Isabella Ducrot, Cretonne Rosa, 2016

Il foglio della moda

Letture alla moda

Fabiana Giacomotti

Edicole che distribuiscono ghiaccioli e libri gratuiti, pubblicità con copertine in bella vista, perfino la cerimonia delle Olimpiadi girata nella grandiosa salle de lecture della BnF. Il business dei vestiti ha trovato il nuovo accessorio di tendenza

Siamo andati a controllare, sembrava ieri e invece era il 2019, un’epoca fa, quando Valentino strinse un accordo con alcune fra le più importanti librerie indipendenti dell’Occidente e, partendo dallo Strand bookstore nell’East Village di New York, portò testi e autori scarsamente conosciuti al grande pubblico, molto poco mainstream, al centro dell’interesse dei giovani. Erano gli anni in cui Pierpaolo Piccioli, che avrebbe guidato la creatività della maison romana fino alla scorsa primavera, faceva ricamare nelle fodere dei cappotti e lungo le maniche delle giacche versi di alcuni poeti contemporanei come Robert Montgomery, Greta Bellamacina, Mustafa The Poet e Yrsa Daley-Ward, che non è un’eccentricità contemporanea, ma una pratica in uso in quasi tutte le culture, fin dai tempi più antichi e con particolare insistenza nel secondo Ottocento, quel secolo che sembra tanto materialista e che invece era potentemente esoterico. Fazzoletti, ventagli, il risvolto interno dei guanti, a contatto con quella parte del corpo all’epoca molto erotizzata che era il polso: volendo, si potrebbe costruire un romanzo, mettendo in fila una dopo l’altra le frasi, i motti, i versi ricamati in punti noti solo al proprietario del capo, il “filo nascosto”, per citare uno dei film più amati dell’ultimo decennio sulla moda.

D’altronde, la nozione di “charme” che è così strettamente legata all’affermazione dello stile, affonda le proprie origini nel canto religioso, in quell’inspirazione-espirazione rituale di parole e suoni che portano all’elevazione dello spirito e all’alterazione della coscienza. Il fascino, lo “charme”, è suono e riproduzione della parola, di una formula magica, e solo in seconda battuta, o anche mai, esercitazione del senso della vista. In Italia, il rapporto fra moda e cultura, cultura libraria intendo, libri e saggi, è stato scarsamente praticato dopo un inizio folgorante nel tardo Rinascimento, con il famoso bestseller “De li habiti antichi et moderni” di Cesare Vecellio, anno 1590, bestseller premiato da numerose edizioni benché fosse stato preceduto da scritti antecedenti di studiosi e viaggiatori. Sebbene sia possibile individuare una seconda fase rilevante per la storia della moda, se non addirittura una possibile data di nascita ufficiale, tra il XVI e il XVII secolo, quando fa la sua comparsa la parola “moda” con il senso attuale di fenomeno in costante mutamento, e il lemma compare nel titolo e nel testo dell’abate Agostino Lampugnani “La carrozza da nolo, overo del vivere et usanze alla moda” del 1648, la parola “moda”, forse mutuata dal francese visto che in Italia chi inseguiva le novità del vestire era definito “foggiante”, appare solo da quegli anni nei titoli e nei testi di molti autori a indicare una sorta di frenesia nell’adeguarsi agli ultimissimi usi o, come diremmo oggi, tendenze.

Non era un’esperienza inedita, già i romani venivano sanzionati per eccessivo sfoggio, ma era del tutto nuova la consapevolezza che il fenomeno fosse sfuggito al controllo di quanti volevano ricondurre le apparenze a una forma di segnaletica sociale distintiva, politicamente governata e riconducibile alle celeberrime leggi suntuarie. Quando, dopo la Rivoluzione Francese, l’abolizione delle prerogative anche morali del clero diventano legge, l’allentarsi del controllo e, in parallelo, l’affermazione di una nuova classe sociale borghese favoriscono l’acquisto di beni voluttuari prodotti per la prima volta in serie, fiorisce anche l’editoria giornalistica, e a poco a poco libraria, dedicata alla moda, ai suoi usi e a quella che è già la sua storia. Antesignano del marketing del lusso, il primo ad intuire il potere della moda stampata è Paul Poiret, sostenitore di pubblicazioni d’arte e di moda come la celebre “Gazette du bon ton”, organizzatore di raffinati concerti: tutti lo seguono, con autobiografie, volumi di disegni, raccolte di immagini, taccuini di suggerimenti sul ben vestire, il ben vivere e il meglio arredare, insomma quella categoria testimoniale anche preziosa che oggi si definisce referenza o, visto che proprio in italiano non ci viene, reference: una lunga teoria di pagine stampate che dallo stesso Poiret ed Elsa Schiaparelli toccano Claire McCardell, l’inventrice del pret-à-porter di stile, sir Hardy Amies, Halston, e dagli Anni Ottanta tutti gli stilisti italiani.

