I destini opposti di Bruce Springsteen e Daniel Johnston uniti da uno stesso amore

Filippo Cauz

Le carriere diverse del Boss, che oggi compie 70 anni, e del cantautore (morto il 10 settembre) ma unite da un approccio senza compromessi alla musica: la totale e irreprensibile genuinità

Il 23 settembre Bruce Springsteen compie 70 anni. Ma non sono previste celebrazioni ufficiali, non vi è necessità di sottolineare la persistenza di una vicenda umana ed artistica viva eppure già storicizzata. Ci penseranno i fan, in un fiorire di iniziative già cominciate. Saranno i social network il luogo della festa, con una strana staffetta di hashtag che vedrà il giubilo per il Boss sostituirsi al cordoglio per un'altra icona del songwriting rock, meno conosciuta ma amata con la stessa intensità. Springsteen compie 70 anni un paio di settimane dopo la scomparsa di Daniel Johnston, due figure dai destini diametralmente opposti, eppure unite da un approccio senza compromessi alla musica: la totale e irreprensibile genuinità.

 

L'amore che ha coinvolto queste due figure così distanti della canzone americana è un sentimento quasi familiare: gli ascoltatori si sentono in comunicazione diretta con chi canta, come in un dialogo intimo. Tutti ricordano il primo incontro con Daniel Johnston come nessuno dimentica il primo impatto con Springsteen, che sia avvenuto nel garage di una casa di campagna o in uno stadio gremito di folla. Ma mentre Springsteen viene celebrato da decenni tramite libri, film, spettacoli e omaggi di ogni genere, Daniel Johnston è rimasto troppo spesso nell'ombra, con gli sporadici sprazzi di riflettori puntati alternati al buio di una vita trascorsa dentro e fuori gli ospedali psichiatrici. C'è da scommettere che la sua riscoperta si farà sempre più vasta nei mesi e negli anni a venire, per un cantautore che ha avuto tra i suoi estimatori tutti i nomi più importanti del rock indipendente americano degli ultimi 30 anni. Non vi è nulla di più funzionale sul mercato di una morte prematura e di una vita sofferta, specie se associata ad un artista dotato di un'innata capacità di scrivere canzoni semplici, dirette, immediatamente canticchiabili. I tanti “orfani” di Daniel Johnston lo hanno ricordato in questi giorni con i versi brandelli dei suoi testi, con le immagini del suo sguardo perso, tra i capelli scompigliati e la pancia che sborda dalla t-shirt, o condividendo le sue vignette più visionarie. Ma soprattutto lo hanno ricordato riascoltando i suoi dischi e cantandoli, affidandosi alle parole di uno scrittore che, in una vita contrassegnata dal dolore, ha sempre cantato la propria sconfinata fiducia nell'amore.

 

 

Daniel Johnston, proprio come Bruce Springsteen, ha sempre avuto un'irrefrenabile fama di successo. Quando era ancora un giovane cantante do-it-yourself nei dinamici anni Ottanta di Austin confessò a qualche amico di aver ricevuto un segnale da Dio: diceva che non gli avrebbe aperto il Paradiso a meno che non fosse diventato famoso. A quei tempi Daniel puliva i tavoli in un fast-food, registrava le sue cassette con attrezzature di fortuna e strimpellava male una chitarra, quando non riusciva a mettere le mani su una tastiera. Eppure aveva già l'istinto di distribuire le sue cassette a chiunque, di lanciarsi davanti a ogni telecamera, di presentarsi e annunciare il suo successo futuro. Dentro di sé però aveva già le visioni di una costante lotta tra Dio e Satana, di una società che lo spaventava e di un amore reale ma irraggiungibile. C'erano tutti gli ingredienti per entrare nella schiera degli esclusi (di cui faceva effettivamente parte) e cantarne la disperazione, se non fosse che il suo spirito spingeva in una direzione opposta. Come l'amichevole fantasmino Casper, personaggio più amato dei fumetti e protagonista di alcuni suoi brani, il cantante ha sempre rinunciato ai richiami della rivalsa per replicare ad ogni ferita con uno slancio di positività. La sofferenza di Daniel Johnston quando entra in musica si trasforma in leggerezza, come se volesse farsi forte di ciò che meno ha ricevuto nella vita, o che forse non ha mai saputo cercare correttamente. Dai ritornelli stralunati come “Now” o “Don't let the sun go down on your grievance” sino al suo brano più iconico “True love will find you in the end” la musica di Daniel Johnston è un costante invito a uscire dall'ombra e andare incontro all'amore, ad accogliere un risveglio meno doloroso delle ferite della notte.

 

 

Oltre che musicista, Daniel Johnston è stato sino al suo ultimo giorno un disegnatore. Le sue vignette sono scarne visioni di esseri fantastici, correlate da scritte quasi didascaliche. In un suo disegno giovanile sono rappresentate la felicità e la tristezza: due creature dalla testa aperta che si tengono per mano. La vita secondo Daniel Johnston è rappresentata in egual misura da questi due sentimenti; negarne uno sarebbe come venire meno a quel patto di assoluta sincerità verso chi ascolta. E di conseguenza rinunciare alla propria unicità, a quella scintilla che fa scoppiare un legame d'amore. Un patto che può essere suggellato lontano dalle luci della ribalta, come nel caso di Johnston, o su un palcoscenico mondiale come per Springsteen. Cambiano le dimensioni ma la scintilla è la medesima, e come canta il 70enne Boss in uno dei suoi pezzi più carichi di ottimismo: non si può accendere un fuoco senza una scintilla.

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