Roberto Fico (foto LaPresse)

Ode ai neomelodici

Giuseppe De Filippi

Quasi un passaporto politico. La nuova canzone napoletana dall’Unità di Veltroni a Fico, Terza carica dello stato, che l’ha studiata a fondo

Con una tesi su “L’identità sociale e linguistica nella musica neomelodica napoletana”, a coronamento di studi in Scienza della comunicazione, poteva poi rivelarsi al mondo un ottimo pubblicitario, un editor, un autore televisivo, un critico del costume, ovviamente un discografico, un futuro giudice di talent, una specie di nuovo Umberto Eco, un giornalista, un operatore culturale, un organizzatore di eventi. Insomma, uno sufficientemente stronzo. Invece ne è derivato un anomalo presidente della Camera, una terza carica dello stato, un uomo delle istituzioni, come si sarebbe detto ancora pochi anni fa, oppure un apriscatole umano che è a Montecitorio per completare il lavoro promesso da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio, o perfino una specie di agente monomandatario messo lì per occuparsi dell’ossessione rizzoestelliana per i costi della politica. Che poi quegli studi, completati dal neopresidente della Camera Roberto Fico nel 2001 con la nota tesi, si svolsero a Trieste, dove a una forte, e nobilmente un po’ consunta, tradizione letteraria locale, fatta anche di continue suggestioni per lettori appena un po’ informati, il nostro autore andò a contrapporre una tradizione invece povera, seppur vitale, ma certamente popolaresca, e soprattutto sparlata, calunniata.

    

L’Unità realizzò la saldatura tra la musica riconosciuta e quella abbandonata, dai non napoletani, al suo circuito di bancarelle

Lo immaginiamo passeggiare nella città già asburgica e scacciare tutti quei monumenti letterari e quei fantasmi intellettuali canticchiando il geniale Tony Tammaro (che però i neomelodici li detestava e li sfuggì trasferendosi a Roma da Napoli). “Eri la reginetta, di tutta baia Domizia, avevi un nome semplice, il tuo nome era Patrizia”. Sono versi con cui stendere l’Umberto Saba che incombe tra librerie e birrerie, con cui annichilire il banale lirismo vista mare del castellano a sbafo Rainer Maria Rilke (chiaramente un antesignano della casta, imbucato a Duino, senza lo scontrino, a fare il simpatico coi Della Torre e Tasso in cambio di un vitalizio). Altro che elegie, ma appunto un mare de-liricizzato. Ancora Tammaro: “Eri una tipa splendida, in mezzo agli ombrelloni, stringevi nella mano, la tua frittata di maccheroni”, e nel mare al massimo si entra, per essere notati, facendo “’e tuffe a cufaniello”. Ma, non facciamoci travisare, Tammaro effettivamente, come già detto, i neomelodici apparentemente non li sopporta, e li ha combattuti, pur concorrendo su un terreno simile, per un pubblico simile, facendone il controcanto, come Elio lo fa al pop, e quindi con una punta di amore.

 

 

Ma, appunto, restiamo al tema, perché poi, al Fico sbertucciato per una scelta sulla quale invece a nostro parere non lo meritava, erano toccate interessanti solidarietà preventive, premonitorie. I neomelodici erano stati pubblicati fuori Napoli e presentati con tutto il gramsciano rispetto del caso nientemeno che sull’Unità di Walter Veltroni. In uno dei cd acclusi al giornale, compilando una antologia della musica popolare napoletana, si passava da Salvatore Di Giacomo a Libero Bovio, a E. A. Mario, per arrivare fino a contemporanei, inseriti nella schiera dei cantanti radicati nel mercato musicale campano degli anni 90. Senza timore, con la sicurezza di chi sa di poter promuovere la cultura bassa e trarne vita, energia, ricchezza. L’Unità veltroniana, assistita da solidi consulenti in filologia e da intellettuali ben strutturati, realizzò l’operazione di saldatura tra la musica napoletana ormai riconosciuta come pilastro della nostra grande cultura nazionale e quella invece proprio schifata, abbandonata, dai non napoletani, al suo circuito di bancarelle, di serate in piazza o in locali molto peggiori delle piazze. L’Unità accolse i cafonazzi, Fico, poco dopo, spiegò quale fosse la loro identità sociale e linguistica (almeno immaginiamo che lo spiegò, perché poi quella tesi resta tuttora inaccessibile almeno per le nostre capacità internettiane tutt’altro che hackeristiche) con gli strumenti che ti mette a disposizione lo studio in Scienza della comunicazione e a un’età (ma quello è il problema di tutte le tesi di laurea) che ancora, nella grandissima parte dei casi, non consente il distacco critico necessario per occuparsi di un tema tanto intricato.

