La prima volta che ho visto Sid Vicious
A 40 anni dalla scomparsa del bassista dei Sex Pistols, episodi e retroscena inediti raccontati in uno spettacolo di Glezös, uno dei primi punk italiani
“Non potrò mai dimenticare la prima volta che ho visto Sid Vicious: era un giorno di fine maggio del '78 ed io, che all'epoca ero un diciassettenne partito da Milano per conoscere da vicino quella scena punk di cui in Italia si sapeva poco o nulla, stavo passeggiando dalle parti di Piccadilly Circus con alcuni amici. All'inizio, pensai fosse uno dei tanti ragazzi che girava per Londra cercando di imitarne il look. Poi, avvicinandomi, mi resi invece conto che era proprio lui. Se ne stava sotto la statua dell'Eros confabulando con due tipi che, con ogni probabilità, dovevano essere tra i tanti spacciatori di cui era infestata la zona ai tempi. Notai un rapido trafficar di mani (soldi per una dose?), dopodiché lo vidi allontanarsi di corsa con il passo furtivo di chi aveva certo qualcosa da nascondere”. Questa istantanea dal vivo di uno dei personaggi più controversi e iconici del Novecento, è stata “scattata” da Glezös, ex frontman dei T.V. Vampire e dei The Gags e tra i primissimi punk italiani, che di quel fenomeno che avrebbe cambiato per sempre la storia della musica e della cultura di massa fu testimone oculare.
Il prossimo 2 febbraio ricorrerà il quarantennale dalla scomparsa di Sid Vicious, sulla quale ancora oggi continuano a proliferare versioni contrastanti che, con ogni probabilità, non arriveranno mai a spiegare se si trattò di una tragica fatalità legata alla tossicodipendenza o di un gesto premeditato. Come pure non si saprà mai cosa realmente accadde qualche mese prima, quando la compagna dell'ex bassista dei Sex Pistols, Nancy Spungen, venne ritrovata morta accoltellata nella loro stanza del Chelsea Hotel di New York. Quel che è certo è che, da quel momento in poi, il mito del bad boy londinese non ha smesso di essere alimentato da un'infinità di articoli, libri, film o documentari.
Fiumi di parole e di immagini che, c'è da dire, si limitano a riciclare sotto nuova veste una serie di informazioni ormai ben note non soltanto su Sid Vicious, ma sul punk in generale, la cui primigenia furia iconoclasta nel corso dei decenni è stata senza dubbio addomesticata anche per mancanza di nuove testimonianze dirette da chi quel periodo lo visse davvero sul campo. Come, appunto, quella di Glezös, che dopo lustri di silenzio ha deciso di raccontare episodi e retroscena inediti in uno spettacolo, Papà cosa era il punk?, pronto ad essere messo in scena in ogni angolo della penisola. In un lungo monologo della durata di circa un’ora e mezzo, questo alfiere del punk nostrano si prepara a raccontare gli ultimi mesi di gloria del movimento a Londra, durante i quali ebbe la fortuna di venire a contatto con i suoi personaggi più celebrati, accumulando una serie di ricordi e di aneddoti che proietteranno lo spettatore nell’irripetibile scenario di quegli anni, permettendogli, per esempio, di varcare le porte del leggendario Seditionaries, la boutique di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood 430 di King’s Road dove nel 1975 (quando il negozio si chiamava ancora Sex) ebbe inizio l'avventura dei Sex Pistols e della quale fu assiduo frequentatore tra il 1978 e 1979. Tra le chicche, non mancherà ovviamente un capitolo dedicato a Sid Vicious, che promette di gettare nuova luce sulla sua figura e sulla storia della band.
“Era il 1978. Avevo trascorso il tardo pomeriggio a Seditionaries, chiacchierando con il mio amico Michael Collins, uno dei commessi del negozio insieme alla mitica Jordan”, racconta Glezös. “Dopo essere uscito, mi infilai nel Man in the Moon di King’s Road, uno dei pochissimi pub a Londra in cui i punk erano ancora serviti. Era completamente deserto a quell’ora, fatta salva la presenza di due persone che da lontano sembravano Sid Vicious e Nancy Spungen. Ancora una volta pensai fossero due ragazzi che gli somigliavano e ancora una volta dovetti ricredermi. Erano loro, in carne ed ossa, e facendomi coraggio mi avvicinai. Sid Vicious, dopo avermi notato, mi chiese cosa diavolo volessi. Improvvisando, risposi che volevo offrirgli qualcosa da bere. Accettò due whisky e mi invitò a sedere con loro. Cominciammo a parlare e nei lunghi, indimenticabili minuti che seguirono, mi rivelò che, al contrario di quello che era stato scritto e detto, i Sex Pistols non si erano affatto sciolti dopo l’allucinante performance al Winterland Ballroom di San Francisco e che c’erano un sacco di cose che la gente avrebbe dovuto sapere su di lui e sul gruppo. E me ne disse parecchie, alcune davvero sorprendenti”.
