Il freddo virtuosismo di Yuja Wang è solo tecnica e cosce al vento
Da aprile 2017 la pianista cinese sarà in tournee in Italia. Abiti attillati e paillettes: la Wang ti abbaglia affinché tu non possa vedere. Peccato che il ruolo dell’interprete è illuminare affinché si possa vedere meglio
Tacco dodici. Spacco che solca un fluorescente e attillatissimo abito lungo che parte dalla vita e arriva al tallone. Brillantini vari. Ipad Pro 12.9 sul leggio del pianoforte. Stiamo parlando Yuja Wang pianista cinese ormai da anni nel circuito dei grandi solisti internazionali e da aprile 2017 in tournee in Italia (il ventotto di questo mese all’Auditorium Parco della Musica di Roma per poi partire con l’Orchestra di Santa Cecilia per alcune date in giro per l’Europa).
Al di là dell’abito, su cui poi ritorneremo, il fenomeno Wang è da approfondire. Giovane pianista, dalla tecnica o meglio dalla meccanica delle mani impressionanti. La Wang è esecutrice inarrivabile da questo punto di vista: ottave alla velocità della luce, anche più rapide di quelle della Argerich, incredibile velocità delle dita, possibilità di accedere a qualsiasi repertorio pianistico in particolare quello dall’elevato tasso tecnico. Yuja nasce con il pianoforte nelle mani e cresce in quella grande fucina di roboanti pianisti che la Cina sforna e manda in giro a stupire platee intere. All’aspetto meccanico la Wang aggiunge quello del look. I suoi tacchi, gli spacchi (ovviamente sempre lato pubblico) gli inchini prodigiosi e l’orologio Rolex (suo sponsor personale) che indossa in tutte le foto ufficiali, non passano inosservati.
Molte volte, in concerto, è più emozionante guardare le sue gambe che ascoltare le sue dita. Se ne era accorto benissimo Mark Swed critico del Los Angeles Time che nel 2011, quando ancora la fama non era planetaria, scriveva causticamente sul suo giornale: “Il suo vestito di martedì era così corto e attillato che se ce ne fosse stato appena un po' meno, il Bowl (Hollywood Bowl ndr) avrebbe dovuto limitare l'ingresso a qualsiasi amante della musica al di sotto dei 18 anni non accompagnato da un adulto. Se i suoi tacchi fossero stati più alti le sarebbe stato impossibile camminare, per non parlare del suo pedale sensibile”. Per questa recensione Swed è stato ferocemente attaccato, ma come dargli torto? La stessa pianista ha dichiarato pochi giorni fa al Guardian che quando suona vuole mettersi a nudo.
Yuja Wang cerca in tutti i modi di concentrare l’attenzione sulla sua persona. È interprete di se stessa e incapace, al pianoforte, di lasciare spazio alla musica. Non siamo così babbioni da scandalizzarci di una coscia buttata lì al vento o di un tacco vertiginoso. Quello che più destabilizza è l’assoluta mancanza di gusto nell’interpretazione. Ascoltate il suo Concerto n. 3 di Prokofiev. Non manca una nota, splendido. Difficilissimo. Ma non c’è un suono bello, ammaliante. Tutto è buttato nella caciara della velocità. La Wang ti abbaglia affinché tu non possa vedere. Peccato che il ruolo dell’interprete è illuminare affinché la gente possa vedere meglio. La pianista è esattamente la versione maschile di Lang Lang. Un Lang Lang in paillettes e lustrini.
Peccato perché, come già detto, gli indiscussi mezzi meccanici, la memoria prodigiosa, le permetterebbero di accedere a un pianismo più serio, problematico, meno remunerativo ma più onesto. E’ il “mercato bellezza” che colpisce anche la “classica” e va bene così. Intanto l’ascolteremo in questo tour Europeo dove si cimenta in opere titaniche come l’esecuzione dei 24 Preludi per pianoforte di Chopin. A quest’ultimo non passeranno inosservati gli abiti della pianista. Così diceva parlando delle donne di Berlino: “Le berlinesi vestono male; cambiano molto, è vero, ma è un peccato per le belle stoffe sciupate per tali pupattole”.