Mario Bortolotto, amico
Il grande critico musicale scomparso ieri raccontato da Roberto Calasso. Tra libri, lettere, estetica e gusto
La data dell’incontro è il 1961, una di quelle date che segnano l’inizio di amicizie destinate a durare per tutta la vita. Ma, per scrupolo di controllo, c’è il “plico delle centinaia di lettere”, una corrispondenza mai interrotta, “che posso vedere qui ora di fronte a me”. La prima porta una data del 1961. Il luogo, Venezia. Si conobbero “attorno al Festival di musica contemporanea”. E “fu subito un rapporto molto intenso, forte, di complicità immediata nei gusti e nelle avversioni, di passioni musicali e intellettuali non solo comunicate, contagiate. Mario era una persona con cui un’amicizia non avrebbe potuto essere che così, o non ci sarebbe stata”. Non un rapporto a due, quello che nacque in quei primi Sessanta muovendo proprio dalle lunghe passeggiate a Venezia, ma a tre, il terzo era Enzo Turolla, l’altro amico carissimo di Roberto Calasso, “il più straordinario puro lettore che abbia conosciuto, e anche uno straordinario scrittore orale”. Vite che hanno ruotato, per forza di cose, o di destino, attorno all’Adelphi, che da lì a poco sarebbe diventata “la casa” di Roberto Calasso, e l’editore di molti dei libri di Mario Bortolotto.
Ma per ricordare l’amico morto mercoledì a Roma, Calasso parte da un altro punto, “una cosa che è meglio sia detta: Bortolotto apparteneva a quella particolare stirpe di critici che sono anche veri scrittori. Stirpe che in certi decenni in Italia è stata magnificamente presente, con Roberto Longhi, con Gianfranco Contini, con Mario Praz. Un amico ha definito Bortolotto come ‘il Roberto Longhi della musica’. Studiosi di enorme erudizione che alla precisione del linguaggio tecnico della loro disciplina sapevano unire la capacità di una propria cifra stilistica, la capacità di nominare in modo memorabile l’oggetto della loro indagine”. La casa editrice Adelphi sarebbe nata un anno dopo, nel 1962. L’approdo, più tardi, di Bortolotto tra i suoi autori “era nelle cose” di una lunga amicizia, e di un sodalizio culturale mai interrotto. Ricorda Calasso il volume che Adelphi sta preparando, per i primi mesi del 2018, e che raccoglierà i “saggi dispersi” di Mario Bortolotto. Avrebbe dovuto essere pronto per il novantesimo compleanno del critico, che abbiamo festeggiato il 30 agosto scorso. Saggi dispersi, di difficile reperibilità, perché la produzione di Bortolotto è enorme, generosa, ma lui non era un sistematore di se stesso. Aristocratico forse non gli sarebbe piaciuto, come aggettivo, ma nella bellissima intervista che concesse a Ludovica Ripa di Meana per L’Europeo nel 1983 e che il Foglio ha ripubblicato per i suoi novant’anni, aveva detto che non c’era niente di male a immaginare la torre d’avorio, e che il posto di un intellettuale dovesse essere là sopra. “Era uno scrittore totalmente a parte”, concorda Calasso, “fuori dal canone comune del critico universitario, o del divulgatore. Allo stesso tempo è stato per tutta la vita un uomo curiosissimo, onnivoro, disponibile, il contrario dell’accademico ritroso. E il suo stile iperallusivo, acrobatico, talvolta provocatorio nella difficoltà, poteva anche occasionalmente trasformarsi in una chiarezza didattica straordinaria. Introduzione al lied romantico è un esempio eccelso di questa capacità”.
Di Bortolotto, Calasso non vuole ricordare soltanto il critico, anche militante. Gli piace ricordare “il grande epistolografo che era. Nelle sue lettere, accanto ai giudizi, alle diatribe, e ce n’erano, c’è sempre la verve e l’immediatezza di un uomo immensamente ironico, idiosincratico, sferzante, esperto di ogni sorta di cose. E una capacità conversativa, familiare, che è ammaliante”. Era anche uno strepitoso lettore, oltre che ascoltatore. “Dai classici di ogni specie ai più disparati contemporanei, qualsiasi libro poteva attirare la sua curiosità”. Ed era dotato di un fiuto infallibile, come aveva raccontato, per cui un critico non ha bisogno di aver letto “tutti i libri” per sapere a colpo sicuro quali erano quelli importanti.
“E attentissimo, nell’apparente occasionalità delle scelte. Non gli sfuggiva mai il dettaglio. Mi chiamava sempre per comunicarmi quando trovava un refuso nei libri di Adelphi. Ma confessava di essere incapace di trovarli nei suoi, di scritti”.
Aveva un enorme gusto, “assorbiva tutto attraverso un filtro estetico altamente percettivo, di una precisione matematica”. “Sceglierei di essere prima che un critico, un viandante”, diceva di sé. Concorda Calasso: “E’ Schubert, è il viaggio romantico tedesco, che per Bortolotto sono sempre al cuore di tutto. Credo che nessuno come lui abbia capito e vissuto la Romantik, che nella sua forma suprema è musicale”.
Universalismo individualistico