Lucio Battisti, morto a Milano il 9 settembre del 1998, è tornato in classifica dopo che Spotify ha reso disponibili i suoi album con Mogol (Foto LaPresse)

Il pop non è morto

Salvo Toscano

È solo in ritardo. Da Battisti ai Beatles, le piattaforme streaming fanno tornare in classifica vecchie hit che piacciono pure ai ragazzini

Orde di ragazzine impazzite per “I want to hold your hand”. Teenager in delirio per “Back in the Ussr”. Ventenni stregati da “Yesterday” e “In my life”. Nel film “Yesterday” di Danny Boyle, quella vecchia volpe dello sceneggiatore inglese Richard Curtis, già coautore di Mr. Bean e firma dei titoli della golden age della commedia inglese con Hugh Grant (“Quattro matrimoni e un funerale” e compagnia), propone questo genere di scenari, partendo dall’idea originale del soggetto di Jack Barth di un mondo che ha dimenticato i Beatles. Il protagonista, lo sfigato aspirante musicista Jack Malik, è l’unico a ricordare le canzoni dei Favolosi Quattro e le spaccia per sue diventando in breve tempo il più acclamato songwriter del mondo. L’idea, che ricorda un po’ la “Yesterday (bon bon bon)...” accennata da Massimo Troisi sedicente musicista ad Amanda Sandrelli in “Non ci resta che piangere”, parte da un corollario tutto da dimostrare: ossia, ma i giovani di oggi impazzirebbero come quelli di ieri e dell’altroieri per le canzoni dei Beatles? “Mentre stavamo girando il film, pensavo: ‘Sarebbero delle hit anche oggi’”, ha commentato lo sceneggiatore Curtis. Ma è proprio così? La risposta non è affatto scontata e abbraccia il complicato tema dei gusti giovanili anche alla luce del drastico cambiamento delle abitudini di consumo musicale nell’era digitale. Quanto i classici della musica rock e pop fanno presa sui consumatori, soprattutto giovani, della musica sulle piattaforme come Spotify? Addentrandosi in questo sentiero, le sorprese non mancano.

Il drastico cambiamento delle abitudini di consumo musicale nell’èra digitale sta cambiando i gusti dei più giovani

 

Il dato più eclatante da cui partire è quello arrivato a ottobre dal Regno Unito, dove la versione di “Abbey Road”, lo straordinario disco dei Beatles del 1969 pubblicato remastered per il cinquantesimo anniversario dell’album, è volato al primo posto delle classifiche. La manager Orla Lee Fischer, vicepresidente senior del marketing di Universal Music, ha sostenuto al riguardo che il recente ritorno al primo posto in Gran Bretagna dei Beatles ha portato nuove generazioni di fan. Un’affermazione supportata dai dati resi noti da Spotify. La piattaforma digitale svedese ha reso pubblica una fotografia accurata di chi ascolta i Beatles sul suo catalogo: solo nell’anno solare in corso, la musica dei ragazzi di Liverpool è stata riprodotta circa 1,7 miliardi di volte su Spotify. E la piattaforma di streaming ha specificato che la fascia demografica più interessata all’ascolto del quartetto è quella che va dai 18 ai 24 anni, rappresentando così più del 30 per cento di tutti i flussi di streaming a livello mondiale. Insomma, i Fabs hanno fatto breccia nei più giovani e non è un caso infatti che i Beatles occupino la 93esima posizione tra gli artisti più popolari su Spotify, grazie ai loro 20,7 milioni di ascoltatori mensili. Anche Deezer, un altro servizio musicale in streaming, ha reso pubblici alcuni dati demografici riguardanti l’ascolto dei Beatles. E si scopre che: il 27 per cento degli ascoltatori ha età inferiore a 25 anni, il 68 per cento dei flussi proviene dagli under 45, cioè tutta gente nata dopo lo scioglimento della band. La canzone preferita nella fascia d’età 18-24 è “Yesterday”, mentre tra i 25-29 è la più rockettara “Come together”, riportava Forbes.

A settembre l’approdo sulle piattaforme digitali di un influencer della musica come Lucio Battisti è stato un evento

 

 

L’esplosione del fenomeno “Abbey Road” in occasione dei cinquant’anni del disco dalla leggendaria copertina sulle strisce pedonali ha consolidato questo fenomeno. Con i ragazzini stregati dal riff senza tempo di “Come together” o dal sound solare di “Here comes the sun”: è sorprendente, ma proprio il pezzo di George Harrison del 1969 è in assoluto la canzone più popolare del quartetto su Spotify, molto più di “Yesterday” o “Hey Jude”. Come mai? Forse anche perché la canzone è stata riproposta quest’anno come singolo con tanto di video, nell’ambito di una brillante operazione di marketing che ha mostrato un forte engagement di nuovi consumatori. “I social media sono letteralmente impazziti”, ha scritto nel suo blog su Huffington Post Enzo Mazza, ceo di Fimi (Federazione dell’industria musicale italiana), “e con i giovanissimi ha sicuramente contribuito anche il fatto che una star della generazione Z come Billie Eilish abbia raccontato cosa i Beatles hanno significato per lei”. E in effetti, la campagna marketing confezionata attorno al mezzo secolo di “Abbey Road” si è mossa su due direttrici: da una parte cofanetti e materiale deluxe per collezionisti e fan devoti dei Fab Four, dall’altra il segmento dello streaming con il coinvolgimento dei giovanissimi, inclusi quelli del tutto “asciutti” sul tema.

 

Bella forza riuscirci con i Beatles, si potrà obiettare. Ma il tema è in realtà molto più ampio. Anche in Italia nelle settimane scorse se n’è parlato parecchio, nello specifico per l’attesa irruzione del catalogo di Lucio Battisti (solo i dischi scritti con Mogol, mancano ancora i cinque “bianchi” con Pasquale Panella ed “E già”, realizzato con la moglie). L’approdo del grande innovatore e influencer della musica italiana sulle piattaforme digitali (dopo una battaglia legale durata anni) è stato un evento mediatico notevole. Il Battisti day è arrivato il 29 settembre, data tutt’altro che casuale, e ha fatto il botto. Un paio di giorni dopo, le prime dieci posizioni della classifica degli album più scaricati da iTunes erano monopolizzate da Lucio Battisti. E anche le singole canzoni volavano sulla piattaforma di Apple, con “La canzone del sole” che si piazzava seconda dietro a “Non avere paura” di Tommaso Paradiso. Anche gli utenti di Spotify si sono riversati in massa sul repertorio del più fortunato binomio autoriale italiano. In meno di un mese, “Il mio canto libero” ha sfondato il milione di ascolti. “Dopo più di vent’anni dalla sua scomparsa, Battisti è tornato a vivere attraverso le sue canzoni e noi di Spotify siamo orgogliosi di rendergli onore, facendolo conoscere alle nuove generazioni e riportando indietro nel tempo chi invece non l’ha mai dimenticato”, si leggeva in una nota di Spotify Italia. Qualcuno ha discettato sull’effetto che avrebbe fatto allo stesso schivo Battisti il battage per l’approdo in digitale. Ma d’altro canto, osserva non senza arguzia sul blog Sentireascoltare di Stefano Solventi, “sostenere che a Battisti non sarebbe piaciuto far parte dei cataloghi dei music provider equivale a sostenere che a Battisti non piaceva vendere i suoi dischi”.

