Fabio Rovazzi (foto LaPresse)

Alla scoperta del Rovazzi virale, che penetra nella cultura di massa

Manuel Peruzzo

Elogio del rapper che piace tanto ai teenager quanto alle mamme e ai nonni. E che con quei suoi modi da nerd che sa ridere di se stesso ha saputo mettere d'accordo tutti

Gli adulti credono che il mondo appartenga solo a loro. E non sanno da che parte iniziare a leggere un fenomeno irriconoscibile. Quando finalmente trovano una citazione a cui appigliarsi, come “faccio cose, vedo gente”  nel testo del nuovo singolo di Fabio Rovazzi “Tutto molto interessante”, ci si lanciano cercando la complicità dell'autore “citi Moretti!”. E Rovazzi sorprendentemente risponde “non sapevo fosse sua, sono di un’altra generazione. È diventata un modo di dire”. A questo punto il cronista sconsolato non sa se è anti-intellettualismo, disarmante sincerità o rivendicazione dell'ignoranza. Rovazzi sfugge. E sarebbe molto facile accusarlo di non sapere nulla, e trattarlo come fenomeno passeggero, una specie di tormentone disimpegnato a metà tra “Il capitano uncino” di Facchinetti e il Pulcino Pio. 

 

Rovazzi ha 22 anni, e potrebbe dire lo stesso di noi interrogandoci su Matt e Bise (Youtuber), i Lonely Island (trio comico americano) o Jimmy Fallon (conduttore dell’omonimo late night). O sul significato di termini come sbocciare (bere), fare brutto (sbruffone), o quella storia dei selfie mossi alla Gué Pequeno che avete ballato tutti senza saper perché (in sintesi: due fan chiedono al rapper una foto – che è il nuovo autografo – lui accetta controvoglia, viene sfocata, 5.000 commenti di insulti dopo si fissa nell’immaginario di chi bazzica quel giro). Se Rovazzi non lo fa è solo perché è meno arrogante di noi.

 

Rovazzi non è un ignorantello o uno stupido. Conosce i Monty Python, Frank Zappa, la comicità americana e la grammatica social fin da quando ha abbandonato il liceo per fare il videomaker girando per locali con il faro led e passando la notte a montare video per 70 euro. Ma è il tono che fa veramente la differenza. Rovazzi ha la risposta brillante pronta, e l'atteggiamento “schiscio” da lombardo che sa che non c’è nulla di più antipatico dell’auto-celebrazione e di chi si prende sul serio. Invitato al tavolo di Fazio, gli si chiede “e adesso?”, ma anche “da dove esci tu”. Come se fosse un ragazzo senza futuro né passato, come se non fosse stato "Mr Cento milioni di visualizzazioni" con “Andiamo a comandare”, come se fosse colpa sua se Marzullo è spiazzato.

 

 

In questo clima aleggia la diffidenza moralistica del vecchio mondo dello spettacolo verso il nuovo, ben espressa da Claudio Amendola che a "Tale e quale show" aveva commentato l’esibizione di Enrico Papi in Rovazzi “Sei stato antipatico quasi quanto l’originale”. E l’originale ha ribattuto con fiera milanesità: “Amendola? pensavo fosse una fermata”. Ai romani non va giù che esista qualcuno che non parla in dialetto e possa far ridere. È la sindrome del successo immeritato, come se fosse l’unico.

 

Col senno di poi, in cui tutti siamo campioni, è facile: balletto replicabile, espressioni gergali giovanili e memi, base ignorante sincopata, niente parolacce o messaggi politici (anche se alle canzoni si può far dire tutto). Non c’è intervista dove non si chieda a Rovazzi di spiegare la formula del successo e della viralità. E lui, ancora una volta, spiazza, e dice che se ci fosse una regola la useremmo tutti per essere miliardari, perché nessuno nasce con la vocazione alla nicchia; che lui si diverte coi suoi amici; che far sembrare semplice una cosa complessa è difficilissimo; che c’è tanto lavoro dietro e che a priori non sai mai se funzionerà. E poi parla con un lessico da imprenditore, e quindi il ritornello è un “claim”, e la canzone è un “progetto”. Qui ci accorgiamo che Rovazzi sta lavorando. E se gli chiedi “mi dici come hai vinto la paura le prime volte che ti sei esibito?”, ti risponde candidamente “no, la prima volta ho perso di brutto”.

 

Sì, Rovazzi piace ai genitori. Ha capito che "Andiamo a comandare" era una cosa grossa quando si è trovato una scolaresca in cortile a citofonargli. Piace ai preadolescenti attaccati a YouTube anziché al televisore, perché le nuove star sono lì. Sì, Rovazzi ha il benestare dei genitori: niente parolacce, niente alcol, niente fumo. Ma siamo pronti a scommettere che a zumba se lo ballano le madri. Nei balli di massa nelle spiagge pugliesi c’erano genitori e nonni, pronti a esercitare il proprio diritto inalienabile di tornare giovani. È il Rovazzi virale che penetra nella cultura di massa, da nord a sud, dai piccoli ai vecchi, intercetta tutti come Checco Zalone o, per dirla in altri termini, come le cose che funzionano. Rovazzi riesce nell’impossibile e unisce i dipendenti napoletani delle Poste  ai bergamaschi di Pontida diretti da Salvini

 

Rovazzi è comico musicale, fenomeno estivo, cervello non in fuga, webstar, smanettone, nerd, creativo. Un po’ tutto. Sicuramente non è un cantante e non ci tiene a esserlo. Arruolato da Fedez (lo abbiamo già scritto che il ragazzo ha fiuto per gli affari) e J-Ax per l’etichetta Newtopia, lo hanno preso dalla cameretta e lanciato nel mondo. Sappiamo dire meglio cosa non è. Rovazzi non è un maschio alfa, ma un maschio beta. Vicino a Fedez mezzo nudo, muscoloso e tatuaggi se ne sta in maglietta coi 60 chili totali a prendersi in giro. È il compagno di scuola a cui fare gli scherzi. È quello che generalmente non limona facilmente. Si è fatto crescere i baffetti come chi è stufo di farsi chiedere se è maggiorenne.

 

Oggi che le porte “sono diventate scorrevoli come quelle delle banche”, tutti vogliono un pezzo del suo successo. Per farsi leggere basta mettere Rovazzi nel titolo e poi parlar d’altro, citandolo a caso qua e là, per aggrapparsi al personaggio e sperare in un po’ di traffico in più. Lo ha fatto il rapper sardo Salmo, giocando a fare la parte di quello duro e puro a cui è stata rubata l’idea dell’intro del nuovo singolo di Rovazzi (Fabio de Luigi in veste di discografico che chiede un nuovo singolo di successo; in realtà un cliché fatto fin dai tempi in cui Vianello si incontrava col funzionario Rai e chiedeva battute più semplici), siamo disposti a tutto pur di farci pubblicità e posizionarci pro o contro Rovazzi.

A modo suo anche il Fatto Quotidiano ha già messo le mani su di lui, titolando «Rovazzi sta con Scanzi», là dove scherza sul far fare all’opinionista toscano il fenomeno del web al posto suo, segue interminabile video di Scanzi-fenomeno-web che balla come un Vacchi sgraziato senza barca, muscoli e figa. O come Mangoni in questo video 

Siccome Rovazzi ci piace, lo supplichiamo di continuare a non occuparsi di politica, di essere puro intrattenimento, di farci ridere e di non scrivere mai e poi mai l’inno politico ad alcun movimento pentastellato cedendo al richiamo civile del cantautore. E di continuare a pensarla come Bennato: «sono solo canzonette».

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