Interviste via zoom
Papille in passerella. Cotture a fuoco freddo, esotismi quasi banditi, molte verdure
Mentre i brand della moda si danno battaglia in una antistorica guerra del pasticcino di tradizione, gli chef che lavorano con la moda anticipano le tendenze del gusto e della convivialità. Come racconta Gabriele Zanatta, coordinatore della Guida di Identità Golose
Lontani sono i tempi in cui giornalisti molto più importanti di noi, durante il cocktail pre-sfilata, ricercavano nelle tartine - novelli aruspici dello stile - i segni della sfilata che di lì a poco avremmo recensito. Tim Blanks, oggi collaboratore del quotidiano online “Business of Fashion” e nei primi Duemila firma potentissima del sito di “Vogue America”, rilasciava presagi di moda a partire dall’attenta osservazione degli austeri canapè offerti da Prada: per esempio, se includevano un mesto cerchietto di avocado sul pane, potevano sembrare uno snack da poveri, se non fossero stati smentiti dall’altissima gradazione del gin tonic cui erano appaiati, ricreando una dicotomia lussuoso/modesto così tipico del modus operandi di Miuccia Prada. E aveva quasi sempre ragione lui: sciocchi noi che non avevamo intercettato tra le papille il sapore delle inedite creazioni in passerella.
Ancora più lontani nel tempo sono i trionfi di aragoste in bellavista, le distese di vitel tonné, le monumentali torte e primi piatti così luculliani che affollavano i tavoli nei rinfreschi dedicati ai fashion people, che improvvisamente si ritrovavano affamati come se non avessero ingurgitato nulla da settimane. Nell’aneddotica mondana ancora gira l’antica vicenda di una celeberrima collega che in anni di fasti alimentari dovette rovesciare il contenuto della preziosa borsa Chanel perché così pesante da mettere in pericolo la resistenza della tracolla: conteneva non modiche quantità di gigantesche scaglie di parmigiano, sgraffignate di soppiatto.
Così vicini, così lontani: il mondo della gastronomia e del cibo, pur tra varie complicazioni e dissensi, si rincorrono in una danza intricata tra haute couture e haute cuisine. Gli chef sperimentano costantemente nuovi sapori, consistenze e colori, traendo ispirazione dalle passerelle della moda. Il risultato è una fusione di cibo e moda che stuzzica non solo le papille gustative ma anche gli occhi. Nei frenetici mondi della moda e del cibo, le tendenze vanno e vengono come zaffate di novità, dalla it-bag di stagione al superfood du jour. La sapidità del non conosciuto può creare scenari divertenti.
Ma in questo, il sistema moda non sembra essere molto all’avanguardia, anzi: “Davvero non comprendo perché colossi come LVMH o il gruppo Prada - il primo acquisendo la storica pasticceria milanese Cova, l’altro rilevando l’ottanta per cento dell’altra istituzione dolciaria della città, Marchesi, e da poco anche il Caffè Principe a Forte dei Marmi, - abbiano puntato sulla tradizione quando sarebbe ora di puntare agli autori che stanno sovvertendo la ristorazione”. E quale sarebbe questa rivoluzione? “Prima di tutto, l’indistinzione tra dolce e salato che sono due categorie i cui confini vanno via via assottigliandosi”.
Parla Gabriele Zanatta, giornalista e scrittore, docente di storia della gastronomia, che coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose, pubblicato in contemporanea con il congresso italiano interamente dedicato ad alta cucina e alta pasticceria internazionali, ideato da Paolo Marchi nel 2004. “Veneziane al formaggio, cannoncini al baccalà, brioche allo chimichurri come quelle di Pavé, locale molto à la page di Milano – un tipo di salsa verde argentina per marinare la carne alla griglia - monoporzioni come macaron, cannoli, bignè che prendono il nome di calamaron, milletonni, calannoli siciliani riempiti di crema al salmone, capasanta, tonno da trovare al ristorante Fishion uniti a Milano dalla sempre a Milano uniti dallo chef Alfonso Montefusco e dalla Pescheria Pedol, cantucci al pepe, ma anche il contrario: maccheroni stracotti ripieni di zabaione che vengono poi impanati e fritti: rifletta, la pasta è un carboidrato esattamente come il rivestimento di un cannoncino: è semplicemente differente quella sfoglia da quella a base di farina e acqua.
Il tema un po’ grottesco dell’appropriazione culturale lambisce anche la cucina
Sempre a Milano Loste Café, forno e caffetteria danese nello stile e nella genesi (i due fondatori si sono incrociati al Noma di Copenhagen) sforna girelle con speck e semi di senape durante la prima colazione. Non parliamo di croissant aperti e farciti di prosciutto o formaggio, ma di vere lievitati in cui al posto della marmellata la farcitura è salata”.
Comunque, la strategia alimentare dei grandi brand è ancora protesa alla guerra dei pasticcini (che, detto per inciso, è realmente accaduta, perché con questo termine si indica un'invasione francese del Messico nel 1838): Louis Vuitton alla fine del 2022 ha inaugurato le “Maxime Frédéric at Louis Vuitton”: un caffè-cioccolateria vicino al Pont Neuf, nel primo arrondissement di Parigi, a pochi passi dall’hotel del momento, le Cheval Blanc., condotta da Maxime Frédéric, maestro tra stelle che ha lavorato a Le Meurice e prima al George V, incoronato da Gault & Millau 2022 come pasticciere dell’anno; oltre al già famoso ristorante, nel 2022 Dior ha inaugurato al 30 di avenue Montaigne la Pâtisserie Dior.
