No Vasco, non ci casco
Troppi ricordi. Il concerto dei 220.000 a Modena è una trappola della nostalgia da cui fuggire
Vasco, io non ci casco nella tua trappola della nostalgia. Il mio tributo l’ho già pagato, ho già bevuto troppi whisky al Roxy Bar di via Rizzoli, nonostante i chiarimenti del comune amico Stefano Bonaga che millanta volte mi ha spiegato la natura apocrifa dell’insegna e che sempre dimentico perché anche a me piace vivere dentro una leggenda sebbene farlocca.
Vasco, io non la voglio ascoltare “Colpa d’Alfredo” a Modena dal vivo, perché fatalmente tutta l’attenzione cadrebbe sul negro e in particolare sulla fatale G: la pronuncia o non la pronuncia? Se non la pronunciassi dovrei darti del vigliacco, se la pronunciassi dovrei comunque notare che un’altra canzone così estrema non la scriverai neanche campassi altri cent’anni. Oggi scrivi versi come “a crescere bambini, avere dei vicini / seduti sul divano / parlar del più e del meno”. Il testo di “Come nelle favole” avrebbe potuto scriverlo, con tutto il rispetto, Povia. Capisco che tu sia ormai una specie di vescovone costretto a tenere assieme tutte le generazioni, tutte le sensibilità, somministrando predicozzi facili, molto minimi comuni denominatori. Permettimi però di ammirare l’ultimo David Bowie che pur vecchio e malato con “Blackstar” puntò altissimo chiamando intorno a sé musicisti di avanguardia e dunque Mark Guiliana e Donny McCaslin, non Gaetano Curreri. Considero una maledizione il fatto che in Italia dopo una certa età non si riesca a fare musica se non nei termini della rimpatriata, dell’amarcord. Stai facendo il Paolo Limiti di te stesso, Vasco.
Vasco, io non vorrei più sentirle né dal vivo né da studio “Ridere di te” e “Brava Giulia” e “Vivere una favola” e le altre melanconiche perle di fine Ottanta perché ricordo anche troppo bene quando e dove e con chi le ascoltai la prima volta. Abitavo in un’altra città, facevo un altro lavoro, avevo altre macchine, altri vizi, e altre voci pronunciavano il mio nome. “Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto / ma nel cuore / nessuna croce manca…”. Scusami se adesso ti confondo con Ungaretti ma la tua discografia è il mio Carso, il paese più straziato. Sei una botta di vecchiaia, Vasco. E fatico a capire come sia possibile che 220.000 miei connazionali (220.000 passatisti e masochisti?) si sottopongano alla controterapia avvizzente denominata Modena Park. Hanno pagato 75 euri per vederti? Io pagherei 75 euri per dimenticarti.
Vasco, a proposito di numeri, sappi che 220.000 appartiene al computo dell’assurdo, alla statistica della hybris. Povera la città che in questi giorni sta subendo la tua megalomania (amici che abitano in viale Storchi mi raccontano di essere all’incirca sequestrati). E poveri i tuoi chitarristi a cui è impossibile risparmiare disastrosi confronti: c’erano meno persone a Woodstock per ascoltare Jimi Hendrix di quante ce ne saranno stasera al Parco Ferrari per ascoltare Andrea Braido e Maurizio Solieri. E il palco da 150 metri? Ti serve per farci dei giri in bicicletta oppure con la golf car? Corrisponde alla lunghezza di cinque Argentinosauri, i più grandi dinosauri conosciuti, estintisi nel Cretaceo anche per colpa delle dimensioni insensate. Questa gara fra te e Ligabue a chi ha il concerto più grosso anziché dai critici musicali la farei commentare dagli psicologi e dai paleontologi, credo siano le specializzazioni più indicate.
Vasco perdonami, adesso devo andare, dopo tutti questi ricordi sento il bisogno di rinfrescarmi le orecchie con la canzone dell’estate 2017 ossia “Riccione” dei The Giornalisti. Il video però sembra girato da Vanzina e l’audio è un misto di Righeira e Luca Carboni, troppo tardi mi accorgo di essere caduto dalla padella alla brace, dalla nostalgia al citazionismo: un’altra trappola, avranno imparato da te.