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Miti d'oggi (e di ieri)

Dopo JFK e Jackie, tornano sotto i riflettori estetici e commerciali John John e Carolyn Bessette

Tony di Corcia

Camelot Revisited, I told ya. Riflessioni e referenze attorno al mito del kennedismo di seconda generazione, saccheggiato da libri, film, t-shirt e collezioni

È affascinante osservare la storia d’amore che lega gli europei alla famiglia Kennedy. Quando il fenomeno sembra conoscere momenti di calo, immancabilmente un episodio o una scoperta, piccola o grande che sia, contribuisce a riaccendere l’attenzione su Camelot. Un’asta, una collezione di moda, un film, le due cose insieme. Prendete il film “Challengers” di Luca Guadagnino, che mescola terra rossa e lenzuola, un triangolo sensuale che rievoca con molta precisione atmosfere ed estetiche di due decenni fa. In due momenti particolarmente coinvolgenti del film, che vedono Zendaya e Josh O’Connor scontrarsi o incontrarsi a seconda del caso, entrambi indossano alternativamente una riproduzione della t shirt “I told ya”, che John Fitzgerald Kennedy jr indossava in una celebre foto paparazzata nei primi Anni Novanta e che a sua volta citava lo slogan “I told you so” usato durante la campagna elettorale del 1961 dal padre: era riportata sulle spillette che venivano distribuite come gadget durante i comizi. Oggi, Jonathan Anderson, direttore creativo di Loewe al quale Guadagnino ha chiesto di curare i costumi del film (nelle sue opere i costumi meriterebbero sempre lo status di co-protagonisti), ha ripreso quella t shirt e quello slogan, trasformandoli nel fenomeno commerciale dell’estate che, dunque ha più di sessant’anni di vita, e attraversa storia, politica, costume. Anderson ha più volte dichiarato di essersi ispirato a John John Kennedy per il personaggio di Patrick, ricco, viziato, di inimitabile sciatteria chic. Il figlio di JFK e di Jacqueline Bouvier, forme apollinee, sguardo diretto, non era solito ricorrere a un abbigliamento vistoso: i suoi completi erano sempre essenziali, fluidi, comunicavano scioltezza e rilassatezza, e la scelta di indossarli magari con un berretto portato al contrario non faceva che smitizzare abiti che su altri sarebbero risultati più formali o addirittura banali, come le tenute con cui faceva sport all’aperto per la gioia dei paparazzi. 

“I told ya”: nella versione togata a trecento euro o in quella più abbordabile proposta da Etsy, questa frase brillante e saputa è una specie di epidemia che incornicia il volto di ragazze, celeb o presunte tali, influencer bisognose di un rilancio, firme della moda. Le immagini pubblicitarie di Loewe, come a voler riconoscere il credito di questa intuizione, ritraggono Tommy Hackett in un prato che ripete gli scatti al giovane Kennedy (identici anche il cane e il fresbee bianco, la ricostruzione è stata meticolosa). Bisogna riconoscere che gli elementi perché questo capo diventasse virale c’erano tutti: lo ha pensato un designer massimamente ammirato per un regista estremamente immaginifico; come se non bastasse, Zendaya la indossa a tutte le anteprime del film. Non bisogna trascurare, però, il Kennedy touch che avverava fenomeni simili ben prima che si affermassero i social e la viralità del web.

Ci riuscivano, in modo eccellente, John John e sua moglie Carolyn Bessette. Furono le più perfette e influenti celebrità del loro tempo grazie a una serie di qualità (la filantropia, l’impegno culturale, la riservatezza) ma anche grazie a un’immagine che rispecchiava la rivoluzione estetica in atto: venivamo da anni di overdressing e iperpresenzialismo, di esagerazioni ed eccessi, e loro spiccavano per understatement, per pulizia, per sottrazione. Vincevano per una dote che potremmo riassumere col termine “asciuttezza”: in tutte quelle situazioni in cui noi europei risultiamo puntualmente ridondanti, loro opponevano con garbo e compostezza un’immagine di abbacinante semplicità: lui con questa eleganza che sfiorava pericolosamente senza mai valicarlo il territorio della banalità, lei con il suo rifiuto di ogni orpello, di ogni forma di make up vistoso, puntando su stilisti che del pensiero minimalista erano stati precursori o erano convinti promotori: Calvin Klein, per il quale Bessette curava la comunicazione, Narciso Rodriguez, Yohji Yamamoto. Anche se si rivolgeva a maison come Versace, riusciva a selezionare gli abiti più severi e lineari che il marchio realizzava dopo la svolta conservatrice dell’autunno/inverno 1994/1995. Era in corso una rivoluzione estetica, i codici del glamour erano stati riscritti, e loro erano gli interpreti ideali per amplificarne la portata.