“Adesso, a distanza di quattro decenni, è arrivato il momento di raccontarle”, continua Glezös. “E ho deciso di farlo attraverso uno spettacolo nel quale parlerò anche di molti altri mostri sacri del punk e di quello che successe davvero in quegli anni. Dopo qualche tentennamento, credo sia giunta l’ora di restituire un’immagine più aderente alla realtà del punk, che, al contrario di quello che spesso è stato fatto credere, non fu soltanto eccessi e distruzione, ma una straordinaria avventura umana che dimostrò al mondo come un gruppo di persone desiderose di non allinearsi a certi diktat, possano dar vita a qualcosa di completamente nuovo e culturalmente rilevante facendo leva sulla propria attitudine. Ecco, il mio monologo vuole celebrare proprio questa attitudine e, con lei, tutta la gioia di essere ancora qui per raccontarla”.
Già, perché essere un punk nella seconda metà degli anni Settanta, a Londra come a Milano, non si limitava all'indossare un certo tipo di vestiti, o allo scegliere un taglio di capelli inusuale. Era invece una precisa dichiarazione d'intenti e di identità che, molto spesso, poteva mettere in pericolo chi la faceva. A Glezös, per esempio, toccò più di una volta di dovere spiegare a esponenti di Autonomia Operaia che il suo look e i badge dei Sex Pistols non erano una provocazione di matrice fascista. O anche, in un concerto alla Palazzina Liberty dei suoi T.V. Vampire nel dicembre del 1978, di salvare un componente di uno dei gruppi spalla dal linciaggio da parte di alcuni appartenenti di Violenza Proletaria per aver indossato una spilla con la croce dell'esercito tedesco.
“Sì, erano anni difficili, nessun dubbio”, ricorda Glezös. “Il clima di forte tensione politica alimentato dalle formazioni di estrema sinistra e di estrema destra non facilitavano certo le cose per chi, come noi, non si identificava in nessuno dei due schieramenti ma aveva comunque idee precise. Essere un punk poteva crearti davvero dei problemi e trasformare anche un semplice concerto in una situazione di pericolo. Mi viene per esempio in mente un concerto al quale assistetti nel luglio del 1978 al Music Machine di Londra (del quale, naturalmente, parlo nello spettacolo). Erano in scaletta i Clash, che presentarono alcuni estratti del loro attesissimo secondo album, Give 'em enough rope, e soprattutto gli americani Suicide. Durante il set di questi ultimi, vuoi per la carica provocatoria del loro leader Alan Vega, vuoi per il rinomato astio nutrito dai punk inglesi nei confronti di tutto ciò che proveniva dagli Stati Uniti, sotto al palco si scatenò un'autentica battaglia, con le prime file pronte a prendere d'assalto lo stage e gli addetti alla sicurezza del locale e i roadies della band a cercare di contenerle a suon di botte, mentre il cantante americano, per aumentare il clima esplosivo che già si respirava in sala, decise di squarciarsi una guancia continuando la sua incredibile performance completamente insanguinato. C'erano, però, anche momenti in cui ti capitava di assistere a epifanie di creatività mai immaginate, come accadde a me, sempre nel 1978, con un live dei Siouxsie and the Banshees alla Roundhouse di Londra. Non avevano ancora pubblicato neanche un singolo, ma il loro live era già qualcosa che andava assolutamente al di là del classico concerto rock, con tutta una serie di suggestioni visive e richiami culturali alla Mittleuropa che non si erano mai visti. Un'esperienza davvero unica, di quelle che ti cambiano la vita e che rimangono dentro per sempre anche quando, per sostentarti, intraprendi altre strade”.
E sono state molte in questi ultimi sei lustri abbondanti quelle che Glezös ha battuto: oltre alle già citate esperienze a capo dei T.V. Vampire e dei The Gags (che da fine anni Novanta, a seguito della nuova esplosione del punk, li ha visti trasformarsi in una cult band internazionale), ha lavorato infatti per un lungo periodo con Francesco Baccini, Zucchero, Enzo Jannacci e altri, dedicandosi anche a numerose collaborazioni in ambito giornalistico e redazionale, tra le quali non può non essere ricordata quella recente con Vasco Rossi, sul quale ha scritto Alla ricerca del Vasco perduto e per il quale ha curato i testi di Vasco Non Stop Live 2018, il libro ufficiale del suo recente tour estivo.
Senza però mai dimenticare, e ci tiene a precisarlo, da dove sia partito e ciò a cui appartiene tuttora. “Al di là di tutto quello che ho fatto o che farò, io sono e rimarrò sempre un punk, perché per chi come me ha avuto la fortuna di viverlo nel suo massimo periodo di splendore, ha rappresentato non solo una insostituibile palestra di vita, ma soprattutto la possibilità di incidere sulle cose. Spero che chi verrà a sentirmi raccontare quello che ho vissuto di persona, possa riconoscere che quello che non ci piace può essere cambiato. Con determinazione e attitudine, a prescindere dall'età e dal ruolo che si occupa nella società. Il più grande insegnamento che il punk ci ha lasciato è proprio questo”.