Mozart in un ritratto anonimo, incerta attribuzione a Pietro Antonio Lorenzoni (1763) (immagine tratta da Wikipedia)

Grand tour di genio

Stefano Picciano

In questi giorni, 250 anni fa, il tredicenne Mozart arrivava in Italia. Un viaggio da una città all’altra, decisivo per la storia della musica

Aprile 1770. Una carrozza attraversa la Porta del Popolo sotto una pioggia battente, entra in città e si ferma alla stazione di posta di piazza di Spagna. E’ mezzogiorno del mercoledì santo, e i viaggiatori, raggiunta Roma dopo cinque giorni di strada attraverso gli Appennini, mentre il temporale rende più difficili gli spostamenti, si mettono alla ricerca di un alloggio. Il più grande compositore di tutti i tempi è un ragazzino di tredici anni che, accompagnato dal padre, ha intrapreso un lungo percorso attraverso l’Italia; un itinerario di quindici mesi nella terra ammirata da tutta Europa per i suoi tesori artistici e la sua tradizione musicale.

 

Era chiaro, a Leopold Mozart, che le eccezionali doti del figlio avrebbero trovato, in un viaggio attraverso quella ricca realtà musicale, la più adeguata strada per il loro pieno sviluppo. Nasce così – in un modo non dissimile da innumerevoli, coevi esempi di grand tour – l’idea che coniuga e vede intrecciarsi diverse finalità: da un lato, l’apporto alla formazione del figlio, che avrebbe goduto di una vasta panoramica di generi e forme musicali; dall’altro, e forse ancor più, il tentativo di far conoscere e promuovere, nella patria della musica, il suo innato talento, al quale lo stesso Leopold stentava ad abituarsi e, insieme, la ferma speranza di ottenere un incarico per lui presso qualche corte della penisola.

 


A Milano tale è lo stupore per l’esecuzione di alcune arie appena composte, che subito gli viene affidata la commissione di un’opera. Durante una sosta in una locanda di Lodi, “per ingannare la noia della serata” Wolfgang scrive il suo primo quartetto per archi


 

Gli innumerevoli biografi di Mozart concordano nel rilevare l’importanza del soggiorno italiano: Friedrich von Schlichtegroll, il primo a scriverne (1793), diede ampio spazio al racconto dell’“accoglienza che gli riservò l’Italia, che è terra d’elezione della musica, dove l’arte è annoverata tra i meriti eminenti”, mentre Franz Niemetschek (1798) sottolineò, con discreta dose di retorica, quanto “solo l’approvazione e l’ammirazione dell’Italia, che in quel tempo era ancora degna del suo titolo di patria della musica, avrebbero potuto apporre un sigillo definitivo alla sua gloria”. Anche Georg Nikolaus Nissen – secondo marito di Constanze Mozart – attribuisce molta rilevanza al viaggio, riportando ampi stralci delle lettere inviate a casa, mentre in tempi successivi Hermann Abert, nei suoi ponderosi volumi, rileva i tratti stilistici assimilati dal giovane nell’ascolto di alcuni maestri italiani. La lunga frequentazione delle loro pagine – che ci hanno tramandato molte delle informazioni che qui riportiamo – pare invitare a una adeguata considerazione del rilievo storico di questo soggiorno, tanto più se rileggiamo il nostro Massimo Mila descrivere, nelle sue fascinose pagine mozartiane, l’influenza delle suggestioni stilistiche italiane nelle opere del fanciullo prodigio durante questo periodo e la loro incidenza nella formazione della personalità matura.

 

La partenza da Salisburgo ha luogo il 12 dicembre 1769. Oltrepassato il Brennero, alla vigilia di Natale i Mozart giungono a Rovereto, dove sostano alcuni giorni, e sul finire dell’anno entrano a Verona. Qui Wolfgang è ospite dell’Accademia Filarmonica: secondo l’uso dell’epoca, viene messo alla prova da maestri che lo osservano comporre in modo estemporaneo su un tema affidatogli con risultati così sorprendenti – scrisse Leopold – “che ne rimasero gl’intendenti storditi”. Di città in città, analoghe saranno le reazioni di chi assiste a un’esibizione del giovane, in una varietà di occasioni che il padre cerca di moltiplicare quanto più possibile.

 

A Mantova il Teatro Bibiena, ultimato pochi mesi prima, lascia Leopold incantato (“Non ho mai visto nulla di più bello di questo genere”) e accoglie il piccolo Mozart che vi tiene un concerto. Dopo un passaggio a Cremona giungono a Milano, dove alloggiano per quasi due mesi nel Monastero di San Marco. Una spinetta, tuttora esposta nel palazzo Sforzesco, venne messa a disposizione del giovane nella residenza del conte Karl Joseph Firmian, governatore della Lombardia, dove Mozart incontra diversi maestri italiani e continua le sue esibizioni (“Troppo lungo sarebbe raccontarti minutamente quali prove del suo sapere abbia dato Wolfgang”, scrive Leopold alla moglie) e un giorno alcune arie appena scritte dal ragazzo vengono eseguite alla presenza dell’aristocrazia: tale è lo stupore che immediatamente gli viene affidata la commissione di un’opera (Mitridate, re di Ponto) da mettere in scena il successivo dicembre.