Quanti libri sono stati scritti su Giorgio Armani, oltre a quelli editi e pubblicati da lui stesso? E su Emilio Pucci, i Missoni, Gianni Versace, naturalmente anche per la sua opera teatrale, come raffinato costumista? Oggi, qualunque direttore generale o fondatore di case editrici versate nell’immagine, da Skira a Electa a Rizzoli alla gloriosa FMR che lanciò la tendenza ancora negli Anni Ottanta, con edizioni che ormai si acquistano solo presso gli antiquari a meno che la dea fortuna ne faccia atterrare uno sulle bancarelle dei mercatini di provincia, vi racconta che i libri di moda su commissione, quasi sempre editi nella costosa e dunque remunerativa versione del coffee table book, sono generatori di fatturato importanti perfino adesso che chiunque-sia-qualcuno si è già regalato almeno un titolo (per i committenti, gli acquisti minimi variano dalle mille alle duemila copie). Alla selezione dell’autore e dei commentatori, si riserva la stessa attenzione che un tempo veniva destinata alla scelta del pittore incaricato di celebrare il successo del soggetto in un ritratto, che per buona misura veniva anche disseminato di oggetti e di segnali (carte, compassi, mappamondi, unicorni, ovviamente scettri) allo scopo di segnalare la professione o la virtù del soggetto alle future generazioni di osservatori: per molti giornalisti di buona penna, questi libri sono diventati una fonte di introiti significativi, ora che i giornali, tranne rarissime eccezioni, pagano davvero poco.

La sequenza naturale del marketing dell’immagine prevede quindi che il libro venga presentato di preferenza nella prestigiosa Libreria Rizzoli in Galleria Vittorio Emanuele e infine regalato ad amici e clienti, nella speranza che le poche copie messe in vendita diventino, col tempo, edizioni rare e, dunque, referenza per i futuri studiosi: persegue questo obiettivo lo stesso “Annuario” che raccoglie in anastatica e in mille copie numerate i dodici numeri di questo inserto, parzialmente tradotto in inglese e illustrato con le “dodici tavole” di Makkox che lo avvolgono, un numero dopo l’altro e che pochi giorni fa abbiamo presentato a Taormina nell’ambito della venticinquesima edizione della Taomoda Week, la settimana di dibattiti, presentazioni, mostre d’arte presieduta e organizzata da Agata Patrizia Saccone che si conclude con una serata di sfilate e di assegnazione di riconoscimenti alle figure di maggiore spicco del sistema (quest’anno, fra i premiati, Marco Bizzarri, Antonio Marras, Susanna Ausoni, Nicoletta Polla-Mattiot, Guido Lombardo, presidente della Titanus che compie cento venti anni di storia, e questo stesso inserto, per il valore dell’Osservatorio che sviluppiamo con PwC Italia nell’empowerment femminile). Nel filone vero e proprio delle referenze, va segnalato l’impegno editoriale del gruppo Prada, che peraltro due giorni fa ha presentato una delle pochissime semestrali in netta crescita del settore (2,54 miliardi di fatturato, in crescita del 17 per cento a cambi costanti, con uno strabiliante +93 per cento da attribuire al consenso mondiale per Miu Miu): tre mesi dopo la presentazione della collezione, grazie a una partnership con Ippocampo viene diffuso un volume che, con un format ben preciso e costante, ne presenta ogni modello e ogni particolare, a memoria, testimonianza e, direi, anche difesa pur parziale del copyright.

L’evoluzione del rapporto fra moda e oggetto-libro a una dimensione più fluida e aperta agli scambi rispetto ai tempi nei quali Honoré de Balzac infilava nomi e indirizzi dei suoi fornitori nei romanzi, non diversamente da tutti gli scrittori di gusti costosi e tasche poco fornite, è decisamente più recente, appunto, e se vedete una certa evoluzione nella pubblicistica di Gucci è perché il suo vicepresident, Alessio Vannetti, vi è tornato dopo un buon lustro in Valentino conservando la stessa passione per l’editoria. Che il libro sia un oggetto di moda, si stenta perfino a scriverlo ma bisogna pur adeguarsi ai tempi nella speranza che i dati di lettura aumentino, si è dimostrato anche nella sequenza per me più emozionante e certamente meno compresa della pur lunghissima e slegatissima cerimonia inaugurale della Olimpiadi di Parigi, quando il regista Thomas Jolly, idolatrato dai modaioli, ha voluto riprendere un gruppo di acrobati bellocci in abiti del designer-fenomeno del momento, Charles de Vilmorin (oui, parente della celebre scrittrice Louise amica di Jean Cocteau), mentre si scambiano libri e fogli di lettura nella biblioteca più bella di Francia, la BnF di rue de Richelieu, da poco restaurata. In milioni, sottovalutando lo sciovinismo francese che mai si sarebbe inchinato a un’opera identitaria per un’altra nazione come ”L’ultima cena” di Leonardo, ci siamo persi dietro quel banchetto degli dei che (non solo a me) ha ricordato la vignetta di chiusura degli albi di Asterix, con il capo Vercingetorix che si prepara a spolpare il cinghiale, quando c’era un simbolo ben più potente di cui tenere conto per le future strategie della moda e dello stile mondiale. Messieurs dames, sono tornati di moda i libri. 

Di più su questi argomenti: