il foglio della moda
I nuovi nomadi della cultura estetica
Alla base della crisi della moda in Europa è il riflesso delle difficoltà del nostro continente di rimodellarsi per comprendere e includere le nuove forze culturali provenienti da paesi nei quali, fino ad oggi, si era limitato a vendere la propria storia
L’attuale crisi della moda è il riflesso delle difficoltà dell’Europa, il vecchio mondo, nel rimodellarsi per comprendere e includere le nuove forze culturali provenienti da Paesi nei quali, fino ad oggi, si era limitato a vendere la propria storia. Alcuni brand della moda hanno compreso il cambiamento in atto, e si stanno attrezzando per entrare nei luoghi preferiti dai loro consumatori: mondi del lifestyle, luoghi minori dove le sotto-culture nascono e crescono con naturalezza, supportate dalla tecnologia che ne amplifica la portata e il valore di esperienza. Esistono Paesi dove i consumatori ritengono la cultura il maggior driver per gli acquisti di prodotti di consumo. Meno moda fine a sé stessa, piuttosto moda come arte dell’esperienza. Ma non la priorità.
Per esempio, a Seul, città che frequento molto, i nuovi consumatori rappresentano l’evoluzione della filosofia coreana, che predilige il nuovo, il futuro e il successo. I codici estetici sudcoreani sono molto chiari e selettivi: tradizione formale, con un galateo rigoroso di apparenza, e le esagerazioni del mondo K-Pop. La classe sociale affluente vive tra la Corea del Sud e gli Stati Uniti, possiede due passaporti e tende a studiare all’estero. I suoi marchi di riferimento, come Gentle Monster che produce occhiali, Amore Pacific che è attiva nel beauty, o la moda di Ader Error, sono di esempio e di grande influenza anche per quell’area degli Stati Uniti dove questa comunità di nomadi di lusso vive, da Los Angeles a Londra fino a Cape Town. Mi rendo conto del cambiamento e delle rispettive anche quando visito i negozi più importanti di Seul, da Boon the shop (gruppo Shinsegae), il gotha store delle celebrities K-pop, progettato da Peter Marino, dalle linee severissime. Lo stesso possesso di più passaporti è un fattore di identità e di appartenenza a più culture, sia generazionali sia acquisite: un simbolo della tua globalità, nonché della tua capacità di comprare, ma anche di vivere, in base alla destinazione. Ti adatti alla cultura del luogo dove ti trovi. Questa dinamica è evidente anche negli Stati Uniti, patria delle sottoculture. Un esempio su tutti è The Webster, negozio multimarca presente anche in Canada, dove si trovano i new kids, cross cultural, affamati di cultura e di identità. Da Miami, Los Angeles e New York, si aggiungono i nuovi store di Huston, Dallas, Palm Spring, Toronto, Atlanta, Costa Mesa; l’intenzione è di aprirne molti altri. The Webster ha una formula vincente, perché in ogni città organizza dei momenti “Place to go for Culture”. I clienti di The Webster non hanno bisogno di uno sconto, ma dell’opportunità di vivere un’atmosfera esclusiva con i protagonisti culturali preferiti. Si spende se ne vale la pena.
Sulla stessa linea d’onda si muovono i nuovi cinesi, una generazione di sottoculture in crisi d’identità. Fra i cinesi, cresce il sentimento della ricerca delle origini e la volontà di ricrearle secondo i propri desideri, rifiutando l'Occidente dove molti hanno studiato, e pur amandolo. La chiamano schizofrenia dell’identità. La vera crisi cinese non è solo economica, ma di identità. I nuovi valori non sono i big brand, le grandi marche, ma la ricerca di culture nascoste diverse, prediligendo ovviamente marche create da connazionali. La musica e l’arte contemporanea, il viaggio, il wellness, la salute mentale e fisica, sono i veri interessi per raccontare le nuove identità e culture. I festival musicali nelle varie aree delle città minori cinesi sono un esempio di questa tendenza, nella quale artisti cinesi stanno modellando quella che sarà la C-Pop. Il tutto riletto in chiave tecnologica, dalla fruizione alla transazione. Non sempre il messaggio che lanciamo noi occidentali viene colto, anzi: non siamo comprensibili, pertanto non siamo la priorità. E nessuno copia più l’Occidente.
Orietta Pellizzari è Global Cross Cultural Business advisor
manifattura