il foglio della moda
Sulla moda pulita possiamo permetterci di dare lezioni
Federico Marchetti, che si definisce “uno squalo travestito da pesciolino”, è anche l’uomo che ha inventato il passaporto digitale per i vestiti e che presiede la Fashion Task Force della Sustainable Markets Initiative voluta da re Carlo III. Di Cina e India si fida pochissimo. E ha parecchio da dire anche sulla moltiplicazione degli appuntamenti dei grandi marchi
Sorseggia un caffè seduto al tavolino del bar del centro di Milano in posa plastica: abito Armani color sabbia, occhiali dalla montatura sottile, fisico snello di chi riesce a trovare il tempo per andare in palestra in un’agenda pur fittissima, voce pacata e toni confidenziali ma s’intuisce inflessibili. “Uno squalo travestito da pesciolino”, si definisce Federico Marchetti nell’autobiografia “Le avventure di un innovatore”, scritta con Daniela Hamaui. “Ma la metafora va intesa come necessità di non smettere di nuotare, nel business del lusso: se ti fermi affondi”. Ravennate, nato nel 1969, per diventare il gentleman di oggi ha studiato, mentre non studiava affatto ma era sempre il primo della classe già in tenera età. Le mitologie romagnole lo tramandano come dotato di ingegno leonardesco fin da bambino, tanto che a scuola si sforzava di farsi dare un risicato sei alle interrogazioni, per non farsi bollare dalle ragazze come quello che in realtà era ed è rimasto: “Un secchione”. Oggi se lo dice da solo e anche con un certo compiacimento anche nel libro, dove insiste molto sulla fenomenologia di sé come vittorioso self made man. Il papà Giancarlo era capo magazziniere della Fiat a Ravenna, la mamma Lidia telefonista alla Sip, trascorreva le estati solo ai Bagni BB King di Punta Marina, facendo grandi partite a tennis, insomma vita di provincia. Afferma di essere un avvocato mancato, ma contemporaneamente attesta che si è preparato per l’intervista “perché quelli del “Foglio” sono precisi” anche se poi, si lascia volutamente sfuggire un “Era ora, finalmente!” quando gli chiediamo che cosa pensi delle leggi approvate dal Parlamento Europeo che riguardano la moda. Sono quelle che prendono in esame la progettazione eco-compatibile, il monitoraggio della filiera e delle catene di approvvigionamento, la diffusione di informazioni attendibili su prodotti che, in passato, venivano definiti solo “green” che porteranno le aziende, entro il 2030, a dotare i propri prodotti di un passaporto digitale. Proprio lo stesso che lui sostiene aver utilizzato “dal 2017, quando ho deciso di utilizzare un sistema che consentisse ai clienti, utilizzando una semplice scansione con lo smartphone, di accedere a tutte le informazioni su ogni singolo capo”.
A Marchetti interessa più parlare di Europa che di Unione Europea: “Siamo piccoli, abbiamo meno risorse rispetto agli enormi apparati produttivi di abbigliamento in Cina, in India e in generale nell’Estremo Oriente; ma se iniziamo a essere di esempio, tutto il pianeta andrà migliorando: in fondo, il nostro compito è questo, dare il buon esempio. Il problema casomai è un altro”. E qual è? “Bisognerebbe iniziare subito, altro che il 2030. E dovremmo cominciare tutti, ma proprio tutti. Ricordo le parole di Alexander Langer, il fondatore dei Verdi italiani e uno dei leader del movimento verde europeo: “L’ecologia è un’utopia possibile per tutti e non un sogno per pochi. È un nuovo modo di stare al mondo”.
La sostenibilità è un argomento che sembra sempre al di sopra di noi, di cui devono occuparsi i governi, il potere, gli stati. Invece, ognuno per suo conto, dobbiamo fare piccoli passi nella vita quotidiana. Ci pensi: solo venticinque anni fa si poteva fumare sugli aerei, poi è stato possibile vietare le sigarette nei locali, nei cinema, nei ristoranti. Perché non dovremmo fare lo stesso con la moda, che inquina tantissimo? Finalmente il Parlamento europeo se n’è accorto: l’industria della moda è responsabile dal cinque al dieci per cento delle emissioni globali di carbonio. Mi sono documentato: nel 2020, un anno in cui tutto sommato non ci siamo mossi da casa e non abbiamo acquistato tanto, per fornire abiti e scarpe a ogni cittadino dell’Unione europea, sono stati utilizzati nove metri cubi di acqua, 400 metri quadri di terreno e 391 chilogrammi di materie prime”.
Agire subito. Diventare piccoli attivisti. Capire che solo l’innovazione potrà salvarci anche se in Italia «e l'ho detto pure al ministro Adolfo Urso, quanto sia grave che in Italia non vi sia più un ministero dell’innovazione, lo scriva pure”. Sono i mantra che ripete e si ripete, credendoci davvero. Ha molta fiducia nella tecnologia: “I. A.? Per me non sta per “intelligenza artificiale”, ma per “intelligenza aumentata”: gli strumenti settoriali ci aiuteranno a elaborare miliardi di dati come la mente umana non riesce a fare”. Vuole attivare grandi campagne di social marketing per convincere tutte le persone, inseguendole nei luoghi di ritrovi reali e virtuali. Parlando da padre, come direbbe Salvini, come spiega ai ragazzini di oggi che non è proprio lineare andare venerdì ai Fridays for Future e di sabato fare la fila davanti ai negozi di vestitini low cost? “Anch’io sto convincendo mia figlia a non cedere a certe lusinghe della moda facile, perché coinvolge ragazzini lavoratori della sua età e produce cose che non durano niente e non regalano emozioni. Credo moltissimo nel potere dell’esempio genitoriale e in quello della formazione”.
