Fiori backstage. Uno sguardo sulla moda che funziona dalle retrovie della sfilata Marni estate 2025 

Non si vende quel che è fatto per vendere

Antonio Mancinelli

“Oggi siamo guidati da un controllo costante che impone degli obiettivi, ma che non racconta l’essenziale. Così, ogni cosa diventa fredda e calcolata”. Lezioni di sregolatezza controllata da Francesco Risso, violoncellista, campione di equitazione, direttore creativo di Marni, brand del gruppo Otb in costante crescita

Nel momento in cui parliamo, Francesco Risso, direttore creativo di Marni dal 2016, è in modalità “palingenesi on”. Già libero dai riccioli, che lui stesso ha rasato a zero per la sfilata autunno-inverno ’23/’24 a Tokyo, ora è asceticamente privo anche del suo archivio: centinaia e centinaia di pezzi d’autore, venduti per una buona causa. Aveva iniziato a raccoglierli a ventiquattro anni, il trenta dicembre ne compirà quarantadue, quando possedeva una boutique a Genova, “Canasta n°4”: il nome era un omaggio a “Repulsion” di Roman Polanski, dove la psicotica estetista Carol Ledoux, interpretata da Catherine Deneuve, non solo pugnala i suoi pretendenti, ma lacca le unghie delle clienti con uno smalto chiamato proprio così (Risso è un appassionato cinéphile).

“Mi sono ritrovato con pezzi di Margiela, Comme des Garçons e soprattutto Azzedine Alaïa, che per me erano preziosi come piccoli trofei. Con il tempo, però, la collezione è cresciuta al punto da diventare incontrollabile: un’unica creatura minacciosa che mi guardava dall’ombra in un magazzino qui a Milano. Ero convinto che quelle cose fossero un bagaglio essenziale per migliorare come designer, immaginavo di andare a rispolverarle ogni tanto, scoprendo un’illuminazione nascosta. Ma in realtà, l'ultima volta che ci sono andato, era tutto così incredibilmente polveroso che ho pensato: “Oh mio Dio, devo liberarmene!”.

Languidamente pallido – tra Don Chisciotte e Georges Gurdjieff, allungato su un canapè in un lungo trench blu, camicia oversize azzurra, pantaloni bianchi e mocassini lisi e usurati ad hoc – guarda ma non tocca le brioche sistemate su una poltrona per una piccola colazione, nel suo quartier generale a Milano: un ambiente denso di dipinti, prove di colore, tele di prova e campioni di tessuti. Nato fortuitamente in Sardegna nel 1982, ha trascorso i primi anni di vita su una barca con i genitori, un’esperienza che ha plasmato la sua visione creativa. La sua formazione è altrettanto enciclopedica, capace di fondere l'intellettualismo con l'eccentricità: dopo aver studiato al Polimoda di Firenze, ha proseguito al Fashion Institute of Technology di New York e completato un master alla Central Saint Martins di Londra sotto la guida della leggendaria Louise Wilson. Prima di approdare a Marni, Risso ha lavorato per Anna Molinari, Alessandro Dell'Acqua e Malo, per poi entrare in Prada nel 2008, contribuendo alle collezioni femminili e a progetti speciali. Suona il violoncello ed è stato campione professionista di equitazione: “Faccio tantissimo sport e adoro dipingere come forma di gestualità liberatoria”. Non è la prima volta che decide di fare tabula rasa dentro e intorno a sé. “Per questo inverno, ho iniziato facendo rivestire di carta tutto il mio studio, fino a perdere addirittura il senso dell’orientamento. Una caverna di carta bianca, uno spazio intimo ma rigoroso come un utero, per cancellare tutte le informazioni. Io e il mio team potevamo finalmente agire d’istinto, senza aspettative, senza bisogni, senza quei parametri imposti dai numeri, dai social, dai like. Niente web, niente immagini, cellulari spenti. E men che meno un moodboard, pratica che ho sempre detestato. Non serve a niente, se non a mostrare ai giornalisti una falsa erudizione e pseudo-referenze culturali. Ma per favore…”.

 

Dovendo ammettere che non ha tutti i torti, gli facciamo notare che molti illustri colleghi la pratica del moodboard la eseguono solo dopo aver definito la collezione. E, con grazia, aggiungiamo che, accanto a questo ascetismo quasi mistico, ha dimostrato anche una spiccata abilità commerciale: sotto la sua direzione, Marni ha registrato un incremento del 29 per cento tra il 2021 e il 2023, trasformandosi in una delle gemme del gruppo OTB di Renzo Rosso. Oltre ai moodboard, Risso trova intollerabile l'idea di una linea eponima: “Mi ritroverei a espormi con il rischio di non essere più padrone del mio nome. Preferisco continuare a offrire i miei servizi agli altri”. Come Lagerfeld? “Bravissimo”. Risso ha plasmato Marni come una clubhouse per eccentrici-ma-non-troppo, attirando una clientela diversificata e fedele, sedotta da uno stile dal sense of humour obliquo, che lascia un sorriso appena accennato, una sensazione astringente che oggi ha molto successo. Basti pensare a JW Anderson per Loewe o a Matthieu Blazy per Bottega Veneta, un’estetica tra dolcezza e crudeltà. “Del resto, il mio account Instagram si chiama @asliceofbambi, perché il mio ultimo fidanzato, esaltava la mia dolcezza, come fossi un Bambi. E io mi ci sento un po’, ma giusto un po’: una fetta di Bambi, mica uno intero”. Dove finisce il suo “training all’estro” da esoterico guru e dove inizia la necessità di far quadrare i conti? “Non sono due dimensioni contrapposte, sa? Io e la proprietà, come direbbe Sangiuliano, abbiamo un rapporto affettivo e intenso, dove ognuno si sente libero di criticare l’altro”. Ma non sarà stato sempre tutto rose e fiori… “Ovviamente no. Qualche anno fa ho insistito per introdurre dei maglioni in mohair, che oggi sono tra i pezzi forti di Marni.

 

Quando li ho presentati, gli americani del gruppo mi inseguivano con i coltelli, perché il mohair è storicamente un disastro nelle vendite. Poi, però, molti clienti li hanno adottati come una bandiera, e la situazione si è capovolta. Adesso mi inseguono con i coltelli per averne di più… e io li considero già un po’ superati”. Durante la conversazione, Risso usa spesso, con una punta di autoironia, gli aggettivi “strampalato” e “laboratoriale” per descrivere le creazioni di Marni. “Non scriva “mie”, ma “nostre”: chiedo a chi lavora con me di darmi uno scossone se mai diventassi troppo autoreferenziale o scollegato dalla realtà che ci circonda. Non creo oggetti per tenerli in una teca di museo, ma perché esistano qui e ora, come parte di un movimento sociale”. Riflettendo sulla creatività, oggi compressa dalla paura di non vendere, Risso offre considerazioni schiette ma concrete: “Ospito in me due visioni diverse. Da un lato, esiste un utilizzo contrattuale della parola “creatività”, e non solo nella moda: se non rientri in certi canoni predeterminati, non sei “creativo” secondo il sistema. Perciò c’è un Francesco che rifiuta questo abuso verbale, usato per mascherare un vuoto di contenuti. C’è però un altro Francesco che difende il processo creativo puro, che porta a qualcosa di nuovo, in totale libertà. Quello che manca oggi non è la fantasia, ma la profondità: le idee non sono fatte per una manciata di like. Bisogna sudare, prendere tranvate in faccia. Ne ho ricevute tante senza neanche passare dal via. Ho passato molto tempo nei negozi, parlando con i clienti”. Scusi, Risso: e con i maglioni e con i coltelli, come la mettiamo? “Se credi davvero in quello che fai come parte di un discorso coerente, allora sì: devi essere molto forte per imporsi là dove gli altri potrebbero volerti ostacolare”. E Renzo Rosso? Guarda le collezioni prima, oppure aspetta il défilé? “Può venire quando vuole, e spesso lo fa. A volte non me lo chiede, e quando finalmente vede la collezione, mi dice: “Ma perché non me l’hai fatta vedere prima? Ti avrei portato ospiti importanti…””.

 

Giusto per sbriciolare un po’ l’idillio: le è mai capitato di vedere rifiutato un capo o un progetto perché considerato poco vendibile? “Vengo da una scuola dura, quella della signora Prada e del signor Bertelli, dove ho imparato a non attaccarmi a niente, neanche alle mie fantasie più stravaganti. Se propongo qualcosa di innovativo, devo tenere conto della sensibilità dell’azienda in cui mi trovo. E devo dire che non mi è mai stato detto “questo non si venderà”, perché le idee, lo ripeto, non appartengono mai solo a un singolo, sono condivise”. Il Marni Circolo è internazionale e cosmopolita, un cenacolo di artisti, cantanti, intellettuali con cui Risso crea una sorta di “gigantesca e-mail vivente”, a cui aggiunge continuamente nuovi nomi. Dopo il lockdown, li ha invitati tutti a ritrovare un senso di creatività, come in un workshop di una scuola d’arte radicale. Stranamente, tutti si sono ritrovati a disegnare ossessivamente righe, che sono poi diventate l’emblema della casa, tanto che alla prima sfilata in presenza, a ogni invitato abbiamo cucito un abito su misura a strisce dipinte a mano, come invito”. Risso si ferma un attimo, assorto, poi annuncia: “Credo di avere un’illuminazione per risolvere la crisi della moda di oggi. No, vabbè: scriva che avrei un piccolo barlume di soluzione. Collaborando con creativi in ogni ambito, stabilisco con loro un campo aperto. Non prenderei mai un disegno di un artista e lo metterei su una camicia, per dire. Cerco sempre un processo di autentica integrazione. È per questo che abbiamo lanciato una residenza per artisti a Londra, visto che in Italia non era possibile perché il governo non ci ha aiutato. Ho dipinto con due artisti nigeriani, realizzando dittici senza scopo finale, senza limiti. Oggi siamo guidati da un controllo continuo che impone degli obiettivi, ma non racconta cosa c’è dietro. Così, ogni cosa diventa fredda, calcolata: e questo è il contrario di ciò che io considero Bellezza. Non tutto dev’essere controllato: la gente non aspira a comprare ciò che è solo prodotto per performance economiche”.


 

Di più su questi argomenti: