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Valentino svolta. Kering entra in società con i qatarini di Mayhoola e cambia parecchi equilibri della moda
La lotta nel mondo del lusso si intensifica con un importante accordo che ne cambia il panorama. Nel gruppo francese la semestrale evidenzia uno stallo sia in Gucci sia in Bottega Veneta
Guerra fra i due colossi del lusso mondiale, ennesima puntata: Kering entra al 30 per cento del capitale di Valentino per 1,6 miliardi di euro, con l’opzione di acquisire la totalità delle quote entro il 2028. L’attuale proprietario della griffe di palazzo Mignanelli, il fondo sovrano del Qatar Mayhoola, “potrebbe” – ma dalle dichiarazioni si capisce già che lo farà – entrare a breve nel capitale di Kering, che dovrebbe concludere le prime fasi dell’acquisto entro il 2023, appena avrà ottenuto il via libera dalle autorità garanti della concorrenza. Si va dunque configurando un nuovo, inedito asse fra i paesi del Golfo e la Francia attorno alla massima espressione del lusso: la multinazionale di François Henri Pinault aveva infatti tuttora un fronte scoperto rispetto a Lvmh, quello della haute couture. La notizia dell’acquisizione di una quota significativa di Valentino e del desiderio di Mayhoola di spostare progressivamente il proprio interesse su altri marchi, primo fra tutti il rilancio di Walter Albini, era comunque nell’aria da tempo. Da anni, Kering era interessata a un marchio storico nel settore altamente strategico della haute couture perché, nonostante sia fortissimo nell’intercettare i gusti della clientela più sofisticata nel pret-à-porter, il direttore creativo di Balenciaga Demna Gvasalia fatica a rinnovare i fasti di un tempo nella sartoria e Saint Laurent persegue altri obiettivi nell’universo, non meno difficile, della tendenza.
Dell’acquisizione di Valentino da parte di Kering si parlava da così tanto tempo che la notizia sembrava ormai destituita di fondamento; la nota ufficiale diffusa dai due partner amplia addirittura il significato dell’operazione, rendendo anche e finalmente chiari alcuni cambi al vertice di Valentino occorsi in questi giorni e la nomina di nuovi manager nei posti chiavi del marketing e dello sviluppo commerciale. In questi casi, il linguaggio conta come i dati di bilancio, e dunque nel testo diffuso, oltre che nelle telefonate concitate seguita all’annuncio, non si possono non notare l’insistenza sul valore del posizionamento del marchio, le “profonde radici nella fascia più alta del settore del lusso”, il “portafoglio di creazioni uniche e iconiche”, la “clientela fedele” e le “celebrities” che lo “scelgono” in tutto il mondo. Oggi Valentino conta 211 negozi gestiti direttamente in più di venticinque paesi, ha registrato ricavi per 1,4 miliardi di euro e un Ebitda ricorrente di 350 milioni di euro nel 2022; risultati raggiunti in pochi anni da un uomo che Pinault conosce molto bene, Jacopo Venturini, già vicepresidente esecutivo di Gucci negli anni del boom, e mago riconosciuto del merchandising, cioè della capacità di trasformare le idee creative dei designer in prodotti desiderabili, come ha dimostrato anche e più volte in Prada. Non è dunque un caso che Pinault si dica “deliziato” di ritrovare Venturini, dopo soli quattro anni dall’uscita dal gruppo peraltro, e di rinnovargli la fiducia come amministratore delegato: “Sono rimasto impressionato dall’evoluzione di Valentino sotto la proprietà di Mayhoola e sono molto grato che Mayhoola abbia scelto Kering come partner per lo sviluppo di Valentino, una maison italiana unica che è sinonimo di bellezza ed eleganza”. L’ha dimostrato ancora poche settimane fa, con una sfilata al castello di Chantilly che rimarrà nella storia della couture.
Resta da capire, ma questo non si saprà mai, se uno dei motivi che hanno spinto uno degli artefici di questo successo, il direttore di brand Alessio Vannetti, a lasciare la maison tre giorni fa, sia in qualche modo legato a questa evoluzione. Anche lui aveva fatto parte del dream team di Gucci, epoca Alessandro Michele, prima di entrare con Venturini in Valentino e lavorare al turn around del marchio.
Ciò che invece appare chiaro, alla luce dei deludenti dati semestrali di Kering diffusi a poca distanza di ore dall’annuncio, è che la partnership con Mayhoola e l’acquisizione di Valentino sono diventati dirimenti nell’ambito di un gruppo dove solo Saint Laurent realizza risultati di evidente crescita mentre Gucci è tuttora in stallo, Balenciaga fatica a recuperare posizioni dopo la tempesta mondiale scatenata dalla campagna dello scorso inverno con i peluche sadomaso messi in mani a bambini e Bottega Veneta, nonostante l’evidente bravura del suo direttore creativo Matthieu Blazy e le iniziative (fin troppo?) sofisticate, stenta a conquistare il cuore dei clienti del lusso. Nel semestre, le vendite del gruppo hanno infatti raggiunto 10,135 miliardi di euro, pari al +2 per cento sia a tassi comparabili sia correnti, mentre il risultato operativo è stato pari a 2,739 miliardi di euro, con un calo del 3 per cento a tassi comparabili per un’incidenza sulle vendite del 27 per cento. In stallo Gucci (5,128 miliardi di vendite, +1 per cento a tassi comparabili, -1 a tassi correnti), dato che lascia ben comprendere come mai Sabato De Sarno, nuovo direttore creativo che debutterà il prossimo settembre, stia continuamente cambiando idea su accessori, tagli e tessuti della nuova collezione, e l’intero gruppo creativo sia sotto stress. L’unica divisione che registri crescite a due cifre, pur a volumi decisamente inferiori, è la Kering Eyewear, che ha raggiunto nei primi sei mesi ricavi pari a 869 milioni di euro, in aumento del 51 per cento a tassi correnti e del 16 per cento a tassi comparabili. Dunque sì, Pinault può dichiarare di aver “continuato ad investire nella desiderabilità e nell’esclusività delle maison”, ma è evidente che questo processo non si sia ancora concluso e che Valentino ne sia una parte integrante.
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