In guerra ma eleganti
Pitti Uomo e gli ordini di moda maschile in Ucraina. Che no, non si sono affatto fermati. Anzi
La prima sorpresa dell’ edizione 102 di Pitti Uomo appena inaugurata è stata l’azzeramento della conferenza stampa a Palazzo Vecchio, sostituita da una garbata cena per la quale Palazzo Strozzi, sede delle prime edizioni dell’evento con Palazzo Pitti (osservate le vecchie riprese Rai, sono tutte realizzate contro il bugnato di via de’ Tornabuoni), ha aperto eccezionalmente la balconata dell’ultimo piano, dove si affacciano gli uffici della Scuola Normale Superiore. Politici, dunque, del tutto privi di passerella dove pronunciarsi sull’”importanza della moda l’economia italiana” e qualche dato solitamente sbagliato sulla stessa fornito da uffici stampa ai quali di questa centralità importa in media un fico, ma per i quali fa molto fico trovarsi lì.
La seconda sorpresa ci è arrivata dalla tavolata di buyer e imprenditori nazionali della moda nella quale eravamo capitati, offerta con il sorriso condiscendente che assumono gli adulti quando parlano con i bambini, ed è che gli ordini di moda a Kyiv, “ma anche a Odessa, sotto Pasqua c’è stato un netto aumento di richieste per le festività” sono ripresi come nulla fosse. Cioè, come se non ci fosse la guerra: “Qualcuno si è anche risentito delle nostre titubanze a consegnare”.
Alla vellutata di ceci con le seppie ci è stato raccontato il caso esemplare di Canali, marchio di alta gamma dell’eleganza maschile, che meno di un mese fa ha rifornito di completi tre negozi del centro storico di Kyiv, e ci siamo rallegrate, vedi che bello, che coraggio, che ansia di vita e di bellezza, dover temere per la propria vita, ma farlo in fresco di lana ben tagliato. Al secondo ci è stato spiegato invece come una discretissima parte delle aziende italiane di moda aggiri l’embargo sui beni vendibili ai russi (in sintesi: massimo 300 euro a capo) semplicemente scomponendo i completi nei più agili separati “giacche e pantaloni” che nella fascia media, a prezzo wholesale, non superano tale cifra. Al momento del dolce avevamo iniziato a capire il perché di tutta l’allegria e la frenesia che circola fra gli operatori del settore: nonostante l’Europa e gli Usa siano tornati a fare i conti con il rischio inflazione, il denaro circolante nella fascia di mercato a cui si rivolgono i primi espositori di Pitti non ha mai avuto tanta liquidità. Dunque, se il conflitto in corso farà inevitabilmente rivedere i dati positivissimi rilasciati da Smi a consuntivo 2021 (lo scorso anno, il fatturato della moda maschile è cresciuto del 15,2 per cento a 9,4 miliardi di euro, tornando a riavvicinarsi ai livelli pre-pandemici, ma resta da capire come energia e conflitto incideranno sui conti del prossimo anno), ancora per qualche mese si potrà mettere “fieno in cascina”, locuzione favorita dei venditori di abbigliamento e affini.
L’unico davvero cauto con le sanzioni ci è parso Nicolò Ricci, successore del padre Stefano alla guida del marchio di famiglia, sommamente apprezzato a Mosca: dice di non avere intenzione di rischiare una denuncia penale, di limitarsi a quello che può fare legalmente con la Russia, e di aspettare tempi migliori con una certa fiducia. In Ucraina non ha smesso di vendere neanche per un giorno: "Kyiv non verrà più bombardata, può scommetterci". E, come tutti, come da sempre con i mercati dell’est, accetta solo pagamenti in anticipo. Per la Fortezza si aggira un piccolo gruppo di buyer russi, arrivati con una di quelle triangolazioni aeree in cui sono diventati specialisti. Guardano, salutano. Volendo dirla tutta, gli espositori italiani sono più preoccupati dalla Gran Bretagna di Boris Johnson, dove il crollo dell'export di moda maschile nel 2021 ha toccato il 32 per cento e l'inflazione ha iniziato a mordere da un pezzo
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