Magazine

Il Red Carpet del nulla dell'estate culturale italiana

Fabiana Giacomotti

Festival al confine con la sagra, budget risicati e vecchie star corteggiate per la foto social, tanto che ci sono star che rinunciano a partecipare agli eventi piuttosto che essere pagato poco. Una rassegna

"Non mando più i miei clienti a fare marchette da anni; che, poi, i cachet di un tempo bisogna dimenticarseli. Dare lustro al politico locale per mille o duemila miseri euro non ha senso: una volta pagate le tasse non ti resta in mano niente. È infinitamente meglio partecipare a titolo gratuito a un festival prestigioso, con ospitalità a cinque stelle e garanzia di copertura mediatica adeguata", dice senza mezzi termini, ma solo perché gli ho garantito l’anonimato, l’amico pazzo di moda e accessori fetish, agente di tre fra le più grandi star del cinema italiano. È appena rientrato a Roma dal Giffoni Film Festival che, nonostante la storia ormai cinquantenaria, la fama internazionale e un programma di qualità indiscutibile, pare che quest’anno abbia faticato a raggiungere la sostenibilità economica, restando in forse fino all’ultimo, da cui ovvie difficoltà nella gestione degli appuntamenti e degli ospiti. Ma se voleste percorrere le coste italiane da oggi fino a fine estate, vi trovereste un programma fittissimo di kermesse minori e di nomi di pregio ricorrenti, molto in auge per esempio Chiara Francini e Paolo Crepet, che trascorrono la propria estate in tour promozionale, si spera ben remunerati ma è anche possibile in cambio di merce; chiacchiere pubbliche contro massaggi nella spa, con il palco issato alla meno peggio in tubi innocenti e assi di legno sul lungomare, nella speranza di vendere qualche centinaio di copie dell’ultimo titolo, di staccare qualche biglietto in più al prossimo film, di strappare una consulenza artistica, con la bancarella gestita dal libraio locale accanto alla prima fila delle sedioline di plastica scomodissime.
 

Solo Rapallo, fra le tante mete storiche, offre il vantaggio di un maestoso chiosco della musica, costruito in anni fascisti benché progettato ancora in stile Belle Époque. Chiamarlo così, come si trova anche sulle enciclopedie, è riduttivo: padiglione sarebbe più adeguato per le sue dimensioni, e anche per le ambizioni di chi ne sale i gradini. Venne progettato dal geometra Luigi Devoto, locale fin dal cognome, e sovvenzionato dagli emigrati rapallini in Cile per dimostrarne la prosperità raggiunta e al tempo stesso intrattenere le signore all’ora del tè con musichette in voga e concerti di musica classica sotto la volta affrescata col pantheon della composizione musicale occidentale, dal barocco di Haendel al verismo di Giacomo Puccini morto cinque anni prima dell’inaugurazione, ora invero molto sbiadita nonostante i ripetuti restauri: la salsedine non perdona e gli usi non cambiano mai, semmai si involgariscono. Per questa estate, l’appuntamento clou della cittadina il cui ex sindaco, il forzista Carlo Bagnasco, sta tentando l’avventura nazionale, è una gara di pesto al mortaio nell’ambito del programma “Expo Rapallo 2024”, qualunque cosa voglia dire. Soldi veri per chi intrattiene e si dà da fare in questi appuntamenti, pochi e molto in ritardo anche se ci si sobbarca da moderatore il programma di una settimana, parlo per esperienza personale perché, quando finalmente arrivarono le poche centinaia di euro pattuite in un paesino di montagna gradevolissimo dove mi avevano gentilmente pregata, stentavo a ricordarmene la ragione.
 

