1924-2022
Addio a Renato Balestra. La sua arte era molto di più di un punto di blu oltremare
Lo stilista è morto sabato sera a Roma a novantotto anni. Era nato a Trieste nel 1924 e questo dice tantissimo del suo stile
La vita e la morte sono una questione di prospettive per cui, più che raccontare come Renato Balestra sia morto ieri sera a Roma a novantotto anni, è importante dire che era nato a Trieste nel 1924. La città coltissima, cosmopolita, rigida di modi e ricchissima di suggestioni e fermento intellettuale che aveva accolto James Joyce fino a qualche anno prima, e che non era ancora, e soprattutto ancora non si sentiva, italiana.
La sua famiglia apparteneva a quell’alta borghesia delle professioni da cui proveniva – stessa città – anche quella dei Curiel: tutti avvocati, architetti o ingegneri come era lui, che in quegli anni non era ovviamente previsto si dedicasse alla sartoria - anche teatrale e cinematografica che sarebbe rimasta la sua passione - senza una solida professione alle spalle. E naturalmente senza una famiglia di quel genere che adesso si definisce tradizionale e che lui si era debitamente costruito, riuscendovi anche benissimo perché sarebbe difficile trovare nella moda una famiglia più classicamente attraente dei Balestra, tutti alti, biondi, sportivi, riservati. Le due figlie, Fabiana con la figlia Sofia Bertolli e Federica, che ora ereditano in via definitiva il marchio, le molte licenze e i nuovi progetti che vanno sviluppando, ieri sera hanno evocato “la curiosità e la passione di un uomo straordinario”, e sarebbe difficile smentirle. Due settimane fa avevo chiesto in prestito un abito per un progetto, chiedendo una scheda di accompagnamento tecnico-artistica molto specifica, era arrivata corredata da una serie di sue note preziose. Oggi di lui tutti ricordano, giustamente, il particolare punto di blu oltremare molto luminoso, denominato blu Balestra e molto diffuso anche in Asia ancorché certamente meno famoso del rosso Valentino; però sarebbe un peccato ricondurne la personalità e lo stile a un solo elemento o la sua storia a quella degli abiti ricamati con cura artistica e spesso ispirandosi all’arte. L’archivio delle Sorelle Fontana – che prima o poi avrebbe bisogno di un intervento istituzionale al fine di assicurarne la migliore conservazione – porta il segno della sua lunga collaborazione, così come quello di Jole Veneziani dove aveva iniziato a lavorare dopo che alcuni suoi bozzetti, inviati al Centro Italiano per la Moda, gli avevano aperto le porte di quella che era ancora a solo alta moda e alla quale lui, fra pochissimi, sarebbe rimasto sempre fedele.
Era arrivato a Roma nel 1954, per lavorare con Emilio Schuberth, restando subito ammaliato dal cinema in quegli anni così irripetibili che anche oggi frotte di turisti americani sbarcano nella capitale nella speranza di trovarne una pur piccola eco. Suoi i costumi di Ava Gardner nella Contessa Scalza (sì, lo sappiamo che sono firmati Sorelle Fontana), per Gina Lollobrigida nella “Donna più bella del mondo”, per “Sophia Loren ne “La donna più bella del mondo”. Ed erano state sempre attrici come Zsa Zsa Gabor, Joan Bennett e Natalie Wood a garantirgli l’accesso a Hollywood pochi anni dopo, insieme con Elizabeth Taylor, Candice Bergen e Cyd Charisse.
Nelle Teche Rai è conservata la prima intervista che gli venne fatta all’apertura del suo primo atelier in via Grogoriana 36, la via dell’alta moda come adesso via del Babuino è quella della vendita di pret-à-porter. Nel 1961 presentò la sua prima collezione di Alta moda alla GNAM. Nel 1962 l’ICE lo nomina ambasciatore del Made in Italy nel mondo. Seguono la Sala Bianca di Palazzo Pitti e tutti i luoghi della moda di allora, compresi tutti i grandi magazzini americani da Neiman Marcus a Bergdorf Goodman, ma con una passione singolare e personale per l’oriente che lo porteranno a vestire sovrane e first lady. Nell’archivio Balestra, tutelato come bene nazionale ma purtroppo orrendamente danneggiato da un incidente pochi anni fa - nella villa in centro città dove era ospitato si ruppero durante un week end le condotte idrauliche, abiti in sete preziosissime rimasero immersi per più di un giorno nell’acqua, fu l’unico vero colpo da cui Renato Balestra non si riprese - è rimasta, rimirata con devozione dalle assistenti, la cappa da sera a piccolissime orchidee di seta applicate a una a una realizzata per Sirikit di Thailandia (in origine erano vere, il lavoro di una notte e di trecento persone). Per qualche anno, a metà degli Ottanta, le hostess Alitalia viaggiarono vestite da lui, contente, e tantissimi profumati e accompagnati dalle sue valigie, magari per andare ad assistere a un’opera o a un dramma diretto da Franco Zeffirelli con i suoi costumi, il “Così è (se vi pare)” del 1985, per esempio. Le licenze di Balestra nel mondo sono ancora tante.
Alla Scala