Un racconto per immagini
Come sfogliare il nuovo Cal Pirelli e vergognarsi della nostra perdita di valori
Breve chiacchierata con l’artista ghanese ventottenne Prince Gyasi che firma l’edizione 2024, trova orribili le modelle create dall’intelligenza artificiale e ha voluto fra i protagonisti solo personalità “sagge” che possono rappresentare un'ispirazione per i giovani. A prescindere da età e bellezza
Da qualche giorno, i social commentano estasiati la vertiginosa carriera di Aitana Lopez, modella catalana di venticinque anni “dalla caratteristica chioma rosa”, che guadagna diecimila dollari al mese o, per essere più precisi, li fa guadagnare interamente all’agenzia che la rappresenta, in quanto non esiste. Aitana è infatti figlia dell’intelligenza artificiale, così come lo sono state altre modelle e influencer prima di lei, solo meno ben riuscite perché nate da tecnologie meno sofisticate, vedi Lil Miquela o Daisy sui quali noi dei media tradizionali abbiamo dibattuto per anni, incuriositi, impotenti e parecchio irritati. Ruben Cruz, direttore dell’agenzia che l’ha generata, The Clueless - un nome un programma - ha raccontato a Euronews di averla concepita per evitarsi tutte le seccature che procurano le modelle vere, per non dire gli influencer. La povera Aitana con i capelli rosa ha un’aria davvero cheap, forse el senor Cruz vi ha trasferito i suoi fantasmi di maschio e insomma diciamo che nessuno nella moda la vorrebbe manco dipinta come in effetti, più o meno, è. Che vi siano però clienti felici di avere a che fare con un essere femminile che interpreta i loro desiderata senza fiatare dev’essere il frutto di questi tempi occidentali sempre più vergognosamente simili al “racconto dell’ancella” preconizzato da Margaret Atwood, questo mondo che guarda a un’interscambiabilità fra esseri umani come a un traguardo, per cui non sapete che gioia, che soddisfazione, che entusiasmo, parlare di questo con l’artista del momento, Prince Gyasi, ventotto anni, ghanese, autore del Calendario Pirelli 2024, e vederlo sbarrare gli occhi di fronte alla sola possibilità di interagire con un essere inanimato o di utilizzare l’intelligenza artificiale “oltre a quello per cui serve davvero, che è molto poco”.
Il Calendario Pirelli che si presenta questa sera ufficialmente a Londra, in uno di quei club della parte sud dove mezzi millennio fa Shakespeare presentava i suoi spettacoli, è l’esatto, perfetto opposto della mancanza di etica, dell’arida protervia, dell’arrogante violenza del senor Cruz con la sua Aitana pettoruta e tinta di rosa. È il racconto, per immagini archetipiche, favolistiche, simboliche, della ricchezza dei rapporti umani di un’Africa che non conosciamo ancora abbastanza, o che abbiamo voluto ignorare mentre perseguivamo i nostri fantasmi di annullamento e ottundimento delle coscienze. Prince Gyasi con il suo chiodo borchiato, la sua acconciatura favolosa e i suoi ventotto anni potrebbe essere l’interprete perfetto di questa generazione che vive di social e di hi tech e invece no. Ha realizzato un Calendario – chiamarlo così è ormai una convenzione, nessuno lo usa più per i suoi scopi precipui da molti anni, per Pirelli è al tempo stesso un manifesto e una dichiarazione di progettualità nei riguardi dei Paesi dove viene realizzato, come peraltro il ceo Marco Tronchetti Provera ha specificato portando numeri e proiezioni sui mercati africani nei prossimi vent’anni - che per molti versi suona come uno schiaffo al nostro immaginario cibernetico e alla nostra dipendenza dalla tecnologia. Prince usa lo smartphone per scattare, ma il suo immaginario ricchissimo lo porta a costruire set di valenza teatrale, resi sfolgoranti da colori saturi, vividi, ancora una volta simbolici secondo un lessico esoterico che abbiamo avuto anche noi a nord del Mediterraneo, ma che abbiamo perso. In questa carrellata di immagini di forte potere narrativo, in antitesi con gli scopi di un calendario già dal titolo, “Timeless”, sono immortalate le figure per che per l’autore sono capaci di imprimere un segno duraturo e di ispirare le generazioni future.