In queste occasioni estive, i villeggianti che, diamine, dovranno pure trascorrere la serata in cambio della sontuosa tassa di soggiorno che pagano, vengono di solito ad ascoltarti con il gelato in mano e una finestra di disponibilità uguale se non inferiore al tempo di consumo del cono: se la discussione o la musica o la presentazione non li divertono, terminano di sorbire il due gusti con panna e se ne vanno, mollando in genere sulla seduta anche il tovagliolino di carta impiastricciato, di modo che non si accomodi più nessuno. Con il celebre pianista Luca Ciammarughi, anni fa ci ritrovammo sul corso di una cittadina della Valle d’Itria a parlare del ruolo sociale del pianoforte nella società patriarcale dell’Ottocento; la scelta del tema era sciaguratamente eccentrica, mea culpa, dunque potete facilmente immaginare come andò: grande turn over di coni, molti tovagliolini abbandonati. Quando finalmente ci decidemmo a liberare il palco, arrivò una gloria locale, forse la figlia minore di un notabile, batté un po’ a casaccio sui tasti ma raccolse un pubblico folto ed entusiasta: fu una grande lezione, al termine della quale andammo a fare shopping al mercatino vintage, trovandovi delle rarissime lenzuola di canapa che mi consolarono parecchio.
 

Oltre all’over tourism dei ciabattanti Airbnb che a Barcellona vengono respinti dai residenti con gli idranti e a Roma manca poco, da qualche anno a questa parte bisogna contare infatti anche l’intenso traffico di attori, cantanti, scrittori e giornalisti di ogni ordine e grado che corroborano i palinsesti estivi dei comuni grandi, minori e dimenticati – questi ultimi soprattutto – sostenuti da regioni, municipalità e da qualche sponsor perlopiù locale, in genere poco numerosi: quelli servono alle iniziative private, che pagano – anche giustamente, ci mancherebbe – gli spazi pubblici di prestigio di cui viene loro concesso l’utilizzo, talvolta perfino quando vengono nobilitati dalla patente di “grandi eventi” che dovrebbe esentarli dalla tassa. Per chi gode di sole sovvenzioni pubbliche, ci dovrebbero essere le rendicontazioni alla fine dell’evento, cioè i contributi emessi ex post: le cronache giudiziarie o anche certe delibere sulle quali i consiglieri si scontrano al calor bianco e che ormai finiscono sui social ben prima che sui giornali, ci hanno insegnato che l’ante, parziale ma già poderoso, è spesso la regola perché è raro che questi organizzatori a cui i comuni si affidano abbiano le risorse per anticipare anche un catering di pizzette, ma a chi volete che importi, quando in ballo ci sono i turisti da intrattenere e le ghiotte photo opportunity che andranno a rafforzare carriere politiche ambiziose per le quali non bastano mercatini vintage e nemmeno i fuochi di artificio, che ormai si possono concedere anche le giovani spose sul Lago Maggiore, un botto ogni duecento metri perché si sposano tutte a luglio e tutte vogliono la festa pubblica, modello “Bridgerton” col popolo festante, da postare sui propri account.
 

Conclusi i tempi degli arrosticini, archiviati i lugubri campeggi abruzzesi dell’“Età fragile” che vanno come ovvio a raccontarsi in luoghi più ameni con la loro ottima autrice premio Strega in abitino Etro molto mal consigliato, nobilitata la sagra del porcino del parmense a straordinaria esperienza gastronomica e quella della castagna a festa indimenticabile per i bambini, mal di pancia incluso, oggi la parola chiave dell’estate italiana è la cultura. Dunque libri, politica, film, spesso e anzi preferibilmente tutti insieme. Vorrei insistere su questo punto perché, trovandomi la settimana scorsa a Taormina per la venticinquesima edizione di Taomoda con alcuni fra i più importanti imprenditori, stilisti e manager del settore come Marco Bizzarri, Antonio Marras e Mario Dell’Oglio, percorrendo corso Umberto I, all’altezza di piazza IX Aprile ci siamo imbattuti nel surreale red carpet costruito di fronte all’incantevole chiesa di san Giuseppe per il Taormina Film Festival che, in un poderoso utilizzo di materiale metallico, iniziava e finiva nel nulla del passeggio serale, oscurando la vista dell’Etna ma consentendo il bagno di folla agli ospiti del festival e in particolare all’unica attrice che nulla c’entrava con il programma, peraltro pregevole e molto ben costruito dal direttore artistico Marco Muller, e cioè Sharon Stone. Vestita dallo stesso Marras che appunto si trovava già in città per la sfilata al Teatro Greco con l’abito stile burnus già indossato da Marisa Berenson alla presentazione milanese dello scorso settembre, illuminata da gioielli del celebre marchio degli Anni Sessanta Coppola e Toppo, ora di proprietà del giovane imprenditore siciliano Pietro Paolo Longhitano, la signora Stone che ormai gira film minori e viene sempre costretta a ripetere la storia dello scavallamento inguinale di “Basic Instinct” e a giustificare con osservazioni profonde il suo eccezionale quoziente intellettivo, ha ottenuto la famosa copertura mediatica alla quale ambiscono i politici di oggi un po’ di più di quelli di ieri. Sul red carpet a ferro di cavallo, che riconduceva cioè a se stesso come in un film distopico, sono dunque accorsi tutti i politici regionali a scattarsi la foto con la signora Stone, illuminandone poi sui rispettivi account Instagram le stesse identiche qualità intellettive magnificate dai colleghi dei quotidiani, anche loro giunti in massa perché, dopotutto, come dire di no a Taormina e al red carpet concettuale, nonostante fosse lontano più o meno un chilometro dal palazzotto congressuale dove si tengono le anteprime dei film, restaurato o per meglio dire reso agibile di recente dal sindaco Cateno De Luca dopo anni nei quali ti consigliavano di non utilizzare l’ascensore, per carità. Attorno al red carpet di fantasia sostava la solita folla del cono, del selfie d’occasione e, ovviamente, dell’agnizione anagrafica della star e conseguente controverifica personale, riassumibile nell’osservazione: “Ma guarda com’è invecchiata anche lei”, che rappresenta la massima soddisfazione di qualunque signora si sia dovuta accontentare per tutta la vita di scavallare le gambe all’indirizzo del marito o degli avventori del bar sotto casa: nulla ci rafforza nella nostra autostima più della vecchiaia dei ricchi e famosi.
 