     

Un po’ di dileggio, proveniente da una rappresentazione caricaturale del mezzogiorno e di Napoli, e un po’ di invettiva, tutta savianea

Veltroni vide prima, e con un certo coraggio, la rivalutazione (brutta parola) che è poi proseguita, ma come corrente minoritaria, dagli anni 90 in poi. Minoritaria perché a ogni passettino a favore del riconoscimento di qualità o almeno di interesse per i cantanti iper pop della scena napoletana corrispondevano passi più ampi in direzioni divergenti, se non proprio contrarie. Al successo, al consolidamento di una presenza rilevante anche sul piano commerciale, corrispondeva infatti un doppio attacco, un po’ di dileggio e un po’ di invettiva. Il dileggio proveniente da una certa rappresentazione caricaturale e leggermente aggressiva del mezzogiorno e di Napoli che ha preso a circolare, come forma blanda di disprezzo antimeridionale, nel discorso pubblico del nord Italia. Una specie di rifugio in cui trovano ospitalità espressioni semi razziste ma presentate in forma scherzosa, leggera. Mentre l’invettiva è ovviamente tutta savianea, nutrita di una mostruosa cultura serial-televisiva, con cui i cantanti melodici contemporanei sono stati assimilati pari pari ai peggiori delinquenti camorristi.

     

Di fronte a forze soverchianti è logico che i segnali positivi di attenzione culturale, da ultimo il bel film “Song e’ Napule”, restino un po’ da parte, nello spazio di chi già sa di perdere la partita immediata della popolarità ma sente di avere qualche ragione forte e stabile dalla sua. Anche per la valutazione pubblica che è stata fatta della tesi di Fico si sta svolgendo una partita culturale, politica e critica, simile a quella appena esposta. Sembra eccessivo? Beh, il problema è che nella stessa biografia del neo presidente della Camera si fa fatica a trovare momenti di spicco, passaggi qualificanti, linee d’ombra attraversate, romanzi di formazione. Oppure, al contrario, ci sono solo quelle cose lì, ma manca la sostanza. Vacilla il biografo d’assalto, il suo armamentario è messo fuorigioco da un curriculum senza asperità, da una vita studentesca un po’ a Trieste e un po’ in Finlandia (sì c’è quella fascinazione, in stile “Ricomincio da tre” o “La meglio gioventù” ma presente anche nel Checco Zalone del “Posto fisso”, per il nord che funziona, ma che volete farne, è poco per definire una terza carica dello stato) e poi da attività lavorative intermittenti tra la comunicazione per conto di imprese della ristorazione e della formazione aziendale, le attività informatiche fondamentali nel grillismo/casaleggismo, i corsi per agente letterario, strani master di cui non si ha notizia specifica nell’offerta accademica e l’appena più affascinante attività di importatore di tessuti dal Marocco. Tutto un po’ evanescente e impolitico, a contrasto invece con una tetragona adesione al Movimento 5 stelle, con evidente disponibilità di tempo libero per animare, fin dai primi tempi, i meet up e i tavolini per le varie raccolte di firme e iniziative di sensibilizzazione.

