Uno dei look più spettacolari della prima sfilata couture di Kevin Germanier, trentenne di Sierre, in Svizzera (foto courtesy Germanier) 

Il Foglio della moda

Sfilo, dunque sono. L'epoca della rilevanza

Le direzioni creative sono il nuovo calciomercato

Fabiana Giacomotti

I tempi giusti, i modi perfetti, gli “ambassador” che un tempo si chiamavano testimonial ma adesso devono “sposare i valori del brand” e soprattutto non danneggiarli. Ecco i risultati della ricerca “Relevance&Reputation 2024” sui social sviluppata da Comin&partners in collaborazione con “Il Foglio della moda”, per la prima volta su scala internazionale

Non saprei dire quali motivazioni abbiano spinto il gruppo OtB a comunicare la nomina di Glenn Martens a direttore creativo di Maison Margiela nel giorno in cui l’attenzione della moda mondiale era focalizzata sulla prima sfilata couture di Alessandro Michele per Valentino e anche chi non era seduto sulla gradinata allestita al Palais Brogniart di Parigi era attaccato ai social per seguirla in diretta (Michele ha una passione per le gradinate, i fondali scuri e la musica drammatica, in questo caso il ballo dei cavalieri dal “Romeo e Giulietta” di Prokofiev, ricordo un allestimento molto simile per la prima sfilata Gucci dopo il trasferimento degli headquarter in viale Mecenate). Forse, l’obiettivo di Renzo Rosso con quel timing così bizzarro era di rammentare alla comunità modaiola la fantastica, irripetibile sfilata che John Galliano organizzò per Margiela Artisanal lo scorso anno, negli stessi giorni: una rappresentazione così unica e impagabile della sua sartoria così sapiente, che a tutti fu chiaro che sarebbe stata l’ultima e allo stesso tempo che quel racconto, quel make up, quei prostetici, avrebbero continuato a influenzare la moda per un decennio, come appunto stanno facendo anche adesso che Galliano è sparito di nuovo e c’è solo da rimpiangerlo. Che il miglior sarto, designer, creatore di mondi e di abiti irripetibili dell’ultimo mezzo secolo non stia lavorando, almeno per il momento e nonostante l’evidenza che inizi ad avvicinarsi ai sessantacinque anni e che abbia condotto fino a oggi una vita turbolenta, è un incomprensibile accidente, soprattutto in questo momento così difficile per la moda, piegata da scelte di marketing e politiche commerciali scellerate che da una parte ne hanno diminuito la desiderabilità, e dall’altra ne hanno reso pressoché impossibile l’accesso per una larga fascia di popolazione mondiale, la “middle class” che ha sempre rappresentato la spina dorsale del sistema. “Tutti vogliono sapere, e tutti vogliono sognare. Quando sarà il momento giusto, tutto verrà svelato. Per ora, prendo questo momento per esprimere la mia immensa gratitudine. Continuo a espiare, e non smetterò mai di sognare”, ha scritto Galliano alla metà di dicembre in una lettera aperta dove ha comunicato la sua uscita dalla maison “che Martin fondò nel 1988”. Sul suo account Instagram non trovate altro, solo la lettera aperta dove dichiara di essere “sobrio da quattordici anni” e che per questo lungo viaggio, questo “percorso” come dicono i banalizzatori del linguaggio corrente, deve ringraziare non solo il suo team, ma “due belle persone che non vogliono essere nominate”, e cioè gli stessi Rosso e Margiela. Se si volesse mostrare che cosa rappresenti in questo momento la “rilevanza”, la “pertinenza” che è la corretta traduzione dell’inglese “relevant” e che è il nuovo mantra dei banalizzatori, nulla sarebbe più efficace di questo post: un unico documento, 1,6 milioni di follower.

 

How to be relevant, come essere rilevanti, è l’argomento di questo numero. La difficoltà di emergere in un panorama affollatissimo, dove basta una stagione di mancata presenza per scomparire, non riguarda infatti solo i giovani stilisti, peraltro piuttosto abili nell’identificare il tono adatto per interagire con i clienti potenziali e in loro la “comunità”, non solo chi, come per esempio il couturier Michele Miglionico che si divide fra Roma e Potenza, deve bilanciare ogni giorno la richiesta di “sostanza” da parte delle sue clienti con l’aspirazione legittima a una creatività libera, ma perfino i marchi finanziariamente più potenti, fanno fatica a raggiungere la soglia minima dell’”ingaggio” e della “discussione” sui social. Quale sia il livello basico necessario per superare la soglia zero dell’attenzione è appunto quello che mi sono domandata quando, due ore prima della sfilata di Valentino, mentre tutti uscivamo di casa o dall’albergo sotto una pioggia torrenziale per passare i controlli al Palais Brogniart, il gruppo OtB ha diramato la notizia della nomina di Glenn Martens e la mail, il cui contenuto ad altre condizioni sarebbe stato rilevante, addirittura la notizia della giornata per le testate specializzate, è passato nelle mani degli stagisti del digitale, cinque righe in scroll, o rimandato a tempi meno affollati. Il timing, insieme con la capacità di comunicare e la percezione di sé e del valore del marchio, è anche la base di partenza della quinta edizione del report sulla reputazione dei brand del lusso, realizzata dalla società di consulenza strategica Comin & Partners in collaborazione con il “Foglio della moda”, che per la prima volta è stato declinato su scala internazionale. Il periodo considerato comprende l’intero anno solare 2024, da gennaio a dicembre incluso. Le menzioni prese in analisi, cioè le conversazioni in rete in lingua inglese, sono state oltre 268mila e sono state prodotte da 98mila utenti sui venti marchi del lusso più rilevanti per fatturato.

   

Lo studio, del quale pubblichiamo un abstract, include un’analisi quantitativa e qualitativa dei contenuti, una classifica delle maison con la reputazione migliore e una panoramica delle principali tematiche rilevate nelle conversazioni riguardo il settore del lusso. L’obiettivo è, soprattutto, di servizio, e cioè fornire chiavi di lettura del comportamento degli utenti che parlano del lusso sul web. La ricerca, effettuata attraverso la piattaforma KPI6, utilizza un algoritmo proprietario per valutare i volumi delle conversazioni e la polarità delle opinioni, e ha elaborato un indice unitario – Indice Sintetico di Reputazione (ISR) – in grado di pesare qualità e quantità delle menzioni. Lo strumento usato è tra i più accurati nell’analisi del Sentiment, sulla falsariga della challenge pubblica su Kaggle, Sentiment 140, che ha registrato un’accuratezza del software pari all’87 per cento. Dall’analisi del dibattito online emergono alcuni temi chiave. Il primo è l’”heritage Fashion”, che si afferma sempre più come un aspetto centrale nella comunicazione dei marchi, evidenziando il rapporto tra tradizione e modernità per costruire narrazioni più coinvolgenti per i consumatori. Il secondo, il “conscious luxury”, si conferma come la tendenza più forte nell’industria del lusso e forse, se le sue implicazioni fossero state prese in considerazione prima (in estrema sintesi, il vecchio value for money, ma spruzzato di eleganza e cultura), il settore non si troverebbe a vivere la sua crisi peggiore a memoria d’uomo, come nemmeno nei Settanta degli eskimo. Quindi, terzo macro-tema, la “celebrity communication”, cioè il rapporto tra maison e celebrità, sempre più proficuo. L’investimento su partnership tra brand e testimonial di fama internazionale presenta in maniera sempre più evidente grandi vantaggi per la reputazione dei marchi, purché la selezione sia attenta e la scelta degli ambassador accuratissima (non c’è solo il caso-Ferragni). Infine, l’intelligenza artificiale. Il metaverso si è dimostrato un flop, esattamente come vent’anni fa si era rivelato un disastro Second Life, e direttori marketing che due anni fa avevano organizzato sfilate nel metaverso, peraltro orrende, ormai negano perfino di averci pensato. La realtà aumentata e l’intelligenza artificiale, come evidenzia il partner della società, Gianluca Giansante, stanno ridefinendo però il rapporto tra brand e consumatori anche nel settore del lusso, favorendo l’interazione e il coinvolgimento dei consumatori. Ma, oltre alle macro- tendenze, vi sono anche nomi e numeri che confermano strategie più o meno adeguate: una ricerca senza classifica non sarebbe tale, ed ecco infatti che l’analisi include un elenco numerato, una “lista” o vertigine della stessa come “tentativo di circoscrivere l’infinita estensione dell’esistente dentro una cornice di senso” (cito Umberto Eco, non la sua declinazione nella sfilata di Valentino, peraltro interessante), che al suo vertice vede Prada. Il brand milanese totalizza oltre 21mila menzioni online tra Owned Media e Earned Media (ovvero tra contenuti prodotti dai canali proprietari del brand e contenuti pubblicati dagli utenti). A seguire Gucci, con 20.761 citazioni, e Versace, al centro di 17.788 citazioni (il destino del brand, in via di cessione, e di Donatella Versace, è argomento attraente anche per chi non si interessa di moda). La classifica prosegue con Louis Vuitton e Dior al quarto e quinto posto, rispettivamente con 16.118 e 13.439 menzioni. Le prime dieci posizioni della classifica delle citazioni online si chiudono con Burberry, 12.458 menzioni, Balenciaga (citata 11.770 volte), Valentino (10.374), Cartier (9.954) e Chanel (9.736). Rispetto alle precedenti rilevazioni, inoltre, l’Osservatorio si arricchisce di nuovi brand: Yves Saint Laurent (8.724 menzioni), Celine (7.364), Bottega Veneta (3.762), Moncler (3.155), Loro Piana (1.767) e Brunello Cucinelli (822). Il podio resta invariato nella classifica della reputazione. Anche per quanto riguarda l’ISR, è infatti Prada a totalizzare il valore più elevato dell’indice, pari a 11.356. La maison italiana è seguita anche in questo caso da Gucci (9.933) e Versace (9.735); seguono Louis Vuitton (8.620) e Dior (6.913). I nuovi brand inseriti nella classifica sono anche in questo caso Yves Saint Laurent (con un punteggio dell’ISR di 4.900), Celine (4.373), Bottega Veneta (2.022), Moncler (1.639), Loro Piana (963) e Brunello Cucinelli (462). Come emerge in modo chiaro dalla ricerca, le conversazioni in rete seguono il calendario degli appuntamenti della moda e i suoi protagonisti sono assurti a loro volta al livello di celebrity: le sfilate, i direttori creativi, i ceo trattati come star del calcio (e talvolta di durata similare, una stagione e via: un paio di giorni fa Marco Gobbetti ha lasciato Ferragamo, dopo una lunghissima sequenza di trimestrali in rosso), sono ormai un fatto di costume, un’espressione di cultura popolare, un argomento “da bar” come si sarebbe detto un tempo, o “da social” come si dice adesso che la piazza mediatica ha sostituito i tavolini dei caffè. Le “fashion week” sono il Sanremo della moda, festa e argomento per tutti, tanto che nella word cloud dedicata al mondo della moda emergono, oltre ai termini più comuni come fashion, luxury e brand, parole chiave come Milan, woman, ambassador e show. “Milan” sottolinea il ruolo sempre più centrale di Milano come capitale della moda non solo a livello europeo ma globale. Questo spostamento di segno è evidente anche dai livelli di produzione di contenuti, che rispettano la stagionalità e che evidenziano l’importanza dei grandi eventi anche in relazione all’engagement online. I picchi di conversazione si sono verificati in concomitanza della presenza di due tra i più celebri cantanti sudcoreani, Jeonghan e Jeno, alla Paris Fashion Week. La primavera ha visto un aumento degli UGC (User Generated Content), con circa 45mila post pubblicati da 22mila utenti unici e un picco nel mese di giugno, per la presentazione della campagna “Portraits of Fatherhood” di Bottega Veneta, con il rapper A$AP Rocky. Anche in questo caso, la scelta delle maison di legare le proprie campagne alle icone globali della musica ha premiato in termini di engagement e risonanza sui social.

