Macché potere, Il Flauto magico parla d'amore
Dentro l’opera dell’Illuminismo Mozart e il suo librettista Schikaneder ficcano quattro personaggi che s’amano per riconoscenza e non per conoscenza
Macché potere, Il Flauto magico parla d’amore: per questo pullula di continue interdizioni alla chiacchiera, che dell’amore è il veleno. Una bella beffa, per uno Singspiel (opera cantata), che alla fine del Settecento prese a essere il genere operistico che inseriva la parola recitata tra i suoi strumenti. E un bel paradosso: al suo lavoro più parlato, Mozart affida un pessimo libretto. Perché Mozart, ce l’ha insegnato Milos Forman, era un burlone, rovesciava tutto, contraddiceva, scardinava. Dentro l’opera dell’Illuminismo, del governo del sole, del bene che sguscia fuori dall’ombra, della massoneria che triangola la realtà, della virilità che è luce contro la femminilità che è notte e caos, Mozart e il suo librettista Schikaneder ficcano quattro personaggi che s’inseguono senza conoscersi, s’amano per riconoscenza e non per conoscenza, si vincolano e non s’emancipano, si fidano e non si sfidano.
Tamino s’innamora di Pamina guardando un suo ritratto: è la mamma di lei, la Regina della notte, che glielo mostra per convincerlo ad andare a salvarla dal suo rapitore Sarastro e riportargliela. Scopriremo poi che a muovere la Regina non è amore materno, ma sete di potere: solo sua figlia può riprendere il cerchio del sole che il padre aveva lasciato in eredità ai suoi confratelli maschi, mica alla moglie, verbosa, superba e femmina (“preservarsi dalle insidie delle donne è la prima regola della confraternita”, ripetono saggi e paggi, per tutta l’opera). Tamino accetta l’incarico, ma i confratelli lo intercettano subito, spiegandogli che Pamina gli è destinata: per questo Sarastro l’ha sottratta alla madre, che altrimenti avrebbe ostacolato la loro unione. Al suo fianco, Tamino ha Papageno, l’uccellatore di corte (non un birdwatcher, ma un cacciatore di volatili per il diletto di dame e damigelle: Franzen lo avrebbe denunciato alla Lipu). Tamino deve affrontare dure prove per essere ammesso nell’ordine nuovo, quello dei guerrieri della luce, i confratelli fedeli a Iside e Osiride convinti di poter svegliare il popolo dal sonno della superstizione. Papageno, che è uno sciupafemmine cacasotto, mangione e godurioso, viene punito per le sue frottole e mandato ad affiancare Tamino nella sua impresa eroica. Proprio lui che, invece, è un antieroe: “Ci saranno cose peggiori”, risponde Papageno all’Oratore che crede di dispiacerlo quando gli dice che lui non potrà mai essere un iniziato. Papageno è Mozart. Papageno è l’uomo, è l’autonomia umana che si svincola anche senza logos e grazie solo all’appetenza, al desiderio, a quella libertà che sta nel non opporsi ai propri limiti: non ha bisogno di entrare nel circolo degli illuminati. La prova più importante che Papageno e Tamino devono affrontare, uno per amore e l’altro per portare a casa la pelle, è tacere. Pamina implora Tamino di parlarle e lui si rifiuta: lei si dispera, ma resiste. Perché l’amore del Flauto magico è selvatico ma per niente selvaggio, sboccia e non s’instaura, si dà e non si spiega. E’ l’amore del miracolo, che per darsi deve annullare il dire. L’amore bendato, che si svela quando non si cede all’apparenza di un gesto negato, di una sottrazione, di un difetto. “Ho chiacchierato e questo era male!”, si rimprovera Papageno quando la ragazza che gli rotola davanti per caso, dopo aver svelato le sue reali sembianze (all’inizio gli era apparsa come una vecchia e lui l’aveva accettata, “in attesa di altre più belle”), svanisce. Ma Papageno è il vincitore dell’opera e lei ritorna, splendida, piumata, bellissima, simile in tutto a lui, da che gli era stata opposta. Papageno e Papagena si riconoscono: pa-pa, dice lui, pa-pa, dice lei. E niente “you say potato, I say tomato”: ben lontani dal discorso, Papageno e Papagena si riconoscono grazie al linguaggio pre-verbale, ai balbettii. Minuti interi di pa-pa che hanno, malauguratamente, reso quest’opera una favoletta da bosco incantato. Stasera, però, a Firenze, Damiano Michieletto ambienterà il Flauto magico in una scuola, vestendo Papageno da bidello, Pamina e Tamino da scolari, la regina madre da genitore ombrello. Per dirci, forse, che l’amore non s’impara, ma la libertà sì.