     

 

Gratta gratta restano i neomelodici, come unico colpo d’ala. E lì appunto si sono concentrati i due partiti di cui parlavamo prima. Con la difesa delle posizioni di Fico affidata, tra gli altri, ai giornalisti di Fanpage. Interiorizzato il metodo degli agenti provocatori, nella nota testata online campana si industriano ad auto provocarsi, scrivendo di pregiudizi e di un ragionamento affrettato tipico da discussione sui social “relativo proprio alla superstizione sul tema della canzone neomelodica napoletana. La reazione derisoria di queste ore per la laurea di Fico pare un surrogato di quella stolta approssimazione con cui si irride un fenomeno folcloristico, quello della musica neomelodica appunto, verso cui i primi a non risparmiarsi in beffe e canzonature siamo spesso noi campani, in larga parte imbarazzati dal poter essere accostati all’idea di degrado umano e culturale che si associa a quel genere musicale”. Insomma un po’ dicono che non va irriso lo studio di quella musica e un po’ che semmai devono essere i napoletani, che già lo fanno, a irridersela da soli.

      

Ma un ulteriore agente provocatore viene inserito con il parere riportato sempre sulla testata online, quello di uno studioso del fenomeno neomelodico, il professore Marcello Ravveduto, dell’Università di Salerno. Provoca perché anziché sposare l’idea del “degrado umano e culturale” torna invece alla lettura proposta, sia pure in modo molto velato, dall’Unità negli anni 90 e quindi la butta un po’ in politica, aiutato però da una chiosa fatta dal redattore di Fanpage. Ravveduto nel 2007 (anno fatale anche per il grillismo) aveva pubblicato “Napoli... Serenata calibro 9”. “Il testo – viene fatto osservare – ripercorre l’immaginario neomelodico, dalla sceneggiata alla canzone, nel tentativo di spiegare l’humus in cui nasce una tendenza artistica così pittoresca, guardando il fenomeno da vicino, senza pregiudizi. Leggendolo c’è un dato che appare inconfutabile, ovvero che la tradizione neomelodica sia proliferata in contesti principalmente popolari, foraggiata dagli ultimi, dagli emarginati, dai derisi appunto, coltivata in quelle fasce sociali fatiscenti che hanno visto nella musica (nel linguaggio e nei temi) uno strumento di identificazione e autoaffermazione. Se nessuno ti guarda, devi trovare il modo per farti vedere. A volersi concedere il lusso di un parallelismo che è più somigliante a un volo pindarico, nessuno ci intravede una lontana somiglianza con genesi ed espansione del Movimento 5 stelle?”.

      

Il problema è che nella biografia del neo presidente della Camera si fa fatica a trovare momenti di spicco, romanzi di formazione

Fermiamoci sull’interrogativo retoricamente sospeso, e integriamolo con la visione, al cui interno troviamo anche un’affascinante premonizione, proveniente da un’altra testata, di tutt’altra impostazione culturale. Nel 2016 Tv Sorrisi e Canzoni, dovendo scrivere dell’argomento anche in occasione del lancio di un talent specifico su Real Tv, esordisce con un “non chiamateli neomelodici” e prosegue in modo interessante dicendo che “ai cantanti napoletani, infatti, questo termine, nato per identificare il figlio spurio e un po’ ‘tamarro’ della canzone partenopea, non piace: l’approccio dei media, spesso superficiale e più attento a cercare legami con la criminalità (la cronaca, purtroppo, racconta che i casi non mancano) e i tratti kitsch del fenomeno, hanno reso il termine un dispregiativo. In realtà rappresentano un consistente fenomeno underground. Un’industria parallela che si alimenta a Napoli e provincia ed esporta in tutto il sud; produce star, vende migliaia di dischi, organizza centinaia di concerti. Il fenomeno sta varcando i confini regionali. ‘Nessun cantante supera nelle vendite Alessio. Il suo ultimo album, solo da noi, ha venduto 100 copie in tre giorni’, spiega Lia Caruso di Giancar, storico negozio partenopeo che da 60 anni è il punto di riferimento per gli amanti del genere. ‘Ma anche Tony Palermo, Nico Desideri, Gianni Fiorellino, Franco Ricciardi, Giusy Attanasio o Nancy sono artisti che qui oscurano le stelle nazionali’ continua la Caruso”. Fin qui l’inquadramento culturale del fenomeno, ma la premonizione, in questo caso anche politica, arriva dalle battute riportate da Sorrisi e attribuite al citato autore e cantante Franco Ricciardi. “La musica popolare napoletana – dice Ricciardi – è in continua evoluzione. Ma per aderire al cliché che piace al nord devi avere la madre assassina, il padre in galera e sbagliare i congiuntivi. Il pregiudizio delle major discografiche? C’è, nun vulisse dicere, (‘non vorrei dirlo’, ndr) ma c’è. Ma non sanno che cosa si perdono”.

