Credito : Laura Sciacovelli 

RISIKO MODA

Il risiko del gruppo Lvmh attorno a Maria Grazia Chiuri

Fabiana Giacomotti

Mentre la multinazionale di Bernard Arnault archivia un 2024 in lieve flessione a dispetto del recupero nel quarto trimestre, si moltiplicano le speculazioni attorno alla direttrice creativa di Dior, la più ricercata da tutti i tycoon della moda in crisi. Gli scatoloni risultano fatti, e a Roma c’è anche il Teatro della Cometa acquistato con la famiglia

Mentre nella politica o nella finanza diciamo e scriviamo tutti le peggio cose di chiunque, in questi giorni attorno alla vicenda Montepaschi-Mediobanca i media non hanno risparmiato nemmeno il ministro Giancarlo Giorgetti, nella moda – e non solo quella che si racconta in Italia, a dispetto delle opinioni dei suoi detrattori d’Oltreoceano – non si dice alcunché nemmeno se l’elefante nella stanza è così grosso che non si riesce a respirare. Per cui l’altro giorno, nell’incontro backstage per la collezione couture di Dior, l’atmosfera era carica di tensione e i volti del team parecchio scuri a eccezione di quello della direttrice creativa Maria Grazia Chiuri: bello, scolpito e rilassatissimo. Il volto di chi sa di aver fatto il suo, bene come meglio non si potrebbe, ma anche di chi sta anche per passare la mano, dedicarsi a progetti anche personali, tornare a casa dopo nove anni che definire impegnativi è eufemistico e che dunque si gode quegli ultimi, benedetti mesi in cui nessuno osa scocciarti perché come puoi prendertela con quella che se ne va. Ed è proprio in quel benedetto iato, in quella sospensione temporale fra qui e là, che dai il meglio di te, fai le cose che fino a quel momento non avresti osato e puoi permetterti per esempio di dilungarti su una lumachina intrecciata nella paglia che sta proprio sopra quella crinolina che sfilerà fra mezz’ora nella sfilata più favolosa della tua vita. Puoi permetterti tutto, anche di rispondere alla collega che, garbata ma puntuta, ti domanda come sia vestire Melania Trump, in tailleur Dior sia nel primo discorso di the Donald dopo la vittoria, che la famiglia Arnault ha deciso di sostenere la nuova presidenza (il patron Bernard sedeva nelle prime file alla cerimonia di insediamento, si è molto notato, l’altro giorno le misure di sicurezza alla sfilata erano poderose), che la first lady fa acquisti in boutique come tante altre e che il suo compito non è di “stare alla porta a scegliersi le clienti”, ma di fare ricerca e insomma il suo lavoro. “Questa è un’impresa commerciale”, ha scandito mentre venivano serviti i caffè in quell’incredibile struttura mobile, sempre temporanea ma provvista di qualunque comfort, ristorante e quadri alle pareti compresi, che la maison monta a ogni stagione nei giardini del Musée Rodin.

Nessuno poteva spazzare via con maggiore efficacia i cumuli di paccottiglia para-politica e pseudo-artistica di cui da anni vengono ammantati comunicati e incontri stampa. La moda è e può essere un fatto artistico, ma il suo scopo è e resta mercantile. Dunque, è un fatto incontrovertibile che Chiuri, e la maison Dior in generale, abbiano dato voce a moltissime artiste in questi anni, anche in questa occasione visto che i teleri di Rithika Merchant allestiti per la sfilata resteranno in mostra per giorni, ma che abbia l’onestà intellettuale di ricordare quale sia lo scopo finale dei teleri stessi, e cioè vendere con più efficacia alle signore sedute a centinaia in sala, nelle loro culture e aspirazioni diverse, e che tutto il coté culturale di cui la moda si ammanta da un secolo è un di più a uso mediatico, un conforto aggiuntivo per chi spende centomila euro in un abito da sposa, le fa assolutamente onore. Per dare voce e corpo al suo impegno nell’arte ci sono stati, e tutto lascia credere ci saranno, altri momenti e ben altro impegno: per esempio l’Opera di Roma, per il quale ha disegnato più volte balletti e sostenuto spettacoli, ma soprattutto il Teatro della Cometa, di sua proprietà da quasi un anno. Duecentoquarantasei posti, definito da Antonio Munoz “gioiello d’arte alle pendici del Campidoglio“, lo spazio nato per volere di Anna Laetitia Pecci Blunt, moglie del marchese che nel 1938 aveva acquistato il palazzetto ristrutturato da Tommaso Buzzi e Virgilio Marchi, era stato inaugurato il 20 novembre del 1958, con una commedia del romanticismo, “I capricci di Marianna”, due atti di Alfred de Musset, messinscena di Luciano Mondolfo, scene di Giulio Coltellacci, nientemeno, nei panni della protagonista Monica Vitti. Chiuso durante la pandemia, il teatro è attualmente in fase di restauro grazie appunto all’impegno di Chiuri e al coinvolgimento dell’intera famiglia, cioè il marito Paolo Regini e i due figli Niccolò e Rachele, quest’ultima da quattro anni suo braccio destro in Dior con la carica di consulente artistica e una presenza molto sentita da tutti. Tutti sono entrati a far parte di una newco costituita lo scorso 8 marzo, nello studio del notaio romano Luca Falcioni: la Teatro della Cometa srl le cui quote di capitale sono state ripartite al 40 e al 30 per cento rispettivamente fra la madre e i figli, mentre Regini è stato nominato amministratore unico. La newco ha come scopo “la gestione di teatri, sale cinematografiche d’essai e sale espositive”, oltre alla distribuzione e la vendita di biglietti per le strutture, l’allestimento e produzione di spettacoli e l’esercizio e gestione di bar connessi alle strutture stesse. Non un impegno di secondo piano, insomma, né un ruolo nominale. Chiuri diventa produttrice di spettacoli, ruolo per il quale la straordinaria rete di rapporti intessuti in tre decenni da Fendi, Valentino e soprattutto Dior diventeranno preziosi. E la sua presenza a Roma, dove è nata sessant’anni fa, dove continua a risiedere la famiglia, dove possiede una casa splendida a poche centinaia di metri dallo stesso teatro, sembra a questo punto indispensabile. L’ufficio parigino di Chiuri risulta vuoto: le sue assistenti, dice una fonte interna al Foglio, hanno terminato di impacchettare le centinaia di libri e le suppellettili accumulate dal 2016 della nomina a oggi, e le hanno rispedite a Roma. A meno di una rivoluzione nelle prossime ore, e bisogna comunque usare il condizionale perché per settimane, mesi fa, abbiamo tenuto pronto un lungo articolo su una nomina che non si è mai verificata, a dispetto delle firme preliminari già apposte, Chiuri dovrebbe firmare ancora la collezione fall di Dior, per la quale sono stati scelti i giardini del Tempio Tō-ji di Kyoto, “in onore dell’amore di Monsieur Christian Dior per il Giappone, un legame che ha profondamente influenzato la sua visione creativa”, luogo che ospita molti eventi amati dai giapponesi, e a maggio la sfilata Cruise, a Roma.