C’è il potere del matriarcato, c’è il rispetto per la saggezza degli anziani, c’è la venerazione per alcune figure per lui di “grande ispirazione”. “Non siamo nati ‘senza tempo’, ma lo diventiamo”, osserva, spiegando come i suoi personaggi, ritratti con i colori e i contrasti decisi che lo hanno reso famoso, siano per lui “dei supereroi nei quali possiamo identificarci”. Per esempio l’attrice Angela Davis, o Naomi Campbell, o Idris Elba, o ancora Sua Maestà Otumfuo Osei Tutu II, Re dello storico Impero Ashanti dell’Africa occidentale, ritratto al Manhyia Palace insieme alla sua delegazione reale, con il titolo “Royalty” perché per ogni immagine, per ogni persona o personaggio, come un una fiaba tradizionale Prince è andato alla ricerca dei feticci del loro operato. Bassett, da sempre attiva nella valorizzazione delle giovani attrici di colore, rappresenta “Altruistic”; la scrittrice Margot Lee Shetterly “The Blueprint”; l’artista contemporaneo ghanese Amoako Boafo è “The Chosen One”. Gyasi stesso si è dedicato un mese dal titolo “Details”. L’immagine scelta per la copertina e per uno dei mesi rappresenta invece lo “Studious”, un giovane Gyasi interpretato dal baby modello Abul Faid Yussif su uno sfondo turchese. L’attrice e superstar internazionale Tiwa Savage è “Resilience”; lo scrittore, il regista e produttore Jeymes Samuel è “Visionary”; l’imprenditore ed ex calciatore Marcel Desailly è “Focus” e la cantante, artista e attrice Teyana Taylor interpreta il tema “Future Forward”. Sì, fra i dodici personaggi scelti c’è anche Amanda Gorman che, dopo aver scritto quella lunga lettera al mondo in forma pseudo-poetica per l’insediamento di Biden e aver infastidito il mondo con la sua pretesa di essere tradotta solo da autori di colore – viva l’inclusione e il rispetto delle competenze - non ha più prodotto alcunché di notevole, ma continua a vestirsi Prada da capo ai piedi e a distillare perle di banalità (ieri pomeriggio, in una serie di incontri, raccontava di non sapere esattamente da dove provenga la sua famiglia per via delle forzature dello schiavismo; forse si sarebbe dovuto raccontarle delle diaspore europee, ma come intaccare un personaggio pubblico così sapientemente costruito).
Quello di Gorman rappresenta però un caso isolabile in un progetto interessante proprio per il contrasto che segna con i valori attuali del mondo occidentale. Prince Gyasi è l’ultimo dei trentanove artisti che abbiano realizzato il Calendario e la sua opera rappresenta la cinquantesima edizione dei sessanta anni di storia di “The CalTM”, dal 1964 al 2024, tenuto conto degli anni in cui non è stato pubblicato, ma è forse il primo dove il tema della bellezza fisica non sia stato minimamente tenuto in conto, anche solo per contrasto, anche per parlare di temi di inclusione estetica come è stato fatto negli ultimi anni. La bellezza, in questo Calendario, non è mai presa in considerazione per se. Lo è, invece, la bellezza della saggezza, della riuscita, dell’impegno. “Quando guardi a un personaggio come Naomi, non è della mia generazione, ma è ancora un’icona per la mia generazione. Può succedere soltanto se sei davvero dedito al tuo lavoro e convinto dei tuoi valori”, commenta Gyasi. Naomi, più potente oggi di quanto fosse trent’anni fa, comparsa sul Calendario forse più di ogni altra, è, non a caso, “the time stopper”. La donna che ha fermato il tempo. “Spero di far capire ai giovani che possono fare quello che vogliono se si impegnano e se sono costanti”. Al di là di fama, denaro, e naturalmente, una quarta di seno virtuale.
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