 

Dopo un passaggio a Pavia, a metà marzo i Mozart partono alla volta di Bologna, e durante una sosta in una locanda di Lodi, “per ingannare la noia della serata” Wolfgang compone il suo primo Quartetto per archi (K 80), a cui rimarrà particolarmente affezionato. Giungono a Parma, dove ascoltano la cantante Lucrezia Agujari e quel famoso do sovracuto che Wolfgang descrisse con grande meraviglia nelle lettere inviate a casa e che dovette rimanere ben impresso nella mente del ragazzo.

 

Una breve sosta di cinque giorni a Bologna, dove avviene il primo incontro con Padre Martini, è una sorta di premessa al lungo e importante soggiorno che li porterà, come vedremo, a trascorrervi la successiva estate. Il 29 marzo, intanto, ripartono verso Firenze, su una carrozza che percorre la strada transappenninica battuta da pioggia e vento incessanti. Giunti in città si concedono una giornata di riposo (“Se tu potessi vedere con i tuoi occhi Firenze – scrive Leopold alla moglie – diresti che qui si dovrebbe vivere e morire”) e il 1° aprile vengono ricevuti dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, figlio dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, a Palazzo Pitti: la riunione del giorno seguente, protratta fino a tarda sera, ci viene descritta, come innumerevoli altre, colma di meraviglia per le doti del ragazzo, che suona di fronte allo stupore incredulo degli altri maestri: “Questo ragazzo ci farà dimenticare tutti!”, avrebbe esclamato, in una circostanza analoga, Johann Adolf Hasse.

 

Roma, finalmente. Vi arrivano l’11 aprile – è l’immagine da cui abbiamo preso le mosse – sotto un gran temporale, e dopo aver trovato un alloggio si dirigono subito in San Pietro (dove, per arrivare a baciare il consunto piede della bronzea statua del santo, Wolfgang chiede di essere sollevato in braccio). E tra gli affreschi michelangioleschi ascoltano, nella Cappella Sistina, alla tenue luce delle candele di quel suggestivo rito che era l’Ufficio delle Tenebre, quel Miserere di Allegri che da sempre era stata proprietà esclusiva della cappella pontificia, e su cui verteva il divieto assoluto di divulgare la partitura, pena la scomunica. Wolfgang lo trascrive a memoria, nota per nota (il venerdì santo, alla seconda esecuzione, porta nascosto nel cappello il manoscritto per apporvi le ultime correzioni). Leopold ne dovrà tranquillizzare la moglie, preoccupata (“Non c’è nessuna ragione di essere in ansia. (…) Persino il Papa sa che l’ha trascritto”). La domenica di Pasqua vengono ricevuti da Clemente XIV – con divertita sorpresa di Leopold che sorride nel vedere le guardie svizzere scambiare il figlio per un giovane principe tedesco e lui per il suo maggiordomo – dal quale sarebbero poi tornati, come vedremo, anche nel luglio successivo. Palazzo Chigi, Palazzo Barberini e altre illustri dimore accolgono i Mozart che intanto, in una lettera, descrivono spettacolari fuochi d’artificio ammirati a Castel Sant’Angelo nella notte di Pasqua.

 

Da Roma si spostano a Napoli, per un soggiorno di quasi due mesi. Vi giungono, viaggiando in comitiva, per la via Appia, non senza preoccupazioni per i briganti che spesso la attraversavano. Wolfgang gioisce alla prima vista del mare e ne scrive alla sorella con stupore. Nella città partenopea la meraviglia per le doti musicali del ragazzo è sempre la stessa (pare che, durante un’esibizione in questa terra ricca di folclore e superstizione, qualcuno – sconcertato dall’osservazione delle sue mani sulla tastiera – abbia avanzato l’ipotesi dell’utilizzo di arti magiche, identificandone la fonte nell’anello che il ragazzo portava al dito: Mozart, senza scomporsi, si tolse l’anello e riprese a suonare) e dà luogo a numerose occasioni musicali. Ferdinando IV di Borbone, tuttavia, non parve dare troppa importanza alla presenza dei Mozart, ed eccetto una breve visita di cortesia non riservò loro particolari attenzioni: nemmeno da qui sarebbe venuto l’incarico di corte in cui Leopold tanto sperava. Il 25 giugno, dunque, ripartirono alla volta di Roma, non prima di aver visitato Caserta e le bellezze naturali delle terre circostanti: “Lunedì e martedì andremo a vedere il Vesuvio, Pompei ed Ercolano, le due città in cui si sta scavando, ammireremo le cose lì ritrovate”. Quello che li riporta verso Roma è un faticoso viaggio di 27 ore, privo di cibo e di sonno, su una carrozza destinata al trasporto della posta urgente. Tanto che, scrisse Leopold alla moglie, “quando siamo arrivati nel nostro alloggio Wolfgang si è seduto su una sedia e ha iniziato a dormire così profondamente che l’ho spogliato e messo a letto senza che desse il minimo segno di svegliarsi”. Ai disagi dell’impervia traversata si era aggiunto persino un incidente, che facendo ribaltare la carrozza aveva provocato a Leopold, gettatosi sul figlio per proteggerlo, una ferita ad una gamba che avrebbe continuato a dolergli per le settimane successive. L’8 luglio i Mozart sono di nuovo ricevuti dal Papa, che a Santa Maria Maggiore consegna a Wolfgang il prestigioso titolo di Cavaliere dell’Ordine dello Speron d’Oro.

