L'analisi
Moda e occupazione femminile: meno di una su mille ce la fa
Lo studio sul "Gender Gap" sviluppato da Pwc nel settore della moda evidenzia come la presenza femminile cali all'aumentare delle responsabilità. La sottorappresentazione femminile è un problema internazionale nel quale l'Italia è fanalino di coda
Da tre anni in PwC mappiamo per “Il Foglio della Moda” la presenza femminile su tutta la filiera della moda italiana, tramite un lavoro di ricerca esaustivo che comprende l’analisi della tipologia di mansioni ricoperte dalle donne nelle aziende di settore e la loro rappresentanza nei ruoli apicali, grazie allo studio dei dati delle principali associazioni di categoria.
Quello del divario di genere è un tema comune a molti settori, anche quelli che, per loro storia e vocazione, promuovono il lavoro e l’emancipazione delle donne, come la moda in Italia. Siamo purtroppo al sessantatreesimo posto su 146 Stati per l’indice composito di “Gender Gap” dalle analisi fatte dal World Economic Forum trasversalmente rispetto ai settori d’occupazione nel 2022, dato rimasto invariato rispetto al 2021. Dall’ “Osservatorio Donne e Moda 2023” emerge come la presenza femminile cali all’aumentare della responsabilità, una tendenza in linea con le evidenze delle edizioni precedenti della nostra ricerca. Ciò significa che, se la quota di donne sul totale della forza lavoro in Italia è mediamente pari al 48,6% nel caso dell’industria tessile e al 69% nel caso dell’abbigliamento, salendo di grado e considerando unicamente al perimetro degli organi societari (CdA, Collegio Sindacale e procuratori), tale percentuale si ferma al 28,2 per cento. Restringendo ulteriormente il campo ai soli consigli di Amministrazione, la quota è ancora inferiore e pari al 24,2 per cento (elaborazioni PwC sulle visure delle aziende associate Camera Nazionale della Moda Italiana). Analizzando il tipo di mansioni ricoperte sul campione delle lavoratrici del settore Tessile, Moda e Accessorio, si rileva come quasi sette donne su dieci impiegate (pari al 69,2 per cento) siano operaie, a fronte di uno 0,9 per cento di quadri e di uno 0,3 per cento di dirigenti, dati in linea con l’anno precedente. Considerando il campione in termini di classe di età, le lavoratrici del comparto Tessile-Abbigliamento sono rappresentate per il 9,7 per cento da donne di età inferiore ai 29 anni, per il 18,2 per cento da addette di età compresa fra i 30-39 anni, e per il 31,7 per cento dalla fascia 40-49 anni. La percentuale raggiunge il valore più alto nella fascia 50-59 anni, mentre si attesta solo al 6,4 per cento per le addette di età superiore ai sessant’anni (secondo i dati del centro studi Confindustria Moda). Guardando alla qualifica, nello stesso segmento Tessile-Abbigliamento, sul totale degli operai, uomini e donne, il 57,8 per cento è composto da donne; sul totale degli apprendisti la componente femminile è del 58,5%; mentre, considerando il campione degli impiegati, uomini e donne, la percentuale sale al 67,3 per cento, confermando i dati dell’edizione precedente. Restano pressoché invariati anche i dati sulle figure “quadro”, in cui la componente femminile è pari al 37,5 per cento, e sulle posizioni dirigenziali, in cui solo il 22,8 per cento è rappresentato dalle donne. La partecipazione femminile risulta più elevata considerando unicamente la parte a valle della filiera, in cui raggiunge il 73,6 per cento per le figure impiegatizie, il 65,2 per cento per quelle operaie, e il 69,2 per cento per gli apprendisti.
Nonostante un lieve miglioramento rispetto alla parte “a monte” della filiera, a livello dirigenziale permane comunque un forte scarto fra presenza maschile (70,9 per cento) e femminile (29,1 per cento), con una crescita di un punto percentuale rispetto ai dati del 2021 (dati centro studi Confindustria Moda). La sottorappresentazione femminile nei ruoli apicali del settore non è un problema solo nazionale, ma l’Italia, più di altri paesi, è ancora distante dalla media europea. In Francia, infatti, la quota femminile presente nel CdA delle aziende della moda è pari a circa il 50 per cento, in Germania al 29 per cento, negli Usa al 38 per cento, mentre la media globale/europea è del 33 per cento, quasi 5 punti percentuali in più rispetto al dato del nostro Paese. Guardando agli aspetti positivi, si rileva comunque un margine di miglioramento in Italia nel 2022, con una crescita del 9,8 per cento per la rappresentanza femminile negli organi societari rispetto al 2021 e del 10,6 per cento nei soli CdA (elaborazioni PwC sulle visure delle aziende associate Camera Nazionale della Moda Italiana: il dato rispecchia comunque disposizioni di legge, nda). L’Italia rimane però ancora il fanalino di coda a livello internazionale se si considera che, a livello mondiale, nel 2022 il 31,4 per cento dei ceo entrati nel comparto della moda sono donne, con un aumento del 28,7 per cento rispetto al 2021, e che, nel 17,4 per cento dei casi, sono state le donne a sostituire uomini uscenti contro il 10,1 per cento di uomini in sostituzione di donne. Vale la pena dunque riflettere sulle leve che consentono di accelerare l’imprenditorialità femminile: più formazione e una maggiore attenzione allo studio di materie di stampo finanziario e all’acquisizione di competenze STEM possono contribuire significativamente a uno sviluppo paritario del settore. Il comparto della moda è protagonista di un momento di forte crescita a livello internazionale e interessato da un importante ricambio generazionale a tutti i livelli, dagli operai agli imprenditori, passando alle figure quadro. Auspichiamo che lo sviluppo del settore e il ricambio generazionale siano accompagnati dalla capacità di attrarre nuovi talenti e manodopera altamente qualificata, generando nuove opportunità per l’occupazione femminile. Un obiettivo che, oltre che un’urgenza, rappresenta un enorme potenziale per il rilancio economico del nostro Paese.
Erika Andreetta è Partner PwC Italia and EMEA Fashion & Luxury Leader
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