Vittorio Montalti (foto via Facebook)

Trasformare in musica il libro del cuore. La sfida del Maggio musicale fiorentino

Mario Leone

Parla il giovane compositore Vittorio Montalti

Una nuova partitura nasce sempre da un’urgenza comunicativa, affettiva o semplicemente estetica. Nel caso de “Le leggi fondamentali della stupidità umana” quest’impellenza è di Cristiano Chiarot, sovrintendente del Maggio musicale fiorentino: vedere trasposto in musica il suo libro preferito, quello appunto di Carlo Cipolla. Un saggio, in verità, da trasformare in libretto per poi musicare ogni sua parte. Operazione coraggiosa e non semplice che Chiarot ha affidato a Vittorio Montalti, giovane compositore romano, accompagnato dal librettista Giuliano Compagno, con la regia di Giancarlo Cauteruccio e la direzione di Fabio Maestri. “Negli ultimi anni – dice al Foglio il compositore – il mio interesse si è spostato sul teatro musicale (questa è la terza opera che scrivo e in cantiere ce ne è già un’altra) e sulla musica elettronica che inserisco nei lavori d’opera, strumentali, ma anche provando a suonarla io stesso dal vivo”.

 

Montalti si è formato a Milano emigrando poi all’Ircam di Parigi dove ha ampliato gli orizzonti sul mondo dell’elettronica. I primi lavori a diciassette anni per poi emergere nel mondo della musica contemporanea. “Finché ci sarà l’uomo – dice – si potrà scrivere musica”. Certo, non sono affatto semplici le problematiche che accompagnano la diffusione dei nuovi repertori e la comprensione da parte del pubblico.

  

“E’ molto importante cercare un linguaggio che raggiunga chi ascolta. Dire pubblico, però, è molto generico. Chi è il pubblico, che formazione ha, quali sono gli interessi. Non si può scrivere pensando di accontentare tutti. La musica deve essere capita da chi ascolta senza obliterare le necessità del compositore”. Quelle di Montalti sono sicuramente la possibilità di creare della musica dove ripetizione, sintesi e brevi evoluzioni si fondono in maniera equilibrata. “La mia partitura è un grande meccanismo che non guarda al minimalismo (spesso associato ad alcuni compositori e a linguaggi armonici) ma al piccolo, al particolare. Non solo. Alla ripetizione si associa una grande presenza ritmica che vede impegnate quattro voci (il soprano Ljuba Bergamelli; il mezzosoprano Victoria Massey; il tenore Manuel Amati e il basso Oliver Pürckhauer) e un ensemble di tredici strumenti con un toy piano, una tastiera midi e, naturalmente, l’elettronica. Questa particolare formazione è al servizio della musica, vera e propria ispiratrice del libretto. Non si sta facendo drammaturgia ma teatro musicale astratto “dove la drammaturgia viene dalla musica più che da un libretto. Il centro dell’attenzione è astratto pur in presenza di storie concrete. In questo senso musicare un saggio non è stato un problema (come tutti credono) ma un aiuto in questa direzione”.

 

Con queste premesse sorge un lavoro composto da cinque quadri che richiamano le cinque “leggi” del saggio. Ogni quadro è diviso in cinque scene (le diverse combinazioni delle voci con gli strumenti). Alla fine di ogni quadro c’è un file elettronico che espone la legge e una riflessione sulla stessa da parte dell’autore del libretto. Una struttura complessa dove si muovono quattro personaggi che incarnano quattro profili: l’intelligente, il bandito, lo stupido e lo sprovveduto. Una sorta di bussola dove collocare ogni uomo. Un lavoro attuale perché Cipolla individua nella stupidità la causa della non crescita umana, soprattutto quando questa stupidità è al potere: “Si nota – scrive lo scrittore – specialmente tra gli individui al potere, un’allarmante proliferazione di banditi con un’alta percentuale di stupidità e, fra quelli non al potere, una ugualmente allarmante crescita del numero degli sprovveduti. Tale cambiamento nella composizione della popolazione dei non stupidi rafforza inevitabilmente il potere distruttivo della frazione degli stupidi e porta il paese alla rovina”. Sarà molto interessante constatare tutte le scelte musicali del compositore ispirate da queste parole che, pur scritte nel 1988, sono di stringente attualità.