Così Cremonini prova a cambiare i “Possibili scenari” della musica
Con canzoni lunghe e poco adatte ai passaggi radiofonici il nuovo album del cantautore bolognese prova a sfidare la logica delle classifiche: “Mi sono lanciato e ho provato l'ebrezza del coraggio”
Un disco dadaista. Che si ribella alle logiche e alle dinamiche del pop di oggi, infischiandosene. Ma senza presunzione. E senza paura. Si chiama “Possibili scenari” ed è di Cesare Cremonini l'album (in uscita per la Universal) più poliedrico e coraggioso di questo 2017. Anno che sul suo finire, eccezion fatta per qualche lavoro a dire il vero molto buono, non verrà certo ricordato per l’eccellenza musicale sfornata dai nostri artisti, in troppi ormai avvezzi a soddisfare le logiche di un mercato confuso più che quelle di una qualità alla quale ci siamo (ci hanno?) nemmeno troppo lentamente disabituati.
Dieci canzoni. Lunghe. “Ribelli” fin dal minutaggio esteso (la più breve dura 4 minuti e 11 secondi, la più lunga, ultima nella tracklist ma bellissima: 7 minuti e 3) poco adatto agli ambitissimi passaggi radiofonici, dispotici nel dettar regole che hanno finito per imprigionare l’arte nello schema. Nel prevedibile. Nella noia.
Dieci canzoni. E per ciascuna, una sorpresa. Molteplici le suggestioni offerte dal cantautore bolognese, fattosi (definitivamente?) adulto.
Dal film Il laureato al fondamentalismo islamico (a dire il vero ben più di una suggestione grazie al ragazzo arrivato dal “Kashmir” – così si chiama la canzone, come la regione che sta fra Pakistan e India, appunt o- che vuole vivere all'occidentale e divertirsi), fino alla ballata - immancabile per Cremonini, o meglio per i suoi fan sulle note di “Nessuno vuole essere Robin”, pezzo promettente persino per l’airplay, interamente scritta dal cantautore senza contributo alcuno (“non sono interessato a rapporto di scambio per fini commerciali”).
In tutte le altre canzoni, la sola collaborazione di Davide Petrella, alter ego di Cremonini, prossimamente sul palco dell’Ariston, al contrario di Cesare che, ancora, ringrazia e poi declina l’ipotetico invito: “Quest’anno ci piacerebbe fare un altro percorso. Non amo viaggiare col navigatore che mi dice la strada, la via la conosco”.
E nel percorso scelto per quest’anno, finalmente sono arrivati anche per lui gli stadi. Nel mare magnum di chi sbraita sold out che sold out non sono e si affaccia ai palazzetti con precocità strabiliante ancora prima di aver cominciato una carriera, arriva lui che, in punta di piedi, concerto dopo concerto, gli stadi se li è davvero sudati. Meritati. “L’ultima volta che mi hanno chiesto: vuoi fare un figlio? Ho risposto: no, voglio fare San Siro. Oggi la pago con una solitudine forzata”, ha scherzato a metà. “Ho iniziato a fare questo mestiere perché vedevo Freddy Mercury a Wembley. Non ho intenzione di invitare il pubblico a una mia festa o celebrazione: voglio entrare in quel contesto da musicista e performer. Ho le idee molto chiare su cosa è per me un grande concerto e anche il pop può permettersi di farne”.
Ecco, dunque, cosa succede quando il cantautorato incontra la musica e, stanco delle parole che non bastano più, cerca la sperimentazione. La scopre. La valorizza. Senza la pretesa di essere capito, ma più di essere ascoltato in quel mix di suoni che regala a questo lavoro estroverso e sincero, un sapore inedito nel desolante panorama della musica di oggi, al più fatta di collaborazioni casuali, repack inutili, classifiche basate sulla fruizione vuota e veloce degli streaming inconsapevoli. Bulimici.
Un disco che impegna. Finalmente. Per nulla ruffiano. Attento soltanto a raccontare qualcosa per chi abbia voglia di ascoltare. Felicemente complesso. Nella comprensione, come nell'ascolto. Fatto in due anni, con un’attenzione che richiede attenzione a quello sparuto spicchio di pubblico rimasto disponibile a quest'esercizio.
Solo 10 canzoni, come detto. Al più, apparentemente inadatte per questi tempi sincopati. Eppure, a partire da “Poetica”, inusuale singolo di lancio dell’album già incoronato successo da pubblico e critica, quasi sulla fiducia, i dubbi sul fatto che questa ultima fatica dell’ex Luna Pop non lascerà il solco, sono residui. “Poetica è prima in radio nonostante non abbia le peculiarità per esserlo: grazie per la fiducia”, ha detto Cremonini soddisfatto. “Mi sono lanciato e ho provato l'ebrezza del coraggio. Essere uomini davanti al proprio mestiere non ha a che fare col successo e ti regala molto di più: questo disco mi ha dato tanto dal punto di vista umano”.
Quindi, “anche se quello che stavo proponendo mi spaventava perché mi rendevo conto che stavo alzando l'asticella”, non si è fermato e ha continuato a credere in se stesso, nel suo produttore Walter Mameli, e nei suoi mezzi.
“Sento una bella sinergia da parte del pubblico: ho avvertito gratitudine nei confronti di un artista che continua a scoprire. Questo mi dà la possibilità di lavorare ancora per dare alle persone qualcosa che sia sempre una novità”, ha spiegato ancora Cremonini, dimagrito di 10 chili durante questi mesi di lavoro.
“Empatia è la parola chiave di questo album: ricerca di umanità che va oltre le macchine o il 3 posto assicurato con un singolo che ha i muscoli. Una canzone ancora oggi è fatta di melodia, qualità da offrire al pubblico e può ancora permettersi il lusso di durare negli anni se ha certe caratteristiche”. E se anche le case discografiche sono disposte a dare un po’ di fiducia, come dev’essere successo in questo caso.
Fra i “Possibili scenari”, dunque, anche quello di un ritorno alla buona musica. Fatta per essere ascoltata e non soltanto sentita. Per piacersi, oltre che per piacere. Per raccontare qualcosa che vada oltre la scalata di classifiche vuote, buone più che altro per il lancio di comunicati stampa. Perché, anche se “il futuro non è rassicurante”, come ha fatto notare ancora l’artista, dopo l’uscita di questo disco lo è un po’ di più. Certo, per quanto riguarda la musica. Almeno, quella che se ne frega delle classifiche.