Dicono i ben informati locali, ma non ho avuto conferme ufficiali per cui prendete il dato com’è, cioè apocrifo, che il programma del festival avrebbe potuto essere ancora più raffinato e ricco di ospiti internazionali, per esempio di Nicolas Cage che all’ultimo minuto ha accampato problemi familiari, se non fossero venuti improvvisamente a mancare circa duecentomila euro promessi alla Fondazione Taormina Arte per la rassegna cinematografica, dove da meno di un anno è stato nominato un commissario straordinario, il funzionario regionale Sergio Bonomo. L’informazione suona quanto meno curiosa visto che, poco più di tre anni fa, l’Assemblea Regionale Siciliana approvò in finanziaria un sostegno annuale garantito di 400 mila euro alle sue due manifestazioni culturali più prestigiose, lo storico festival del cinema appunto e Taobuk, ma par di capire che quest’ultima kermesse, nata nel 2011 per volontà di Antonella Ferrara che all’epoca gestiva la libreria Mondadori di Taormina, grazie al supporto di Franco Di Mare, e che oggi è diventata una passerella internazionale d’arte, cultura e politica bipartisan di assoluta rilevanza e altrettanto celebri sfondoni, l’ultimo per voce del ministro della cultura Gennaro Sangiuliano sui supporti scientifici garantiti un po’ anzitempo ai viaggi di Cristoforo Colombo, stia occupando spazi sempre maggiori e ricevendo sostegni sempre più cospicui. Una delibera regionale della scorsa primavera ha assegnato all’“Associazione Culturale Taormina Book Festival di via Francavilla 23”, a Trappitello, popolare frazione sulla strada per Giardini Naxos, l’organizzazione degli “Stati Generali per il Cinema in Sicilia”, che si sono tenuti a Ortigia lo scorso giugno e dove, come si dice in questi casi, non mancava nessuno, dalla presidente del Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo, Francesca Paola Assumma, al presidente dell’Anica Francesco Rutelli, nella stessa logica bipartisan che governa sapientemente Taobuk ma che spinge inevitabilmente e progressivamente il Film Festival verso una zona d’ombra. La libreria Mondadori nel frattempo è stata chiusa, e nella cittadina che ufficialmente ospita il secondo evento più rilevante per l’editoria libraria dopo il Salone di Torino non c’è più un indirizzo dove poter comprare un libro ad esclusione della piccola edicola sul corso che provvede anche alle ricariche telefoniche, mais après tout, qui s’en fout: è estate, abbiamo alle spalle un lungo inverno caldissimo dove non si è venduto un cappotto e la neve è arrivata fuori tempo massimo. Bisogna pur divertirsi.

Di più su questi argomenti: