Ed Sheeran occupa la classifica e crea disordini nel mercato musicale uk
Il cantautore ha deciso di pubblicare i suoi pezzi in tutte le piattaforme web, perfino quelle gratuite. Così ha impedito agli altri artisti di entrare nella chart. Ma ascoltare un brano equivale a comprarlo?
Secondo le usuali leggi di mercato, il successo di vendita di un prodotto ha dei riflessi positivi su tutto il comparto.
Succedeva così anche nella discografia fino a quando l'innovazione “disruptive” dello streaming ha rivoluzionato completamente il mercato e le numeriche ad esso correlate, ovvero le classifiche di vendita, le “hit parade”, vero termometro dei gusti del pubblico e indicatore economico del settore.
Siamo in Inghilterra, patria europea del pop rock da classifica, e “Divide” il nuovo disco di Ed Sheeran, il rosso ventiseienne di Halifax vagamente somigliante al ministro Lotti, ha creato lo scompiglio nella classifica dei singoli più “venduti” (anche se forse sarebbe più opportuno usare il verbo “ascoltati”). In pratica nella top 20 della Official Charts Company, la società che cura il rilevamento dei dati di vendita oltremanica, ben 16 posizioni sono occupate da canzoni di Sheeran, ovvero tutte quelle contenute nel suo ultimo disco, anche se ufficialmente sono solo due i “singoli” ufficiali.
Questa anomalia deriva dal modo di “consumare musica” da parte del grande pubblico: l'ascolto dalle piattaforme streaming (Spotify, Deezer, Apple Music...) è in fortissima ascesa ed ha sostituito il download (l'acquisto di mp3 da iTunes, per intenderci), mentre il mercato dei cd si è fortememente ridimensionato. Così anche la metodologia di rilevazione si è adeguata, equiparando 150 streaming di una canzone a un download. Al contrario però di altri blockbuster degli scorsi anni che avevano limitato la vendita e l'ascolto solo su alcuni canali (Adele non aveva pubblicato il suo ultimo disco sulle piattaforme streaming e Beyonce solo su Tidal e iTunes), il buon Sheeran, andando contro anche alla casa discografica Asylum/Warner, ha deciso di pubblicare tutti i pezzi in tutte le piattaforme web, perfino quelle gratuite come Youtube. La questione è che però anche gli ascolti gratuiti vengono conteggiati contribuendo alle posizione nella classifica.
Il risultato è un'occupazione totale della chart da parte del simpatico rossino, impedendo di fatto ad altri artisti di poterne farne parte e uccidendo quel proverbiale dinamismo che caratterizzava le classifiche UK che, fino a pochi anni fa, metteva spesso in evidenza nuovi artisti; quindi una stagnazione e un congelamento che compromette la credibilità dell'istituzione chart.
Poi c'è da considerare un problema concettuale alla base: ascoltare un brano è paragonabile ad acquistarlo? Beh, no di certo. Oltre a questo nella attuale rilevazione non vengono attribuiti pesi diversi tra ascolti a pagamento e ascolti gratuiti, che sono la stragrande maggioranza, ovviamente, e che non corrispondono a un guadagno diretto della casa discografica.
Insomma, un gran pasticcio in cui vengono messe insieme metriche e indicatori diversi, mele e pere, coinvolgimento dell'ascoltatore e vendita della canzone, nello stesso calderone.
Sono in molti tra gli addetti ai lavori a chiedere una separazione di rilevazione tra musica comprata e musica ascoltata (in streaming). In Italia ancora un fenomeno così dilagante non si è ancora presentato ma il presidente della Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI) Enzo Mazza raggiunto dal sito Rockol sostiene che è in corso in tutto il mondo una profonda analisi sulla metodologia di rilevazione, perché il mercato dello streaming è globale e fortemente influenzato dall'industria delle major che con le playlist sono in grado di pilotare tutti i mercati.
Quindi ci troviamo di fronte a un mercato che fino a pochi anni fa era minacciato fortemente dalla pirateria, oggi in gran parte debellata, ma che oggi deve combattere contro le proprie regole che lo stanno ingabbiando.