La ricetta del “comprare meno, ma meglio”, è un ritornello che tornerà più volte nella chiacchierata: un consiglio che sembra ormai uno stereotipo, osserviamo. Soprattutto quando tutti i più noti e togati luxury brand del mondo cercano visibilità e vendite in sfilate resort, cruise, pre-fall, capsule che si vanno a sovrapporre a quelle principali: sembra che il sistema della moda di prima fascia per prezzi e firme, stia copiando pari pari il calendario e le scansioni temporali della tanto detestata fast fashion. “Eh, cosa devo dirle? Ha ragione”, esala Marchetti. “Ammetto che anche in un certo tipo di produzione sofisticata si vada innalzando un certo “fashion warming” dettato proprio dalla rincorsa ai fatturati e al guadagno più alto possibile, soprattutto per quello che riguarda i grandi conglomerati francesi”. E comunque, “tutte queste leggi approvate dal Parlamento, noi le avevamo individuate da tempo”. Non sta usando il plurale maiestatis: Marchetti va molto fiero della relazione amicale con Re Carlo III, che addirittura l’ha soprannominato “My Secret Italian Weapon”, la mia arma segreta italiana. “C’è una bella chimica tra di noi”, afferma con voce innamorata. Lo squalo-pesciolino da imprenditore della moda si metamorfizza in alfiere della sostenibilità quando nel 2018, a pochi giorni dalla Brexit, invita l’allora principe di Galles a Londra a inaugurare un nuovo centro destinato ad accelerare per accelerare l’innovazione della sua azienda, Yoox. La scintilla scocca quando si rendono conto di calzare scarpe dello stesso brand (“Church’s?!”, buttiamo lì, temerari. “Ma no, John Lobb!”, risponde scandalizzato). È subito intesa, corroborata da visite reciproche incorporate di rispettive consorti e regali bizzarri: sarà proprio sua moglie a suggerire a Federico uno spremidentifricio come dono al suo nuovo amico, dopo aver letto che era equipaggiato di valletto preposto a mettere il dentifricio sullo spazzolino (Marchetti ha una vera ossessione per i regali ad personam: a Bill Gates ha donato una copia di “Amarcord” di Fellini, restaurato grazie al suo supporto).
Quando si conoscono, Marchetti è ancora ceo di YNAP, ex leader mondiale della moda di lusso online nato dalla fusione dei due gruppi di moda che ha cambiato le abitudini di shopping di milioni di persone: Net-a-Porter e Yoox, fondato nel 2000. L’idea è semplice: prendere gli abiti dei grandi marchi rimasti invenduti e dare loro una seconda chance, a prezzi più calmierati “ma con un sito bello, all’italiana, mica come Amazon che non è mai riuscito e mai riuscirà a vendere moda online”.
Nel 2018, colpo da squalo-e-basta: vende YNAP al gruppo Richemont per oltre cinque miliardi di euro (ora vale 800 milioni) e assicurarsi una vita serena per innumerevoli generazioni, a cominciare dalla sua, che comprende la figlia Margherita detta Maggie, la moglie Kerry Olsen, giornalista per il “New York Times”, il “Wall Street Journal” e Vogue America. Ma non rimane a godersi la ricchezza come avrebbe fatto qualsiasi persona di media furbizia: nel 2021, Charles Windsor gli chiede di presiedere la Fashion Task Force della Sustainable Markets Initiative. In un settore noto per l'individualismo, Marchetti riesce a mettere d’accordo grandi aziende globali del lusso come Chloe, Armani, Burberry, Cucinelli, Stella McCartney e Prada attorno a un obiettivo comune: la transizione verso un'industria circolare che produca azioni positive sul clima e sulla salvaguardia del pianeta. C’è un altro componente nell’ideale albero genealogico marchettiano: se il fratello con cui può scherzare è re Carlo, il papà putativo è Giorgio Armani. Il designer-imprenditore ha scritto nella prefazione al libro: “Federico si è fatto da sé, immaginando molto e lavorando di più: lealtà, imprenditorialità, qualità di leader. In lui ritrovo qualcosa di me: dei miei ideali e del mio modo di agire e pensare”. Marchetti è l’unico non “di famiglia” che sieda nel consiglio d’amministrazione del gruppo di Armani. E infatti, Marchetti ha chiamato proprio Armani e Brunello Cucinelli per il secondo grande intervento per la Task Force con il programma di moda rigenerativa. Con i due imprenditori dello stile, ha sviluppato iniziative che hanno come obiettivo di ripristinare paesaggi degradati dell'Himalaya e di una zona della Puglia. L’obiettivo è sviluppare luoghi di agroforestazione - termine derivante dalla parola inglese agroforestry - e valutare così nuovi modi per produrre cashmere e cotone impiegando personale locale e investendo nelle economie rurali. Ma altri progetti verranno: “A differenza di Anna Wintour che, diciamo, non ha proprio l’Italia nel cuore, ogni volta che vado a prendere il tè a Buckingham Palace, circondato dai Canaletto e da tante opere d’arte di artisti italiani, capisco l’amore di Carlo per il nostro Paese”.
Alla Scala