Nel frattempo, in silenzio, in Dior inizierà a lavorare J.W. Anderson con il suo team: un incarico al quale va preparandosi da tempo e che ha perseguito con molta efficacia, costruendosi un parterre di sostenitori che va da Luca Guadagnino alla stessa famiglia Arnault, dispostissima a sostenere le mire di crescita del golden boy della linea Loewe, però anche restia a lasciar andare Chiuri, la golden lady che ha fatto di Dior un capolavoro di vendite e di desiderabilità per nove anni e che sarebbe un errore perdere proprio in questo momento difficilissimo per il sistema e problematico per lo stesso gruppo Lvmh, che poche ore fa ha comunicato i dati di chiusura del 2024, non particolarmente entusiasmanti nonostante quella che alcuni media hanno definito e con ragione di “grande resilienza”. Il quarto trimestre dell’anno appena trascorso, in lieve ripresa dell’1 per cento, non è stato sufficiente a pareggiare il calo dei mesi precedenti, che ha chiuso l’ultimo esercizio con un fatturato in flessione del 2 per cento, sceso a 84,6 miliardi di euro dagli 86,2 miliardi circa del 2023, mentre sono calati del 17 per cento anche i profitti. La società sostiene che le fluttuazioni dei tassi di cambio abbiano avuto un impatto negativo sostanziale durante l’anno, penalizzando in particolare le divisioni Fashion & leather goods (-3 per cento) e Wines & spirits (-11 per cento), sebbene proprio Arnault abbia tenuto a sottolineare la “solidità” della performance di Dior, e quella di Loewe. In realtà, in questo momento di difficoltà, proprio Chiuri è la creativa più ricercata: in questi mesi l’hanno voluta incontrare tutti, anche la deputy ceo del gruppo Kering, Francesca Bellettini, anche gruppi il cui fondatore sembra non passerà mai la mano. Sembrerebbe Fendi, l’approdo naturale per Chiuri che torna a Roma e che poche ore fa ha firmato una collezione couture dove veniva esplorato il mondo magico e surreale dell’infanzia piena di sogni e di aspirazioni, e che il gruppo Lvmh non vuole perdere. Ma a poche settimane dalla sfilata celebrativa del centenario, per la quale Silvia Venturini Fendi ha rivendicato – a ragione, un ruolo di primo piano, annunci e valutazioni definitive sembrano fuori contesto. E una seria valutazione sembra in corso anche per il ceo di Fendi, Pierre-Emmanuel Angeloglu, nominato lo scorso maggio, che invece non ha mai davvero lasciato Parigi e la cui presenza sul marchio è poco sentita perfino dai media. Il nuovo equilibrio artistico e gestionale di Fendi rientra in questo complesso risiko interno al gruppo Lvmh dove nessuno parla mai ufficialmente e tutti i momenti sembrano pessimi per qualunque annuncio: il calendario delle sfilate, delle presentazioni, degli incontri ufficiali è così fitto da rendere ardua la scelta di una data adeguata per valorizzare le scelte senza penalizzare qualcuno. Ma le cose si muovono. E i fiori, come da titolo della sfilata, sono cresciuti.

Di più su questi argomenti: