fashion e regimi
Vestirsi come la famiglia Assad
Il lino del dittatore così simile al nostro e le maschere usate dalle canaglie per parlare all’occidente
Di fronte all’immagine della famiglia Assad diffusa in queste ore, i ragazzi che paiono usciti dal collegio san Carlo dopo la festa di fine anno, la coppia dittatoriale in lino nei colori tenui del “lusso discreto” tanto di moda di questi tempi, indistinguibili da una delle coppie borghesi che frequentano “Santa” e “Courma” e pure con lo stesso mestiere in fondo, lei banchierina con esperienze in J.P. Morgan, lui medico oftalmologo come quello milanese che non trova mai il tempo di visitarti perché ha troppo da fare con i ragazzini immersi nei social dodici ore al giorno, vien fatto di pensare che in fondo l’aniconismo islamico, cioè l’assenza di immagini di esseri senzienti, prerogativa di Allah, in quasi tutte le espressioni dell’arte, sia una buona cosa, perché non ti costringe a pensare che tu, che ti senti tanto perbene, condividi il guardaroba col diavolo, che avete le stesse cose nell’armadio e che forse all’autosalone scegliereste lo stesso modello ibrido.
Non ti raccapezzi che il tipo allampanato dall’aria grave che i media chiamano “the butcher”, il macellaio, non sia inanellato e tatuato come un Casamonica o avvolto nella djellaba come Gheddafi, insomma uno da cui sia facile prendere le distanze, ma sia invece uguale identico all’amico commercialista con cui condividi la striscia di focaccia al Caffè del Porto il sabato mattina.
Questo succede perché un paio di millenni di affreschi cristiani a uso degli analfabeti, di quella speciale iconografia che veniva chiamata “pittura infamante” ti hanno inculcato che il cattivo veste di giallo e di nero, meglio se a strisce, e che al demonio glielo si legge in faccia, il commercio con la pece e lo zolfo. E invece, il dittatore educato nelle stesse università inglesi da dove uscì Pol Pot, ha la camicia di lino azzurrino ben stirata tale quale tuo zio mentre la moglie Asma, che a Londra è addirittura nata, sfoggia la stessa borsetta che hai regalato a tua moglie lo scorso Natale e che adesso i ribelli, quei tipi di cui non sappiamo se fidarci perché hanno le barbe e certe brutte divise sporche, le razzieranno insieme con decine di altre, mentre i brand dell’internazionale del lusso staranno zitti perché è l’unica cosa che possono fare quando incappano in un testimonial sgradito come Putin col parka di Loro Piana o Samar Abu Zemer che scappa nei tunnel con la Birkin di Hermès al braccio. Ricomincerà il solito copione Imelda Marcos e il consueto intrattenimento indignato attorno alle borsette perdendo di vista l’unico dato significativo, e cioè che con un avamposto del cosiddetto “asse del male” caduto, stavolta Putin è nei guai.
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