Pappano trionfa a Mosca con Santa Cecilia, ma a Roma c'è temporale
Uno sciopero-pasticcio potrebbe bloccare il debutto di Kirill Petrenko
Mosca. Sono tremila i chilometri che separano Roma da Mosca. Una distanza colmata dalla musica. Quella che l’Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia ha portato nella capitale russa. L’ultima volta nel 2012 con la pianista Yuja Wang e Sir Pappano alla direzione. La sala, allora, era quella delle Colonne inserita nella Casa dei sindacati, storico edificio che nel 1917 ospitava il sindacato sovietico. Per questo tour l’Orchestra si è esibita in due concerti nella Sala grande del Conservatorio. “Un luogo così – dice Pappano – ha visto esibirsi le più importanti orchestre del mondo e artisti che hanno fatto la storia della musica. Qui ha anche studiato Ciaikovski. Per noi è un grande onore ma anche la conferma che la mia orchestra può suonare qualsiasi repertorio in qualunque luogo”. La Sala grande del Conservatorio “custodisce” episodi di vita musicale come quello del giovane pianista americano Van Cliburn che qui vinse, nel 1958, il primo premio al Concorso Ciaikovski. Tra America e Russia la situazione non era delle più agevoli e si dovette chiedere a Nikita Krusciov se assegnare o meno il primo premio.
Legato a questo luogo è anche il Festival Rostropovich storica manifestazione che ogni anno vede arrivare i migliori gruppi e strumentisti del pianeta. “Il pubblico che frequenta il Festival – dice Michele dall’Ongaro, presidente dell’Accademia – è molto esigente e preparato. Affermarsi qui significa superare un esame con dieci e lode”. Effettivamente l’esame è stato superato a pieni voti con la compagine ceciliana osannata in entrambe le serate. Nella prima l’impaginato presentava un omaggio a Beethoven con l’Ouverture dell’Egmont, il terzo concerto per pianoforte (con il talentoso italo-svizzero Francesco Piemontesi) e la quinta sinfonia (oltre a un bis mozartiano richiesto all’orchestra). Nella seconda serata invece la Nona sinfonia di Mahler, struggente lavoro che chiude praticamente la stagione sinfonica del compositore austriaco (della decima riuscirà a scrivere solo l’Andante – Adagio prima che sopraggiunga la morte) ed è un sublime addio alla vita. “Per fare questa musica – continua Pappano – deve esserci una reciproca fiducia tra direttore e orchestra. Senza è impossibile”. Fiducia che si è potuta apprezzare in sala.
Tanti applausi, molta commozione tra pubblico e orchestrali, in un momento delicatissimo per tutta l’Accademia di Santa Cecilia. I giorni a Mosca non sono trascorsi senza tensioni per le vicende legate al presunto sciopero dal coro ceciliano per la produzione del 4 aprile con Kirill Petrenko, neo direttore dei Berliner. Facciamo ordine. Il 7 febbraio un comunicato firmato da diverse sigle sindacali lamentava “una delibera scellerata che si colloca in un progetto più complessivo che vedrà il ridimensionamento del “ruolo” di eccellenza dell’Accademia stessa”. Poche ore dopo la risposta, sorpresa, dell’Accademia che faceva notare come nessun ridimensionamento era preventivato se non una minima riduzione dell’organico corale di tre unità rispetto a una compagine corale già in sovrannumero confrontata con altri teatri. Una corsa contro il tempo perché la “prima” della Nona Sinfonia Beethoveniana è alle porte e, nel più mite freddo russo, il tema è stato d’attualità. Dall’Ongaro, attento e rispettoso delle diverse posizioni si dice “convinto che possa trovarsi una soluzione”. Concorda Pappano: “Per forza di cose la situazione va risolta. In queste settimane tutti ci siamo adoperati per trovare una soluzione. Sarebbe stato negativo il contrario, rimanere arroccati sulle proprie posizioni”.
Non è un momento facile dalle parti di viale de Coubertin. A dicembre le dimissioni del Maestro del coro Ciro Visco (annunciate a dicembre 2018); a fine stagione lascerà il primo violino Roberto González-Monjas, desideroso di cimentarsi con la carriera direttoriale. “Nella vita di una istituzione musicale – continua Pappano – queste cose possono succedere. Fanno parte del naturale sviluppo di qualcosa di vivo. Ci saranno nuovi concorsi. E’ un’occasione anche per chiederci cosa cerchiamo da un nuovo strumentista, a cosa puntiamo”. Per quanto riguarda lo sciopero la situazione è articolata. Il coro sembra diviso sul da farsi; l’orchestra, dopo un primo formale appoggio, è orientata a onorare un impegno così prestigioso. Le ore sono febbrili perché tutti sanno la posta in gioca. Una lunga riunione del coro di ieri pomeriggio non ha prodotto alcun risultato. Dopo ore di discussione il coro ha convocato un’ulteriore riunione per oggi. Situazione questa molto difficoltosa perché Petrenko è atteso a Santa Cecilia proprio oggi per iniziare le prove. Staremo a vedere come finirà questo tira e molla.
Far saltare la produzione con il più importante direttore d’orchestra significa compromettere un rapporto che dovrebbe invece rinsaldarsi. La risonanza internazionale di uno sciopero di fronte a Petrenko non è quantificabile. Per non parlare del danno economico e di immagine. Tutti ne uscirebbero sconfitti e tutti dovranno assumersi le responsabilità delle proprie azioni. Azzardando un pronostico vien da dire (e da sperare) che si possa trovare una soluzione. E’ nell’interesse di tutti realizzare questa produzione. Poi ci sarà il tempo per guardare e affrontare le presunte difficoltà. Tenendo presente, tutti, quanto diceva la scrittrice tedesca naturalizzata americana, Hanna Arendt: “Una crisi ci costringe a tornare alle domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, […] una crisi si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi”. Da questo monito e dalla bellezza della musica in cui noi italiani (e quindi Santa Cecilia) eccelliamo, bisogna ripartire per trovare (coristi, orchestrali e quanti coinvolti) la risposta alla domanda: “Perché vale la pena continuare a fare musica?”. Attendiamo fiduciosi gli eventi.