     

C’è una parte fondamentalmente passatista e un po’ piagnona e un’altra che ama la concorrenza e rifiuta nei fatti l’assistenzialismo

Certo, pronunciata oggi la considerazione sui congiuntivi da sbagliare per avere successo sarebbe considerata banale, ma nel 2016 valeva come premonizione. Legata poi alla giusta collocazione da dare ai neomelodici diventa esplosiva: chi non li ha capiti o li ha snobbati allora non sapeva cosa avrebbe perso, ora invece, verrebbe da dire con una traslazione ai risultati elettorali, lo sa. Certo, c’è anche, come nelle migliori tradizioni politiche, da fare subito i conti con tante contraddizioni. La prima, lampante, è che il mondo neomelodico è la negazione nei fatti del mondo assistenziale del reddito di cittadinanza. Ferve tra cantanti e autori un attivismo imprenditoriale opposto al racconto da incubo che si sviluppa tra centri per l’impiego e assegni mensili, e vige la più spietata concorrenza (anche se si tenta di contrastarla con fenomeni di familismo) ed è il mercato e solo il mercato a decretare successi e insuccessi. Ce lo fa notare la brava giornalista napoletana Francesca Cicatelli: “Tutti i neomelodici hanno in comune una cosa: sono imprenditori di sé stessi. Sono riusciti a trasformarsi scientificamente in un brand, seguendo una precisa procedura, in un prodotto con listino prezzi e tempi da imprenditori: dalla partecipazione alle cerimonie, fino alla chatline o alle conversazioni a pagamento con i fan (i neomelodici sono in contatto con i seguaci persino in pausa caffè o mentre consumano cornetti di notte, dopo lunghe dirette al telefono o in tv specializzate), passando per il merchandising e uno staff in stile Madonna nonché partecipazioni a programmi ‘di settore’, come su Rtc Targato Napoli, Radio Blu, Radio Nuova San Giorgio, Radio Nuova Vomero, Radio Azzurra ora Radio NapoliUno, Tv Campane (nome proprio). Frequenze e trasmissioni al servizio dei neomelodici o meglio che vivono su di loro. Ma ne vale la pena, è un investimento obbligatorio per la consacrazione perché gli ascoltatori sono tutti targettizzati come direbbe Zuckerberg e quindi si va dritti al cuore e al portafoglio. E si diventa miti delle ragazzine infuocate che animano le discussioni, le richieste e i commenti nelle chat e sotto i post sui social”.

    

Un mondo vivo, come si diceva. “Una vita dai ritmi serrati e ben rodata come una catena di montaggio – ci dice ancora Cicatelli – con qualche guizzo da ritardatario giusto per atteggiarsi a star. I loro agenti sono più che altro protettori oltre che protettivi anche perché hanno interessi diretti: su un neomelodico si reggono almeno cinque nuclei familiari: un sistema gestito in scantinati di incisione o in attici di periferia”. Allora il punto che resta davvero sospeso è in questa evidente divisione del variegato mondo neomelodico. Vincerà la parte che fa leva sul congiuntivo sbagliato, fondamentalmente passatista e un po’ piagnona? Oppure prevarrà quella parte che ama la concorrenza, l’iniziativa privata e rifiuta nei fatti l’assistenzialismo?

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