 

La seconda parte dell’anno si è rivelata come il periodo più vivo per il mondo del lusso online, con 97mila UGC e cinque milioni di like. Le conversazioni online di questi mesi si sono concentrate ancora una volta sulle star del K-Pop, grazie alla partecipazione di Hyunjin alla sfilata di Versace e di Jaehyun alla presentazione di Prada: due celebrità con una community social che sfiora i 40 milioni di follower solo su Instagram, a dimostrazione dell’enorme potenziale di attrazione sia nel contesto asiatico sia in quello occidentale e che spiega anche come mai, nel quarto trimestre del 2024, e nonostante un coinvolgimento inferiore rispetto ai mesi precedenti, tra i post più rilevanti abbiano spiccato quelli che menzionano la star dei BTS, Jin, scelto come global ambassador da Gucci, e la nomina di Matthieu Blazy a nuovo direttore creativo di Chanel. “Questo fenomeno”, dice Giansante, ”è ulteriormente potenziato dall’interazione diretta degli ambassador con i loro follower, che aumenta l'efficacia delle campagne di marketing e consolida il loro ruolo di figure globali”. Per fortuna, oltre a scattare foto e a strillare al Jin della situazione (lo scorso settembre mi avvicinai a una signora che già alle undici del mattino, mentre noi dei media eravamo attesi per la preview della collezione che avrebbe sfilato alle 14, era appostata dietro le transenne, immaginando che fosse lì per accompagnare la figlia adolescente: macché, era da sola), il popolo dei social ogni tanto si interessa anche di moda, quello che i direttori commerciali chiamano “prodotto”: le maggiori discussioni risultano essere state fatte attorno al check di Burberry, ma pare che ci si diverta parecchio anche attorno alla conoscenza, vera o mancante, della storia della moda. Sui social spopola il trend “Guess the Brand”, una sfida a indovinare il brand attraverso sfilate e creazioni, spesso provenienti da archivi storici. In genere, è meglio non prendere per buono quello che viene raccontato successivamente, ma un’amica che si è rifatta una posizione professionale su TikTok dice che la competenza emerge persino lì.

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