27 giugno 2018, Germania, Gotha: l'ensemble della serenata "Marc Antonio e Cleopatra" suona al teatro Ekhof al castello di Friedenstein. (Getty Images) 

PRIMAFILA

Sovvertire l'ordine: oggi come nel Barocco. Le voci che sfidano i ruoli tradizionali

Raffaele Pe

Nel teatro musicale barocco, voci maschili e femminili sfidano le aspettative, svelando l'interiorità dei personaggi. I castrati del passato e i controtenori di oggi mostrano come l'arte superi limiti e categorie di genere

Il teatro barocco è storicamente il luogo più proprio per il travestimento e lo scambio dei ruoli di genere. Non basta un abito per fare il monaco nelle opere di Pietro Metastasio o di Lorenzo Da Ponte, e le voci delle messinscene sembrano fatte apposta per disattendere le attese, per suscitare meraviglia: dal timbro maschile del tenore, che si riteneva il più appropriato a dare voce ad anziane nutrici o linguacciute servette, fino a quello femmineo del soprano, che era invece considerato il più nobile e adatto per descrivere personaggi aristocratici ed eroici, soprattutto se maschi. Con questa ambizione favoleggiante fioriva la primavera dei drammi per musica nella Venezia del primo Seicento, per diventare poi un classico nel Settecento grazie all’intuizione di artisti come Giacomo Torelli, Filippo Juvarra, i fratelli Bibiena, e soprattutto nella musica di Alessandro Scarlatti, Nicola Porpora, Francesco Gasparini, Antonio Caldara. I loro eroi erano incarnati dalle star dei palcoscenici di quel tempo: i castrati. Farinelli, Senesino, Carestini, Caffarelli davano voce e corpo ai personaggi maschili e femminili del teatro musicale barocco, sfidando i limiti della tecnica vocale con colorature, volatine, trilli e appoggiature, oltre che quelli della fisiologia umana, arrampicandosi su fin nei registri di contralto e soprano, tradizionalmente appannaggio delle voci femminili. Chi avrebbe mai detto che voci così acute potessero rendere inaspettato e forse più umano Giulio Cesare, Nerone o Orlando, e che questa rivelazione potesse sorprendere anche il pubblico odierno.

 

Nell’immaginario barocco, i re e i leader della nostra storia antica non si ergono sopra troni granitici; comunicano piuttosto con voci morbide e adamantine, adatte a esprimere le vessazioni e il peso della politica, i doveri del regno, le ferite procurate dai dardi dell’amore. Ed è proprio in virtù di queste voci fascinose e ammalianti che si riteneva credibile in teatro il trionfo della grazia e della bellezza sopra le brutture della vita quotidiana. Con l'opera barocca, la grande storia del passato veniva per la prima volta drammatizzata, resa musicale nei suoi lati più spigolosi, in un'indagine che si spingeva fin giù nei meandri più profondi e intriganti dell'interiorità dei suoi protagonisti. Forse con una libertà anche superiore rispetto alle epoche successive. Quasi che dai registri vocali sovracuti scaturisse una forza dirompente capace di fare piazza pulita di tutti gli stereotipi, per svelare infine l’uomo in tutta la sua affascinante varietà caratteriale. Come se l'eccentricità e la "stranezza" - oggi diremmo "queerness" - di queste sublimi voci maschili potessero mettere in crisi i modelli ereditati.

 

Dobbiamo arrivare a oggi, infatti, per trovare una riflessione tanto approfondita quanto quella dell'arte barocca sulla fluidità di genere, sul patriarcato o sull'emancipazione dai ruoli. Da sempre la voce palesa in modo naturale le differenze tra maschile e femminile, ma altrettanto naturale per il corpo è superare questi limiti di registro vocale verso l'acuto o il grave. L’uomo lo fa da sempre: si pensi alle tradizioni religiose di tutto il mondo, dagli sciamani ai muezzin, o a quelle folcloriche, dall'Asia ai canti popolari sardi. Allo stesso modo, anche i registri femminili hanno sperimentato un percorso simile, incarnandosi in corpi maschili. La storia del teatro infatti, ha poi accantonato il mondo artefatto dei castrati per favorire l’intonazione di ruoli maschili scritti nei registri acuti da parte di cantanti donne “en travesti”, cioè travestite in scena con pantaloni e corazza per ricreare sembianze di uomini, o presunti tali. Nelle opere serie di Rossini ci sono moltissimi esempi emblematici e nelle loro incisioni delle interpreti moderne, spesso al solo ascolto si fatica a discernere il genere di chi canta, tanto gravi e scuri possono essere i timbri vocali. Solo in anni recenti il desiderio iperrealista dei registi e del pubblico, abituato al cinema e alla tv, ha ricreato la necessità di vedere in scena corpi maschili che cantano ruoli di uomini. Di qui l'ascesa di sopranisti e controtenori, che da un lato ha portato a compimento la vicenda storica dei castrati e dall’altro ne ha immaginato una versione moderna non solo accettabile perché "non violenta", ma anche accattivante e attendibile perché più “verosimile”. 

 

L'opera barocca ha quindi messo al centro per prima il superamento di limiti e categorie, rendendo possibili valori allora nuovi come il travestimento e il travisamento consapevole. Questo non solo ha conferito alla percezione dei sessi una dimensione nuova e molteplice, ma ha aperto la strada ad accogliere con interesse quell'instabilità di genere che in modo anacronistico è ancora oggi percepita da qualcuno come pericolosa e sbagliata. Ha anche messo in crisi il perpetrarsi di privilegi storicamente favorevoli per il maschile. Il potere era quello dell'uomo. La scala sociale era a favore del maschio. Con una prospettiva davvero avanguardistica, il barocco ha scardinato tutte queste regole, affidando alle voci soavi dei castrati una serie di personaggi storicamente noti come maschi alfa. E lo straordinario successo di questi cantanti, paragonabile a quello delle maggiori popstar di oggi, ha rivelato tutta la potenza seduttiva di queste voci, libere da ogni categorizzazione e utilizzabili come straordinario strumento di conquista. La storia della fluidità era stata tracciata.

  

Raffaele Pe è controtenore, fondatore e direttore artistico dell'Orfeo Week di Lodi. Sarà al Festival di Spoleto 2024 per “Orfeo ed Euridice” il 5 e il 6 luglio con la regia di Damiano Michieletto

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