Il foglio della moda
L'eskimo era brutto. Per questo motivo era perfetto
Dagli anni Sessanta, l'abbigliamento era un manifesto tra destra e sinistra. Oggi, la moda politica è più fluida, influenzata da media e leader. Dal potere dei jeans di Craxi agli stili di Veltroni e Bossi, il panorama politico italiano ha subito una trasformazione
Un tempo gente di destra e gente di sinistra si distingueva dai vestiti. Abiti firmati e tagli di capelli accurati, occhiali a goccia modello Aviator, tacchi, pellicce e gioielli erano appannaggio della destra. Abbigliamento etnico o da lavoro, bijoux, sandali tedeschi e zoccoli olandesi erano tutti di sinistra, ma anche cappotti siberiani. Portavo allora un eskimo innocente, cantava Francesco Guccini del capo più identitario fra tutti, e non troppo tempo fa ha detto: “Il mio eskimo non aveva alcuna ideologia: era solo una giacca che costava poco”. Un’ideologia invece c’era, perché stava male a tutti, quindi serviva a comunicare disprezzo per le forme e per il vezzo tutto italiano di presentarsi al meglio. Un vezzo giudicato borghese, per ingenuità: l’operaio di quegli anni sarebbe sicuramente andato in giacca e cravatta alla laurea del figlio dottore. Anche Giorgio Gaber, in “Destra-Sinistra”, metteva in fila molti concetti: “Le scarpette da ginnastica o da tennis hanno ancora un gusto un po’ di destra”, e poi, ancora: “I blue-jeans che sono un segno di sinistra, con la giacca vanno verso destra (…) I collant son quasi sempre di sinistra il reggicalze è più che mai di destra”. In effetti alle ragazze di sinistra era un po’ vietato essere deliberatamente sexy, era compromissione con capitalismo e patriarcato. Sia in Europa sia negli Stati Uniti le femministe portavano ampie gonne a fiori, zoccoli, scialli, era una sorta di manifesto globale dell’armadio femminile antiborghese. Ricordo quindi il mio stupore quando, nei primi anni Ottanta, incontrai a “NoiDonne, la rivista militante dell’Unione Donne Italiane, una delle più belle ragazze del tempo, Patrizia Carrano, che non me ne vorrà se celebro qui la nostra gioventù ma specialmente il suo fascino, ancora e per sempre vigente. Patrizia è veneziana, è bionda, metteva l’eyeliner, portava la veletta, indossava il reggicalze, ma era femminista come tutte noi. Si usa dire che le donne si autorizzano la libertà a vicenda, Patrizia mi autorizzò quella della biancheria stupida, per quanto la seta e il pizzo fossero schierati a destra, mentre il cotone era tessuto di sinistra.
Ma erano vicende soprattutto giovanili, o popolari, perché la politica istituzionale non ne era influenzata. Giorgio Almirante ed Enrico Berlinguer si vestivano con lo stesso stile, così come Nilde Iotti e Tina Anselmi. È stata forse la televisione commerciale a fare la differenza, però tutto era cominciato con il famoso episodio di Bettino Craxi che nell’agosto del 1983 si presentò in jeans al Quirinale per ricevere l’incarico di formare il governo, e viene ricacciato indietro dal Presidente Sandro Pertini - del resto i due si detestavano. I jeans portarono fortuna a Bettino, perché il suo governo durò tre anni pure in quei tempi di grandissima instabilità. Nel giro di quel decennio si compie la trasformazione, e già nei primi anni Novanta Walter Veltroni svecchia l’uniforme della sinistra, si ispira agli americani, si toglie la cravatta, indossa le button-down. Mentre a destra Umberto Bossi passa le estati in canottiera e camicia verde, Silvio Berlusconi, forse traumatizzato da quella moda proto-populista, suggerisce una forma di divisa da businessmen ai suoi deputati.
Le donne sono più libere, ma su di loro grava il sospetto della minorità, quindi si aggrappano allo stile maschile per combattere insicurezza e resistere alle tentazioni fantasiose. Le tentazioni fantasiose un tempo erano molto sospette, e si ricorda una compassata Nilde Iotti dispensare consigli - in realtà erano ordini - alle parlamentari comuniste incapaci di scegliersi un vestito e affezionate a certe scarpacce, intimando loro di costituirsi presso negozi di abbigliamento adeguato e di comprovata discrezione. Giorgio Armani ha poi dato la linea, codificando il power dressing nelle sue collezioni degli anni Ottanta, completi a giacca magnifici, così comodi che sarebbero andati bene anche per fare il partigiano. Armani diventa così il sogno proibito di tutte, proibito perché costa, e il lusso è ancora imperdonabile, ma anche perché un po’ di fisico ci vuole. Ho consigliato in grande confidenza un certo numero di donne politiche su abiti, scarpe, pettinature, non perché io sia particolarmente elegante, ma siccome ho imparato moltissimo da piccola, annoiandomi dalla sarta con mia madre e mia nonna, e poi collaborando con giornali di moda. Ho ancora in mente le lacrime di desiderio per un Valentino rosso versate da una donna politica, eccellente ma priva di grazia e molto incline al peccato di gola. E ho stimato profondamente l’atteggiamento libero e sfrontato di un’altra che per le conformiste avrebbe dovuto portare solo il nero e nascondere la sua taglia, mentre si è lasciata incoraggiare a seguire l’istinto e scegliere i colori che amava. È vero, esiste il decoro, anche se ormai le neodeputate in canottiere da discoteca in Aula hanno infranto il muro del suono, ma un regola certa è che l’eleganza si basa sull’agio, ovvero indossare qualcosa che fa sentire belle e appropriate e, anche se non fosse, facilmente sembrerà.
Alla Scala