Sfilata Tomo Koizumi a Milano (LaPresse) 

il foglio della moda

Nel “circo della moda” ballano 200 milioni all'anno per la sola città di Milano

Paola Bulbarelli

Se il made in Italy rappresenta il 32 per cento del Pil nazionale, il settore tessile abbigliamento in Lombardia si fa valere con un giro d'affari pari a 26 miliardi di euro, con oltre 28mila imprese che danno lavoro a più di 180mila persone, nelle province di Milano, Varese, Brescia e Como

Le fashion week passano ma i numeri restano e sono ottimi. L'ultima da poco conclusa ne ha registrati di  "eccezionali", come li definisce Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda italiana. "Abbiamo avuto il 20 per cento in più di visitatori rispetto all'ultima edizione precedente alla pandemia. Un numero importante per la città di Milano tra hotellerie, ristoranti, trasporti, pari a circa 70 milioni di euro di indotto senza contare i numeri del retail (cioè delle vendite) che, rapportati ai 130 del 2019, ci proiettano oltre i 200 milioni durante l'anno". Non manca una puntualizzazione sul Fashion Hub, luogo di incontro e fucina di progetti innovativi, questa stagione inaugurato a Palazzo Giureconsulti e aperto al pubblico. "L’hanno visitato oltre 20 mila persone, il triplo rispetto all'ultima stagione. Al grande appello del sistema manca ancora e in buona parte la Cina perché non tutti i voli sono stati ripristinati, ma dall’Oriente abbiamo avuto moltissimi visitatori. E tutti di grande qualità".

 

Code ovunque, tantissima energia. A cominciare dagli 800 show room sparsi per la città tra mono e multi brand che rappresentano oltre tremila marchi. "Tutti aperti e tutti pieni di compratori". Una Milano che significa anche fiere. Successo per Micam Milano, Mipel, TheOneMilano e Homi Fashion&Jewels, le manifestazioni dedicate alla moda e all’accessorio: oltre 1.800 aziende espositrici, circa 50 mila visitatori professionali, in crescita del 25 per cento rispetto alla precedente edizione. “Fiera Milano genera un indotto di oltre 8 miliardi di euro su base annua e rappresenta la casa delle filiere industriali, la più grande, peraltro”, osserva l’amministratore delegato e direttore generale Luca Palermo che, racconta, sta investendo sui temi, certo ubiqui ma importanti, della sostenibilità e dell’innovazione tecnologica, quest’ultima particolarmente significativa in una cittadella che, nelle giornate di punta, ha bisogno per esempio di una copertura di rete infinitamente superiore a quella, pur poderosa, garantita ora. “Il nostro impegno”, dice ancora Palermo, “è stato premiato di recente con il rating di Sustainalytics; ci troviamo nella fascia del 15 per cento migliore delle 15 mila aziende valutate da questa importante agenzia su scala globale. Inoltre, abbiamo investito 14 milioni di euro sull’infrastruttura tecnologica per rendere la fiera una dei quartieri digitali più avanzati al mondo”. Impossibile sapere a quanto ammonti l’indotto per l’artigianato anche di eccellenza, props, eventistica che girano attorno alla Fiera. Nessuno saprebbe calcolarlo (vi si riusciva a fine Ottocento, come testimonia l’Archivio di Stato di via Senato, ma le Esposizioni di allora non erano ripetute più volte all’anno, duravano mesi, coinvolgevano un numero di persone importante ma facilmente registrabile): viene valutato però in qualche decina di migliaio.

 

Se il made in Italy rappresenta il 32 per cento del Pil nazionale con circa 150mila imprese italiane che esportano i loro prodotti, con l'Ice e i suoi ottanta uffici nel mondo a supportare questo settore e il sistema fieristico, che rimane uno strumento centrale delle politiche industriali del Paese, il settore tessile abbigliamento in Lombardia si fa valere con un giro d'affari pari a 26 miliardi di euro, con oltre 28mila imprese che danno lavoro a più di 180mila persone, in particolare, localizzate nelle province di Milano, Varese, Brescia e Como con punte anche in altre città lombarde. Nel territorio lariano, per esempio, lo storico distretto della seta impegna 6mila dipendenti. Per oltre la metà (il 54,2 per cento) si tratta di micro-imprese, con meno di 10 dipendenti e con un fatturato uguale o inferiore ai due milioni di euro. Il fatturato lombardo di settore valeva pre-Covid 14,1 miliardi (7,9 il tessile, 6,2 l’abbigliamento); poi, nel 2020, si è assistito ad un calo a doppia cifra, come d’altra parte in altri comparti industriali, ma il perso della regione è rimasto significativo anche nell’annus horribilis: 8,1 miliardi di euro di esportazioni rispetto ai 27,3 miliardi dell’Italia intera. Dai dati del registro imprese, a fine 2022 sono 11.032 le imprese attive nel settore moda a Milano, 13.263 a Milano Monza Brianza Lodi su 27.897 in Lombardia  e 197.466 in Italia. La Lombardia pesa insomma per il 14 per cento sul nazionale, benché per numero di imprese la prima sia Napoli, a quota 21.621, seguita da Milano con 11.032, Roma con 11.023, poi Prato e Firenze con circa 8 mila imprese ciascuna. Dopo la forte accelerazione dei due anni post-pandemia, la progressione del mondo della moda, 82 miliardi di euro nel 2022, è destinato inevitabilmente a rallentare quest’anno, con una crescita attorno all’8 per cento dopo il rimbalzo del 20 per cento dell’anno appena concluso, secondo quanto mette in luce un’analisi dell’Area Studi di Mediobanca, che ha preso in esame le 152 realtà della moda con un fatturato individuale superiore ai 100 milioni di euro.

 

 

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