Però Zanatta è convinto che si debba andare oltre: il mix dolce/salato e il progressivo alleggerimento della gradazione nelle bevande questa tendenza non sarà passeggera come la rucola negli anni Ottanta, il sushi nei Novanta, lo zenzero nel Duemila “e ora l’aglio nero e il limone nero, due tormentoni culinari che stanno diventando endemici”, ma stabilirà nuove gerarchie da divorare anche in quelle occasioni che, un po’ per la crisi economica, un po’ per evitare il duello a metter mano alla fondina (nel senso di stoviglia) da “pranzi”, si siano trasformate in “cocktail dinatoire”, raffinata espressione francese perfetta sia per sostituire l’orrido “apericena”, sia per far capire carinamente agli ospiti di non aspettarsi di mettere i piedi sotto un tavolo, ma che tutto inizia e si conclude lì. “Però trovo sia una soluzione giusta, essendo solitamente servito in forma di stuzzichini e finger food. È una modalità informale ma elegante di intrattenimento, che permette agli ospiti di socializzare e assaggiare una varietà di piatti diversi: questo degli “assaggi”, degli snack da mandar giù in un solo boccone è un altro indicatore molto forte sulla direzione che prenderà il modo in cui si mangerà: riconquistare la cultura del finger food all'italiana, che guarda lontanamente alle tapas spagnole ricreando universi gastronomici in forma di tartelletta mini, promuove una filosofia antispreco in cucina, e permette di degustare tante portate, tutte diverse. E poi bisogna fare i conti con chi è vegano, chi allergico al glutine o al lattosio… Pensi che fino a vent’anni fa, su dieci invitati, a manifestare un’intolleranza alimentare, ce n’erano al massimo due. Ora siamo arrivati a sei”.
E come si fa ad accontentare tutti? “Con snack che privilegino vegetali e verdure, possibilmente colte a chilometro zero. L’esotismo, bandito dalla moda d’autore, dovrebbe essere una realtà anche nella ristorazione chic. Del resto, dica la verità: da quanto tempo non mangia un crostino al caviale o più semplicemente una tartina al salmone, in occasioni come quelle che frequenta? Tanto, ci scommetto: sono alimenti altamente deperibili e vengono per forza da molto lontano. Il prossimo passo sarà ospitare a tavola molta più etica e dunque più creatività. Perché chi mangia vuole freschezza, anche puramente visiva: è suggestivo, durante gli eventi, “finire” le pietanze in presenza dei commensali: penso al risotto - una delle icone del catering dei Cerea assieme ai paccheri alla Vittorio, con mantecatura finale in sala, e ai cannoncini alla crema farciti live davanti all'ospite - per trecento, quattrocento e ancor più persone, tenendo una cottura da manuale”.
E invece, per il bere? “Succederà la sessa cosa. Ormai anche nei supermercati si trovano storici marchi di superalcolici come il vino e la vodka, che hanno un sapore assimilabile a quello dei liquori veri, ma senza alcool. È il trionfo del mocktail che, come dice la parola stessa, è letteralmente un “finto cocktail”: reinterpretazioni di drink classici o di miscelazioni originali, ma in grado di accontentare tutti: astemi, intenditori e chi – un altro elemento molto importante per il pubblico internazionale che assiste ai fashion show – per motivi religiosi o dietetici non può concedersi gli “high spirits”.
Trionfo per i mocktail, i cocktail analcolici un tempo riservati ai bambini e il kombucha giapponese
Si parla di fare un esercizio creativo per trovare la giusta miscela di ingredienti senza ricorrere, per quanto possibile, a bevande gassate, succhi di frutta industriali e sciroppi zuccherati: in questo, è già un segnale il grande successo dell’orientale kombucha, altamente frizzante, che si ottiene dalla fermentazione del tè zuccherato”. Attenzione, Zanatta: ma qui non si corre il rischio di appropriazione culturale, tema scottante nella creatività applicata alla moda? Mi ha appena detto che non dobbiamo guardare ad altre culture, che le cucine di altri paesi non vanno bene nelle città italiane… “Volevo sottolineare che il kombucha, per esempio, si può fare anche a casa propria perché è sottoposto a fermentazione, quella sì ripresa da arti culinarie lontane rispetto a noi. Ma si parla di procedure, non di prodotti copiati o, ancora peggio, importati. E poi, il fuoco sta scomparendo: oggi non si usa più per cucinare. Soprattutto in situazioni dove sono presenti molte persone…». Come, scusi? «Le consiglio di leggere “La fine dell’era del fuoco. Cronache di un presente troppo caldo”, il nuovo libro dello scrittore argentino Martín Caparrós che riflette, appunto, sulla scomparsa progressiva, che si sta consumando, silenziosa, sotto i nostri occhi, del mondo rappresentato dal fuoco. A cominciare dalla cucina. E quindi la cottura tramite fermentazione, dal pane alla carne, usando “il fuoco freddo” come la definisce poeticamente il critico e saggista Michael Pollan, sarà vincente”. Ne è sicuro? “Certo”. La moda non cambi abiti, ma menu.
Alla Scala