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PRIMAFILA

“Il made in” si fa (anche) sostenendo i giovani stranieri

Lapo Cianchi

Dopo le difficoltà legate a lockdown e tensioni internazionali, Pitti Uomo torna a recuperare la sua posizione di riferimento mondiale per la moda e il lifestyle maschile

Fino a qualche edizione fa, era battuta ricorrente tra gli addetti ai lavori che Pitti Uomo fosse il più importante salone giapponese di moda maschile: a regime – intendo prima del lockdown, delle tensioni inflazionistiche e dei conflitti militari e politici - il paese del Sol Levante schierava in Fortezza da Basso tra i settanta e gli ottanta brand, quasi un migliaio di buyers e un’ottantina di giornalisti. E non per caso Pitti ha sempre mostrato profonda devozione verso i maestri e i gli innovatori della moda giapponese, ospitando progetti speciali di Rei Kawakubo, Yohji Yamamoto, Kenzo, Undercover, Kolor, Ganryu, White Mountaineering… Altrettanto significativo era poi il fatto che non pochi scambi commerciali avvenissero estero su estero: per esempio dopo l’esodo dei grandi nomi della moda tedesca verso Pitti, altri brand originari della Germania li avevano seguiti a Firenze perché altrimenti non avrebbero avuto un posto dove incontrare i clienti loro connazionali…

Terminato il confinamento in patria degli operatori asiatici, recuperato un sufficiente dinamismo in Europa, i numeri stanno gradualmente tornando a quei livelli, la battuta circola di nuovo e quello status, vero anche per altri importanti mercati, contribuisce a dare al nostro appuntamento la patente di riferimento mondiale per la moda e il lifestyle maschile, che a sua volta si riverbera sull’ampiamente maggioritaria presenza italiana. All’edizione in corso gli espositori sono 832, di cui 446 italiani e 386 provenienti da una trentina di nazioni estere, che diventano quasi una novantina se parliamo di compratori, mediamente il quaranta-quarantacinque per cento del totale, insieme a quasi un migliaio di giornalisti. In altre parole: al cuore della missione di Pitti sta la promozione dei prodotti e del prestigio della moda italiana e noi pensiamo che essa vada progettata e realizzata in un contesto di alta qualità e apertura internazionale. E c’è un altro elemento di cui tenere conto.

Gli espositori o ospiti esteri di alto livello, acquistano tessuti, filati e pelle di pregio in Italia, leader mondiale nei settori a monte della moda, e sempre in Italia hanno i terzisti di maggiore sapienza e affidabilità produttiva: lo svolgimento del salone offre numerose occasioni per l’incontro tra le parti. Quell’apertura verso l’esterno ispira da sempre anche il lavoro con i designer, gli investimenti sulla cultura contemporanea della moda, comprese le aree di scambio tra moda e altre forme artistiche. Nel corso degli anni con noi hanno lavorato, quasi sempre avendo carta bianca, protagonisti internazionali della moda e dell’arte contemporanea come Hedi Slimane, Raf Simons, Matthew Barney, Dries Van Noten, Juergen Teller, JW Anderson, Y-Project, Virgil Abloh, Ines van Lamsweerde, Gosha Rubcinsky, Craig Green, Andrea Zittel, Walter van Beirendonck, Haider Ackermann, insieme alle direzioni creative di brand come Maison Martin Margiela, Givenchy, Calvin Klein, Jil Sander, Y-Project, Carven – molti dei quali nella fase iniziale della carriera.

Per questa edizione, accanto a Luca Magliano, che rappresenta la meglio gioventù del design italiano di moda maschile, il programma di eventi speciali di Pitti Uomo, ruota intorno a una selezionata pattuglia di stilisti esteri. Steven Daley è l’emergente già sull’onda: ha ventisette anni, con il brand eponimo ha vinto l’LVMH Prize 2023, viene dalla working class di Liverpool ed è da lì che ha cominciato a lavorare, tra citazioni colte e allegri rivolgimenti di genere, su stili tic e tradizioni vestimentarie dell’upper class inglese. Per Achilles Ion Gabriel, scuola finnica, già direttore creativo di un noto brand spagnolo di scarpe, si tratta invece di un debutto nel pret-a-porter uomo, a cui forse aggiungerà quel tocco surrealistico di cui è accreditato. Sono espressione di una generazione giovane per anagrafe, matura per visione, sulla scia delle recenti presenze di Thebe Magogu, Grace Wales Bonner, Martine Rose, Eli Russel Linnetz. Alcuni di loro sono rimasti molto legati a Firenze: sarebbero emersi comunque o lo erano già, ma gli piace ricordare che su di loro Pitti ha acceso una luce: erano nel luogo giusto al momento giusto.

   

Lapo Cianchi è Direttore comunicazione ed eventi Pitti Immagine

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