"Il Maestro parlava solo di quello che aveva ascoltato. Un pregio raro"
Il ricordo di Alessio Vlad, direttore artistico dell'Opera di Roma
Roma. Se ne va un genio della musica, una personalità che sarebbe riduttivo definire critico musicale. Mario Bortolotto era molto di più. Musicista, con studi pianistici completati integralmente. Pensatore, acuto e originalissimo. Filosofo della musica e fine studioso dei suoi mutamenti. Stimato da giornalisti, accademici e musicisti, temuto per le profonde e argomentate convinzioni, il sapere dotto, plurimo e sterminato. Il Foglio perde l’amico e il Maestro Bortolotto. Anche Alessio Vlad, direttore artistico della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, se ne rammarica. “Conoscevo Bortolotto da una vita pur non avendo mai approfondito il nostro rapporto. Negli ultimi anni, da quando sono a Roma, ci siamo visti molto spesso e questo è stato per me motivo di grande gioia”.
Bortolotto era un frequentatore assiduo del Teatro dell’Opera di Roma e di tutta la vita musicale italiana e non. Amava nascondersi in qualche galleria, rifuggendo la mondanità della platea. Insieme ad Alessio Vlad parlava di musica accomunati dal desiderio di ricerca e dalla grande curiosità. “Mario Bortolotto era la curiosità e la fantasia fatta persona – continua Vlad – io ho sempre cercato di fare una programmazione disomogenea che suscitasse curiosità; con il Maestro ci siamo spesso ritrovati perché lui partecipava in questo percorso di programmazione. Abbiamo anche condiviso parecchi momenti di convivialità. Bortolotto amava lo stare insieme, anche in cucina. Era un grande studioso di libri, musica, esploratore di argomenti mai trattati, ma anche ricercatore di ottimi ristoranti che selezionava grazie alla sua sconfinata conoscenza dell’arte culinaria”.
Scrittore raffinatissimo, intelligenza fulminea, Bortolotto odiava gli smielati e accomodanti cliché accademici, lui che repelleva diplomazia e rigidi schemi chiusi. Per la musica occidentale e in particolare quella italiana il Maestro è stato decisivo. Lo riconosce lo stesso Vlad: “L’Italia, in tempi nemmeno troppo lontani, ha vissuto una palude ideologica. Anch’egli non è stato esente da questa ideologia; però, la sua statura intellettuale, unica nella capacità argomentativa e di scrittura, gli ha permesso di trascendere, a un livello diverso, quelle che per altri erano delle false certezze ideologiche”.
La traiettoria del pensiero musicale di Mario Bortolotto è tracciata incisivamente nella sua ricca bibliografia che sviscera due secoli di musica, il XIX e il XX, in ogni dettaglio e attraverso l’analisi di opere e aspetti sempre originali e mai trattati da altri. La sua scrittura spesso veniva tacciata di complessità fine a se stessa, tale da creare un distacco con il lettore. “Questo è un appunto che si fa quando non si vuole capire bene quello che si legge – continua Vlad – quando si parla di musica o di teatro d’opera si tenderebbe sempre a cercare rassicurazioni; nel momento in cui ci si allontana da assolutizzazioni, ti accusano di essere incomprensibile”.
Anche come critico musicale Bortolotto ci ha lasciato pagine di sterminata bellezza, lui che con la critica musicale italiana nulla aveva a che fare. Lo conferma lo stesso Vlad: “Molto spesso in Italia la critica musicale si è risolta in modo facile, con una cronaca un po’ loggionistica della serata o dell’interpretazione. In questo Bortolotto ha cercato sempre di far capire cosa la gente andava ad ascoltare. Egli fa parte di quella generazione che vede mostri sacri come Fedele D’Amico e Massimo Mila che parlano di quello che si è ascoltato alla luce delle ragioni intrinseche dell’opera. Questo livello di critica non esiste più. Termina con Bortolotto. Oggi leggendo una recensione è molto raro comprendere cosa si è ascoltato e visto”. Bortolotto accendeva una luce diversa e inaspettata sulla musica. Mancherà alla musica.