La Staatsoper Unter den Linden

La mutazione genetica della Staatsoper di Berlino. Musica per tutti

Daniel Mosseri

"Siamo il cuore della città". Parla il nuovo Intendant Schulz

Berlino. La Staatsoper Unter den Linden torna a casa. Dopo sette anni di esilio presso lo Schillertheater situato nell’ovest berlinese, l’antico teatro dell’opera riprende possesso dei due edifici dove è nato, di fronte all’isola dei musei nel cuore della capitale tedesca. Per salutare il proprio ritorno, lo scorso 30 settembre la Staatsoper ha organizzato un concerto all’aperto e inaugurato il nuovo cartellone. Altri due mesi di chiusura per avvitare le ultime lampadine e il 7 dicembre si riparte. Approfittando della pausa, il Foglio ha incontrato il nuovo Intendant, Matthias Schulz, chiedendogli di presentare programma e teatro. Le novità non mancano: tanto per cominciare, un nuovo tunnel sotterraneo unisce il teatro dell’opera con l’attigua Intendanz, assicurando cambi di scena più veloci e discreti che in passato, quando fondali, trucchi e costumi attraversavano la piazzetta fra i due edifici. Inaugurato nel 1743 da Federico II di Prussia, il teatro ha una storia tormentata: un incendio lo arse nel 1843 e per rimetterlo in piedi ci vollero sei anni. Nell’aprile del 1941 i bombardamenti alleati lo danneggiarono molto gravemente ma Hitler lo fece riparare e inaugurare nel dicembre dell’anno successivo con I maestri cantori di Norimberga di Wagner. Il 3 febbraio 1945 gli alleati rasero il teatro al suolo.

  

 

La Staatsoper fu ricostruita nel 1955 dall’architetto Richard Paulick in stile “rococò socialista”, secondo l’efficace definizione del New York Times. Gli ultimi lavori, costati 400 milioni di euro (quasi il doppio di quanto preventivato), rispettano quell’impianto, eccezion fatta per una limatura al numero di posti in platea, voluta per migliorare la visibilità. L’innovazione più importante è però sopra le teste del pubblico. Pur mantenendo la cubatura esterna inalterata, il soffitto è stato rialzato di cinque metri: assieme all’installazione a soffitto di una rete in ceramica per ridistribuire il suono, l’aumento del 40 per cento del volume interno ha migliorato l’acustica portando il tempo di riverberazione da 1,1 a 1,6 secondi, “e adesso abbiamo le condizioni ideali per l’intero spettro della musica, da quella barocca a quella contemporanea”, sottolinea il sovrintendente.

 

A partire dall’acustica, Schulz è fiero delle novità ma sembra dimenticare la più grande: lui stesso. Un diploma di pianoforte e uno di Economia politica nel cassetto, Schulz è nato a Monaco nel 1977. Fino a fine a marzo dirigerà la Staatsoper assieme al 75enne Jürgen Flimm, ma poi, a soli 40 anni, spiccherà il volo da solo. “Mi viene spesso domandato come sia diventato Intendant così giovane: ho colto il momento di ricambio generazionale”. La responsabilità è grande, eppure Schulz rimane concentrato sull’obiettivo: “E’  stato il momento giusto di far arrivare alla Staatsoper qualcuno che non avesse già guidato un teatro dell’opera per vent’anni”. Evviva dunque l’innovazione, ma nessun ossequio al giovanilismo: sarà perché ha iniziato a lavorare per il Festival di Salisburgo nel lontano 1999, sarà perché è diventato direttore della Fondazione Mozarteum nel 2012, ma Schulz non ha nulla del novellino. Di sé dice: “Forse è perché ho avuto figli presto” – cinque, che la sera accompagna al pianoforte quando ha tempo – “ma a volte mi sento già un veterano”.

 

A tutela dei “massimi standard di qualità musicale” della Staatsoper, il sovrintendente nato a Monaco sfoggia il direttore Daniel Barenboim alla guida della Staatskappelle, la terza orchestra più antica del mondo. Assieme alla Deutsche Oper e alla Komische Oper, la Staatsoper è il terzo teatro lirico di Berlino: “Noi siamo nel cuore della città”, osserva l’Intendant, ricordando la contiguità della Staatsoper con l’isola dei musei, con l’Università Humboldt, con una nuova linea della metropolitana e con il castello di Berlino in piena (ri)costruzione: “Siamo destinati a modificare la tettonica della città: lo spazio fra Alexanderplatz e la Porta di Brandeburgo sarà il nuovo polo culturale, con la Staatasoper al centro”.

 

Schulz non teme la concorrenza degli altri teatri lirici e osserva che in una capitale destinata ad avere presto 4 milioni di abitanti c’è spazio per tutti. Ammette comunque di parlare con i suoi colleghi “una volta al mese” per far sì che passino almeno due anni fra l’allestimento di una prima in un teatro e la sua ripetizione in un altro. La qualità musicale, certo, ma anche spazio a nuovi direttori e cantanti. Come il soprano Elsa Dreisig, cresciuta dentro la Staatsoper. Strauss, Verdi e Wagner, ricorda l’Intendant, costituiscono l’accordo fondamentale del suo teatro lirico, “ma anche Mozart dovrebbe farne parte”, senza dimenticare né i contemporanei né, soprattutto, “la ricchezza dell’opera barocca”. Anche in tema di voci Schulz punta a innovare, bocciando i cantanti dal repertorio limitato e aprendo a chi si mette in gioco, “magari avendo il coraggio di cantare dei pianissimo che la nuova acustica rende apprezzabili”.

 

Se la tradizione del teatro è quella di produrre un’opera barocca all’anno, “voglio mettere l’accento su questo tema, organizzando un festival barocco: dieci giorni, una produzione nuova, due allestimenti già montati, e molti concerti”. Senza abbondare con Haendel che non sembra essere il suo autore preferito. E la sua Staatsoper non sarà nemmeno un esclusivo club di melomani, magari dai capelli grigi. Se il sito web della Fenice invita il proprio pubblico “a presentarsi a Teatro con un abbigliamento adeguato al rispetto e al decoro della sede e degli altri spettatori”, Schulz si dice affascinato dal pubblico berlinese “così variopinto e informale” e soprattutto “più giovane e internazionale di quello di altre città, e molto difficile da impressionare”. Né d’altro canto il nuovo Intendant ha intenzione di épater le public: cercare a tutti i costi di sorprendere l’audience sarebbe semplicemente “noioso”.

 

Fra un diluvio di opere e concerti organizzati fra la sala grande e l’attigua Pierre-Boulez-Saal per la musica da camera, la lista delle prime si apre con l’Hänsel e Gretel del tardo-romantico Humperdinck, passa da Schumann (Scene dal Faust di Goethe) e Wagner, tocca Verdi con Falstaff e Macbeth, porta in scena Monteverdi con l’Incoronazione di Poppea e si chiude a luglio 2018 con il Ti vedo, ti sento, mi perdo del contemporaneo Salvatore Sciarrino diretto dal 32enne Maxime Pascal, una coproduzione con la Scala di Milano. Schulz punta apertamente a un pubblico per un terzo berlinese, per un terzo tedesco e per un terzo straniero. “Andare all’opera significa vedere qualcosa che coinvolge tutti i tuoi sensi, senza obbligarti ad avere un enorme bagaglio di conoscenze”.

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