 


Ovunque un successo, come esecutore e compositore, ma il padre non riuscirà a trovargli nemmeno un incarico presso le corti della penisola. A Roma trascrive a memoria, nota per nota, il “Miserere” di Allegri, la cui partitura non poteva essere divulgata, pena la scomunica


 

Ripartiti verso la costa adriatica, sostano a Loreto, dove visitano la Santa Casa (al ritorno a Salisburgo Wolfgang avrebbe composto le Litaniae Lauretanae Beatae Mariae Virginis), e risalgono la costa attraverso Senigallia e Pesaro, sino a Rimini; il 20 luglio giungono a Bologna. Ed è l’estate in cui Mozart frequenta Giovanni Battista Martini, il francescano – tra le più illustri personalità musicali dell’epoca – che aveva conosciuto nel marzo precedente. Qui sono a lungo ospiti nella residenza del conte Pallavicini, dove Wolfgang completa la Sinfonia in re (K 84), ammira la biblioteca e legge in italiano Le mille e una notte, e dove Leopold finalmente recupera l’infortunio alla gamba godendo, dopo la faticosa esperienza del viaggio, di ogni riguardo. E’ in questi mesi che padre Martini (a cui in seguito Leopold vorrà donare un ritratto di Wolfgang, a tutt’oggi su una parete del Museo della Musica di Bologna) introduce Mozart, in un periodo di assidua frequentazione, alla conoscenza del contrappunto dell’antica scuola italiana, per prepararlo alla prova che si accingeva a sostenere in una delle più alte istituzioni musicali dell’epoca: tra le mura dell’Accademia Filarmonica, a Bologna, è infatti conservato il manoscritto autografo che Wolfgang, il 9 ottobre 1770, consegnò alla commissione per ottenere un titolo onorifico allora ambitissimo. Esame che naturalmente Mozart superò, ma con la curiosa nota di colore di alcune correzioni apportate alla prima stesura dallo stesso padre Martini, il quale – rigoroso e severo per quanto riguardava l’arduo trattamento del contrappunto – ritenne poco idonei alcuni passi dell’elaborato. Difficile dire in che misura gli insegnamenti dell’illustre francescano, a cui Mozart si legò di una stima e un affetto unici (“la persona che al mondo maggiormente amo, venero e stimo”) si riverberarono nella sintesi ineffabile della sua personalità matura.

 

Il 18 ottobre sono di ritorno a Milano, dove Mozart lavora intensamente alla partitura del Mitridate, che dà al ragazzo qualche preoccupazione (tanto che il padre cerca di distrarlo ogni tanto con qualcosa di divertente). Arriva l’inverno e i disagi del clima gelido riecheggiano sovente tra le righe delle lettere spedite a Salisburgo, ma il 26 dicembre la prima rappresentazione dell’opera (diretta da Wolfgang con uno sgargiante abito rosso appena realizzato da una sartoria milanese) ottiene un gran successo. E’ Giuseppe Parini a recensirla sulla Gazzetta di Milano: “Il giovine maestro (…) che non oltrepassa l’età d’anni quindici, studia il bello di natura, e ce lo rappresenta adorno delle più rare grazie musicali”.

 

Leopold temporeggia, accampando ogni scusa per ritardare il ritorno a Salisburgo: ogni possibilità di incarichi a corte verrà meno, tuttavia, nel successivo dicembre quando, durante un secondo ritorno a Milano, l’arciduca Ferdinando verrà dissuaso, nel suo proposito di assumere Mozart, dalla madre Maria Teresa d’Austria (“Quanto alla faccenda che sai – scriverà Leopold alla moglie – non c’è niente da fare. Te ne parlerò quando ci vedremo. Probabilmente Dio ha in serbo altri piani per noi”).

 

Dopo un nuovo passaggio a Verona e altre soste a Torino e Brescia, i viandanti giungono a Venezia e vi si trattengono per un mese, ammirando lo splendore del suo carnevale e l’atmosfera delle traversate in gondola nei canali della città lagunare. Si spostano quindi a Padova, poi a Vicenza e, attraversando Verona e Rovereto, ripartono verso casa. Il giovane maestro fa ritorno a Salisburgo, dopo un itinerario di più di quindici mesi – la cui portata, in termini di rilevanza nella maturazione dell’arte mozartiana, è di difficile ponderazione – in una terra alla quale il maggior compositore della storia sarebbe rimasto – come scrisse, anni più tardi, lui stesso – intimamente legato: “Se ci penso bene, in nessun altro paese ho ricevuto tanti onori, in nessun altro luogo ho goduto di tanta considerazione come in Italia”.

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