È indubitabile quanto le loro esistenze romanzesche, con tanto di finale tragico, abbiano contribuito ad amplificare il loro mito. Le ripercorrono continue pubblicazioni, l’ultima è italiana e si intitola “John Kennedy junior e Carolyn Bessette. Due icone immortali”, firmato dalle giornaliste Ursula Beretta e Maria Vittoria Melchioni per la piccola casa editrice Minerva. Tra le pagine si alternano, necessariamente, le luci e le ombre che hanno avvolto i loro profili, ed è inevitabile il riferimento alla loro capacità di catalizzare l’attenzione internazionale non solo attraverso i loro progetti, come il lancio della rivista “George” pensata e diretta da Kennedy junior, ma forse soprattutto grazie all’immagine luminosa che restituivano quando comparivano insieme. In questo sono stati degni eredi dei genitori di lui, che qualche decennio prima elettrizzavano il vecchio continente con le loro visite di stato, gli incontri con la Regina Elisabetta o le vacanze in barca con Gianni e Marella Agnelli. Questo prima di Dallas, e del sanguinoso epilogo della vicenda umana e politica di JFK; poi Jackie ha proseguito in solitaria, con le sue vacanze italiane, l’amicizia con Valentino, le sorprendenti nozze con Aristotele Onassis: ogni suo movimento, continuamente osservato attraverso gli obiettivi dei paparazzi, la confermava nel ruolo di icona di eleganza che tuttora le viene riconosciuto. Lo conferma la prima collezione di Alessandro Michele per Valentino: molti capi sono una versione ripensata, ma neanche troppo, di abiti indossati dalla migliore ambasciatrice che la maison abbia conosciuto dalla sua fondazione in momenti cruciali della sua esistenza cinematografica o in altri più privati, eppure sempre celebrati da Ron Galella, che la attendeva per ore all’uscita di un ristorante o di una prima teatrale, instancabile.

Anche l’eleganza di Carolyn Bessette continua a essere di massima ispirazione, anzi potrebbe essere considerata una delle divinità protettrici dell’ondata quiet luxury degli ultimi tempi. Tra i profili Instagram, luogo deputato ai culti nostalgici, c’è Cabmate che rievoca quella forma di bellezza che prese piede nel cuore degli anni Novanta. Kate Moss, Gwyneth Paltrow e altre attrici sono riproposte nelle immagini di quel periodo con addosso mai più di tre pezzi di vestiario, e non per abusare dell’adagio “less is more”, quanto per celebrare un’eleganza americana che aveva in Halston il padre nobile e Helmut Lang come agente provocatore esterno. Di questo linguaggio era icona assoluta proprio Bessette, che nel profilo compare assai frequentemente col suo sguardo sfuggente e la sua silhouette sottilissima. 

Jackie, John John, Carolyn. Il fattore Kennedy è come un sortilegio, potente quanto la maledizione che aleggiava sulla famiglia e non ha risparmiato molti dei suoi componenti, e continua a influenzare, condizionare, colonizzare il gusto europeo. Riaffiorano le loro posture, il loro modo di muoversi, i fantasmi dei loro abiti. Alle ultime sfilate maschili, Armani ha presentato le sue giacche fluide come bluse: John John ne indossava di simili quando veniva in Italia a fare incetta di inserzioni pubblicitarie, proprio tra gli stilisti, per il suo magazine. E nelle collezioni femminili si scorgono pezzi che a Carolyn non sarebbero dispiaciuti, tanto ricordano l’alfabeto del suo vestire. Gli abiti di Prada che aprono la sfilata per questa estate, con i tasselli a taglio vivo, o il lungo abito grigio di Victoria Beckham che avvolge il corpo coprendolo tutto. Phoebe Philo, poi, propone dei pezzi che veramente sembrano presi direttamente da quel guardaroba: come la lunga gonna a colonna, inflessibilmente austera, come quelle che Carolyn portava con il dolcevita nero. Come tracce che riaffiorano da quel passato. Erano cari agli dei come chi muore giovane ma, evidentemente, anche all’immaginario collettivo di un intero continente.