Per Spotify la fascia demografica più interessata all’ascolto dei Beatles oggi è quella che va dai 18 ai 24 anni

 

 

Il “catalogo” comincia a esprimere le sue potenzialità in un sistema d’ascolto in cui tutto o quasi è a portata di mano e di clic. E dove il peso dei consumatori non più giovanissimi che si convertono alle piattaforme cresce di anno in anno. Se nel 2004, negli Stati Uniti il catalogo rappresentava il 35,8 per cento del venduto, con le novità e titoli con meno di 18 mesi che pesavano per il 64,2 per cento, nel 2019 il catalogo era salito al 64,3 per cento, con le novità a costituire il 35,7 per cento del venduto. Certo, per i classici la concorrenza delle hit del momento è impari. Ma questo è fisiologico. E d’altronde, aprendo Spotify, si leggono numeri eloquenti. “Fefe”, la canzone più popolare del rapper 6ix9ine ha 505 milioni di ascolti, “Imagine” di John Lennon poco meno di 210 milioni. “(I can’t get no) Satisfaction” dei Rolling Stones (secondo brano più polare di Jagger e compagni su Spotify dopo “Paint it black”) viaggia a 253 milioni di ascolti, “7 rings” di Ariana Grande è a 907 milioni. Interessante leggere la cinquina dei brani più popolari di Paul McCartney: dal secondo al quinto ci sono successi suoi, con numeri “modesti” rispetto ai sopra citati (modesti si fa per dire, si parla anche di 40 o 70 milioni di ascolti), ma prima, staccatissima, a 600 milioni e passa c’è “Four Five seconds”, cantata da Rihanna con il baronetto mancino alla chitarra (e tra gli autori del brano). La musica non cambia, è il caso di dirlo, con gli italiani. “Caruso” di Lucio Dalla sta a 14 milioni, “90min” del rapper Salmo a 62 milioni (cioè 60 volte gli ascolti de “Il mio canto libero”), tanto per dire. Chissà poi che le citazioni pop dei rapper amatissimi dagli adolescenti non incuriosiscano questi ultimi a saperne di più della musica dei decenni trascorsi. Nel loro recente “Che ore sono”, ad esempio, Gemitaiz, Madman e Venerus riservano una doppia citazione a Mogol-Battisti (“Prendila così” e “Non possiamo farne un dramma”): quanti dei loro giovanissimi fan l’avranno colta?


“Bohemian Rhapsody”, il fortunatissimo biopic di Bryan Singer su Freddie Mercury, ha fatto volare i brani dei Queen 


Qualche tempo fa il New York Times scriveva ironicamente che “il rock non è morto. E’ diventato vecchio”, commentando il successo di pubblico di un festival californiano che vedeva sul palco tra gli altri gli Stones con Bob Dylan, Neil Young, Paul McCartney, gli Who e Roger Waters, insomma, il gotha degli anni Sessanta. Ma gli esplosivi vecchietti hanno ancora molto da dire, pure alle giovani generazioni. E la riscoperta dei classici del rock e del pop, attraverso le grandi opportunità offerte dallo streaming, è un fatto. Soprattutto se arriva la giusta spinta di marketing. Basti pensare al fenomeno “Bohemian Rhapsody”, il fortunatissimo biopic di Bryan Singer su Freddie Mercury che ha trionfato agli Oscar e ha fatto volare i brani dei Queen sulle piattaforme: la canzone che dà il titolo al film ha sfondato il tetto del miliardo di ascolti su Spotify, “Don’t stop me now”, “Another one bites the dust” e “Under pressure” stanno sopra il mezzo miliardo, numeri ancora più alti degli stessi Beatles.

 

“Lo streaming di brani non più recenti offre potenzialità per rilanciare artisti e generi che per le ultimissime generazioni è come se non fossero mai esistiti, costruendo opportunità completamente nuove e promozionali mirate”, scrive il già citato Mazza. E non serve più mettere da parte i soldi della paghetta per acquistare a uno a uno l’agognato album, come ai tempi di chi scrive, ma basta un clic. C’è un tesoro da scoprire sulle piattaforme, che aspetta solo i giovanissimi. E qualcuno abbastanza bravo da stimolarli ad andarlo a cercare.