei suoi giorni, e poi ancora per i tredici anni di vita della Fondazione Ferré, insieme con tutti gli intimi lo chiamavo il “signor Ferré”. La Fondazione ha cessato di esistere meno di un anno fa; tutto l’archivio, a cui abbiamo lavorato giorno dopo giorno, è confluito per donazione dalla fine del 2021 nel Centro Ricerche Gianfranco Ferré, coordinato dal Dipartimento di Design del Politecnico di Milano. I ricercatori dell’ateneo hanno aperto un account Instagram sul quale è stato caricato tutto il lavoro compiuto dalla Fondazione e il 9 giugno, apriranno al pubblico la preziosa sede disegnata da Franco Raggi per il Fuorisalone. Che dire. Il marchio è tuttora di proprietà della società emiratina Paris Group: lo acquisì dopo due anni di commissariamento seguito all’era IT Holding, nel 2011, chiudendo poi le attività in Italia nel 2014, ad eccezione del Medio Oriente. L’archivio venne salvato da un probabilissimo trasferimento a Dubai grazie a una mossa coraggiosa del braccio destro del signor Ferrè, Rita Airaghi. Per qualche tempo giunsero voci di stocchisti Ferré in paesi remoti, perfino in Iran. Poi, il nulla. Il lascito culturale, sartoriale, semantico del signor Ferré sembrava perduto, dissolto per sempre in una manciata di anni. E invece no. Oggi lo ritrovo, citato con ammirazione e competenza, in Eli. Ha saltato una mezza generazione di creativi, e ora rieccolo, immerso nella contemporaneità. In che cosa consiste l’eredità di Gianfranco Ferré? In primo luogo va considerata la progettualità, la concezione dell’abito come, per dirla con le sue parole, “un intervento ragionato sulle forme da operare sempre in relazione alla forma primordiale, quella del corpo umano”. Progettualità quindi coerenza, ovvero visione della collezione ben distante da un susseguirsi puro e semplice di capi, bensì come sequenza coerentemente armonica, scandita con rigore studiato, intenzionale, seppur fluido, quale “racconto globale” coeso. E ancora: la proposta di una femminilità, ma anche di una mascolinità, consapevoli, marcatamente indipendenti, e al tempo stesso non evidenti né immediate, persino altere, esattamente come il suo glamour. Massimalista, eppur fiorito di magia e di incanto, di poesia e di slanci. Infine: il gioco calcolato al millesimo, e proprio per questo capace sovente di stupire, sia con le strutture sia con le materie, che si estrinseca in un caleidoscopio di mescolanze, sovrapposizioni, asimmetrie cercate, dettagli inattesi.
Certo, è arduo affermare che questi codici siano divenuti legge universale. Però hanno messo radici. Qualche esempio per segni e per tracce. Pur essendo il DNA del brand così british, lontano mille miglia da quello Ferré, ravvedo definizioni decisamente Ferré nella bella parata di giacche da tailleur dell’ultima collezione a firma di Sarah Burton, direttrice creativa di McQueen: con le maniche enfatizzate a jambon, con la baschina segnata, solcata da tagli strutturali, illuminata da cascate di lucentezza o da grafismi coraggiosi, sul pantalone a sigaretta. È la power woman degli anni Ottanta, riveduta e corretta, decisamente “liberata” e ammorbidita, più sciolta nel vivere il capo che indossa. C’è Ferré nelle giacche e negli spolverini pulitissimi che perdono le maniche di Thom Browne (Ferré era geneticamente propenso all’addizione, ma non si peritava di togliere, togliere, togliere…). Senza il timore di cadere nella blasfemia, è forse sbagliato sostenere che i completi pantalone opalescenti di Alessandro Michele di Gucci ritrovino l’osmosi severità/glamour che già è stata dell’architetto? Ed eccoci allora e appunto a Peter Do, vietnamita, approdato a Philadelphia a quattordici anni, diploma al FIT, esperienze professionali presso Céline e Derek Lam. Le sue collezioni lavorano su tagli autoriali nei completi giacca-pantalone-soprabito, su una cauta scioltezza che abbina spolverini e pantaloni a essenziali bluse bianche, su centimetri “over”, lembi asimmetrici e inaspettate sovrapposizioni, tutto riportato immediatamente all’ordine nell’insieme sempre nitido del look, del vezzo del grande fiore stampato (Ferré in verità prediligeva puntarli) in corrispondenza del seno o della spalla, delle trasparenze mai eccessive, … Si giunge persino alla citazione: camicia-abito sopra il pantalone punk in pelle: Peter Do Primavera-Estate 2022, ovvero Gianfranco Ferré Autunno-Inverno 2003-2004, indossato dall’indimenticabile Stella Tennant. Potrei giocare alle citazioni per ore, e per infinite righe, ma non credo renderei appieno la grande lezione del signor Ferré: la sua, infatti, travalica le epoche e le culture, che pure conosceva e studiava con passione, per definirsi attorno a quello che definirei l’eterno stilistico della figura umana, l’amore per la combinazione ideale fra il volume del corpo e quello di una camicia. Il lascito di Ferré parla di noi, nel momento della massima rappresentazione di noi stessi.
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