L'estate nervosa di Jovanotti, che sognava arcobaleni e ha inciampato nei censori
Chiude il Jova Beach Party, chiude l’estate di un sogno extralarge
È stato il senso di Jovanotti per l’estate. Quel prurito a rinnovarsi, alzare l’asticella, fuggire i rifacimenti come Satana. La tentazione di creare l’evento memorabile, d’entrare a far parte della parte buona della memoria delle persone, coinvolgendole in qualcosa di indimenticabile (“più di uno stadio, più di un palasport, più di un festival e di sicuro più di un concerto”). Il parto finale è stato “Jova Beach Party”, animale strano, malato di gigantismo e innervato di passioni già allorché, goffamente, cercava posto nel catalogo commerciale dello show business nostrano, in una categoria desueta, quella dei “raduni oceanici”, happening di massa, che qui mica siamo nei deserti della California. Però, dopo un’eccitata incubazione strombazzata sui social, Lorenzo alla fine il tour-serraglio sulle spiagge italiane l’ha escogitato, l’ha presentato con emozione e, più o meno quasi subito, sono cominciati i problemi, i distinguo, le arrabbiature.
Poi va detto che, una volta che lo show è andato in scena, sono arrivate alcune agnizioni, perché quello che si proponeva era davvero diverso, piuttosto unico e soprattutto, come nelle intenzioni del protagonista, visionario. Così, lungo l’estate del 2019 s’è scoperto che c’è una buona dose di Don Chisciotte in Jovanotti, prerogativa che in questa occasione è andata a temperatura di fusione con quella sua reputazione di brav’uomo, un po’ narcisista e autoreferenziale. I presupposti c’erano tutti per convincersi che nel montare il “tour dei tour”, Lorenzo fosse finito dentro la sindrome di Fitzcarraldo, colui che voleva far superare alle navi le montagne della giungla. Perché, mentre il tour destava disorientamento in un pubblico assuefatto alle regole del consumo della live music (e non dovrebbe essere così. Perciò ad averne di disorientamenti del genere…) col suo campionario d’attrazioni multistrato, stimolazioni tridimensionali, esperienze sensoriali “nuove ma antiche”, come le fiere ambulanti, parallelamente si rafforzava l’insurrezione del perbenismo, nella fattispecie quello ambientalista.
Già prima che avesse commesso il delitto, si era dichiarato Jovanotti colpevole d’un menefreghistico impatto sui fragili luoghi prescelti per il JBP, l’ecosistema dei quali, dopo il passaggio suo e dei suoi barbari, non sarebbe stato più lo stesso. Ne avrebbero fatto amaramente le spese il fratino e i fenicotteri, le primule e il silenzio della montagna, Reinhold Messner, gli ornitologi e un certo quoziente d’associazionismo dell’ambiente, al di là del Wwf, chiamato da Lorenzo come consulente nell’operazione. E’ stato un batti e ribatti nervoso, antipatizzante, logorante per l’artista, deprimente per le sue intenzioni, un supplizio del progetto iniziale (il plastic free, le spiagge pulite, il teorema del godere senza distruggere). Il coro di questo melodramma pop sotto i raggi del solleone non faceva che ripetere: attenti a Jovanotti, pifferaio magico che promette gioia e semina disastri.
D’altronde, il bersaglio era grosso e a sparagli contro si otteneva risonanza. E comunque l’epilogo della vicenda è magnifico: la tournée di Jova on the Beach è infatti arrivata agli sgoccioli, un successone nei numeri e per come ha sparigliato le carte sulla tavola del nostro intrattenimento musicale. Lorenzo, qualche giorno fa, s’è tolto i sassi dalle scarpe rovesciando su FB un post di avvelenata esasperazione contro chi ha delegittimato il suo progetto, tacciandolo di dilettantismo e d’inconsapevolezza. Intanto si montava la struttura per l’ultimo concerto, quello di stasera, che non si tiene su una spiaggia a rischio di distruzione di massa (è quello che doveva essere ad Albenga il 27 luglio), ma atterra nel più granitico dei non-luoghi: un aeroporto fuori uso, Linate, destinato a essere rifatto e perciò ridotto alla sua nuda piattezza. Jovanotti ci porta 100 mila persone, uno sterminato cartellone di arte varia, centinaia di addetti alle pulizie e bel po’ di pensieri su cui riflettere d’inverno, davanti al caminetto. Saranno 8 ore di musica e l’ultimo trionfo per l’uomo che volle vestirsi come il pirata dei Caraibi. Finché verrà abbassato l’interruttore del tour, simbolicamente coincidendo con lo scoccare della fine dell’estate 2019. Che nella mente di Lorenzo doveva essere un viaggio sulle ali dell’arcobaleno, ma che strusciandosi col fare le cose in Italia, è diventato la narrazione di una estate nervosa, con estasi e scontento a intermittenza. Come capita, un po’ inevitabilmente, quando s’ha a che fare coi sogni dei ragazzini, e subito dopo coi puntigliosi distinguo degli adulti.
Universalismo individualistico