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John a colori

John Elkann si veste di nuovo e chiude col maschio alfa (e alfetta). Dal pol. corr. al Pci

Michele Masneri

I più accorti segnalano che progressivamente John sta introducendo capetti colorati nel guardaroba classicone che ci si aspetta da un Ceo come lui. Una teoria: forse quello di Elkann è uno statement forte contro il risultato elettorale italiano, una sorta di manifesto queer

E noi che avevamo tutti pensato al disimpegno, con la Fca anzi Stellantis prima diventata mezza francese, poi spostata definitivamente ad Amsterdam, poi la vendita (horribile dictu) perfino dell’ufficio dell’Avvocato al Lingotto, insomma la normalizzazione, la trasformazione della nostra ex real casa in conglomerata cosmopolita senza cuore, ecco che John Elkann, la forza tranquilla del capitale ex Fiat, appare sgargiante in un servizio su Chi che sta facendo discutere tra Milano e Roma.

 

 

 Con la moglie Lavinia Borromeo, lui vestito un po’ da lei, lei vestita un po’ da lui, a passeggio, a  New York, chissà come li avranno convinti quei due notoriamente non proprio –  come dicono oggi a Milano – felicioni, non proprio due scherzaccioni, lui con maglione giallo a fiori, lei vestita un po’ da gangster: e tutti a dire, sarà rubata, la foto? Ma chi poi li riconoscerà a New York? Li avranno fotografati in quanto loro o in quanto bizzarri? Il fatto è che sono bizzarrissimi per i loro standard ma non abbastanza per il pubblico medio di una sfilata. Insomma, mistero. E’ stato subito un profluvio di confronti, di sospetti, di dietrologie. Ecco l’Avvocato con le sue grisaglie, ecco cosa avrebbe detto, ecco cosa avrebbe fatto. Alcune teorie: forse quello di Elkann è uno statement forte contro il risultato elettorale italiano, un manifesto queer nel momento in cui la complicata critica e autocritica in Italia sembra aver finalmente trovato il colpevole di questa disfatta: non la legge elettorale, non la mancanza di proposte, non la scarsa palatabilità dell’agenda Draghi, bensì il politicamente corretto (soprattutto tra maschi anziani  si sente dire molto: qui si è esagerato, altro che diritti, urge tornare a difendere il lavoro e la fabbrica, dal p.c. al Pci insomma). 

E chissà quelli che in Iran e in Russia e in altri territori disgraziati e veramente sovrani sognano invece l’Europa, la libertà, i diritti, mentre noi sogniamo loro, c’è una gran confusione. Però certo non è che il travestimento faccia impressione; nelle classi alte sono sempre stati un classico, dai bal de têtes dei vari Beistegui e Rothschild al Black and White Ball di Truman Capote, si passava mesi a prepararsi, però certo erano altri gli standard. Ma dato che il giovane Elkann sta trasformando l’ex impero delle auto in un brand fichissimo del lusso, forse il suo è uno statement estetico e non politico: oltre all’alleanza con Armani di cui si parlò, il giovane Elkann sta mettendo su il gruppo “totale” per la famigliola molto affluente che legge Economist, guida Ferrari, calza Louboutin, e magari in campagna ha un trattorone Cnh. (Ma poi cosa voterà? Garbatella?). 

I più accorti segnalano che progressivamente John sta introducendo capetti colorati nel guardaroba classicone che ci si aspetta da un Ceo di quella fatta. Come se mettendo un gilet colorato qui, un boxer da bagno lezioso là, si stesse liberando anche dell’enorme peso dell’essere maschio alfa o alfetta in un paese in cui l’Avvocato, sempre lui, era simbolo e garante sui mercati internazionali non solo della lira ma del macho latino. Chissà cosa avrebbe detto lui, di quelle mise di John, che ci si sarebbe aspettati forse più da Lapo dopo una nottataccia (invece Lapo oggi è normalizzato con la sua pilotessa portoghese, forse anche lui vittima ormai del p.c.); o in una allegra tavolata del Cav. tra Fascine turchine e cuoricini plananti, e sappiamo tutti che avrà fatto ben di peggio, l’Avv., ma non si faceva certo fotografare (erano altri tempi, il paparazzo era un mestiere avventuroso ma redditizio, non come oggi che ognuno è diventato paparazzo di sé stesso, gratuitamente).

E però se proprio doveva vestirsi da signora, l’Avv. si sarebbe certamente messo un Balenciaga fatto da Cristobal Balenciaga in persona, e non dal noto stilista georgiano che ha preso in mano la maison sfilando in collaborazione con Kanye West, come si è visto a Parigi (due brutaloni). O avrebbe chiesto un pezzo dell’altro amico di famiglia Oscar de La Renta o al limite un wrap dress comodo alla nipote Diane von Fuerstenberg. E lei, donna Marella, principessa avedoniana di Castagneto e pure duchessa di Melito? Si sarebbe messa almeno un Caraceni o una marsina di qualche antenato viceré di Napoli. Invece no. Giaccone oversize un po’ da gangster e via andare, come due influencer di Fino Mornasco. Ma tutto è cambiato, e i feudi risuonano per trend già celebri su TikTok (“Tu parle troppo, je nun me fido/ Giro cu ’na bitch ’e Melito”) canta una famosa canzone.  

Oltre che per la bitch, Melito, paese della cintura napoletana, è anche vittima di un turpe delitto, in questi giorni. Insomma, vengono a mancare i riferimenti, come nel Pd, e tra pochi mesi saranno vent’anni dalla morte dell’Avv., figura che ormai sopravvive sui social settoriali di gessati e orologi e barche per nostalgici.  L’uomo alfa e alfetta oggi sogna ancora Agnelli splendente in solaro, e performance che oggi sarebbero intollerabili (chissà cosa direbbe oggi l’Avv. di Meloni, lui che era stato capace di abbandonare una giovane e piacente ministra che arrivò in ritardo a colazione a Villar Perosa e fu lasciata lì con dei sandwich, mentre il padrone di casa se ne andò allo stadio a vedere la partita, e poi decretò: “Sembra una segretaria, ma non la mia segretaria”). Sembrano tempi lontanissimi, i più anziani dicono che si stava benissimo, i maschi si vestivano da maschi e le femmine da femmine, la Ferrari vinceva, e pure il Pci, la Ritmo e la Duna facevano schifo ma ce le facevamo piacere, come tanto altro, vabbè. 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).