Edda e Gianni Maroccolo ci regalano il primo disco “cotto e mangiato” in lockdown

Il 30 giugno arriva (gratis) “Noio; volevam suonar”. Ed è un “modo di essere pesanti con leggerezza”, un album pensato e realizzato in quarantena da due protagonisti del rock italiano. “La musica è un rifugio, ci ha permesso di andare avanti”

Enrico Cicchetti

Col virus che impazza, le major posticipano ad libitum l'uscita dei nuovi album e persino l'invincibile Vasco dice al Corriere che la pandemia ha fermato le sue canzoni - “Soffro e non scrivo. Sono troppo attonito, frastornato, allibito e incantato”. Loro due, invece, hanno fatto il percorso opposto. “La musica è una reazione a qualcosa”, dicono. Così Stefano Rampoldi, in arte Edda, e Gianni Maroccolohanno deciso di regalare (letteralmente) un disco. Cotto e mangiato con furia in piena quarantena, Noio; volevam suonar è il primo album interamente pensato e realizzato durante il lockdown, da due artisti che hanno attraversato, da protagonisti, la storia della musica italiana.

 

Uno è Edda – da solista si firma col nome della madre – che si definisce un “ragazzo difficile, chitarrista presunto, vorrebbe diventare famoso ma il karma glielo impedisce”. In realtà tra fine anni Ottanta e metà Novanta piuttosto famoso lo è stato, almeno per chi ricorda di avere consumato ore e timpani sui videoclip dell'eroica Videomusic. Quando ancora portava i capelli à la Eddie Vedder era la voce dei Ritmo Tribale, una delle prime band a emergere dal circuito underground nostrano che ha ispirato, tra gli altri, Afterhours, Marlene Kuntz, Subsonica. Uscì dal gruppo nel 1996, come il Frusciante che dà il titolo al romanzo generazionale di Enrico Brizzi, che in quell'epoca d'oro del rock alternativo arrivava sugli schermi con le facce ingenue di Stefano Accorsi e Violante Placido. Dopo dodici anni lontano dal palco – a lottare contro la dipendenza e a fare il pontista edile – nel 2008 è rinato artisticamente come solista (“Sono hare krishna da quando avevo vent'anni, è chiaro che alla reincarnazione ci credo”, dice al Foglio).

  

  

E poi c'è Gianni Maroccolo, che non ha bisogno di presentazioni: protagonista della scena indipendente, negli Ottanta cofondantore dei Litfiba, nei Novanta dei C.S.I. e poi dei P.G.R., ha collaborato coi CCCP, i Timoria, i Marlene Kuntz, con il collettivo Deproducers. Il 17 giugno pubblicherà anche il nuovo, quarto capitolo del suo “disco perpetuo”, Alone, che prosegue il suo percorso ogni sei mesi a cadenza fissa.

 

  

Invece Noio; volevam suonar uscirà il 30 giugno per Contempo Records. Gratis, sia nella versione digitale sia in quella fisica (cd o vinile): basterà fare il pre-ordine entro il 15 giugno (scrivendo a [email protected]) e sostenere le sole spese di spedizione. Le copie richieste nei primi giorni di campagna promozionale superano il migliaio e oggi è uscito sulle piattaforme digitali il singolo Servi dei servi, accompagnato dal video diretto da Michele Bernardi. Un perfetto biglietto da visita, che se da una parte è un omaggio a Marco Philopat e allo storico centro sociale Virus, alla “Milano da pere” antagonista e underground, dall'altra parte lega i ricordi privati allo sgomento collettivo di questo trimestre pandemico: “Tempo ce n’è, potere ne abbiamo/tutti d’accordo e mo’ che cazzo facciamo?”, canta Edda.

 

    

L'album ha un'attitudine punk ma un taglio di alta sartoria, come un Mick Jones dei tempi d'oro. “Sono tanti anni che facciamo questo mestiere”, dice al Foglio Maroccolo, che ha il callo e la tempra dell'artigiano. “Siamo abituati a lavorare con dei limiti, anche a livello tecnico, e a volte servono a riscoprire una certa verginità”. Questa volta i limiti erano quelli delle mura di casa. Solo un iPad, per registrare la voce sbilenca e affascinante di Edda, e un bel po' di fegato. Niente studi e apparecchiature raffinate, tutto missato da Marok a casa sua, dove lo raggiungiamo per una videochiamata. “La musica - dice - è quello che ci ha permesso di andare avanti, passare questo momento, è un rifugio. C'era bisogno di fare qualcosa nel momento in cui tanti stavano male, qualcosa di molto meno eroico di come sembra detto così, ma di più serio e ampio di noi”.

 

“È bello sapere che per una volta non serve spendere tanti soldi per fare un disco”, ribatte Rampoldi dall'altra finestra della chat, anche lui rintanato a casa di suo padre a Milano. L'album completo ancora non l'ha ascoltato come merita, dice. “L'ho sentito solo dal cellulare; con 'ste cose qua”, e indica delle cuffiette rachitiche. “Non so i vicini che cosa pensassero sentendomi cantare, mi vergognavo un po'. È andata così: una mattina alle cinque mi chiama Gianni, io mi ero alzato da un po' e lui andava a dormire. Mi propone di fare un disco, ma io non ci pensavo nemmeno. Gianni è un musicista eccezionale, ha suonato e composto con i più grandi. E voleva fare un album intero con me? È come chiedere a Rosy Bindi di ballare la lap dance. Ma non potevo mica dirgli di no. Gli ho detto solo: 'Lo sai che sarò la tua Caporetto'!”. Il risultato è tutt'altro che catastrofico, e il groove “da scantinato” lo rende anche più interessante. Esageriamo? C'è qualcosa che ricorda Daniel Johnston, compianto eroe della scena diy e lo-fi anni Novanta, e le sue incisioni casalinghe su cassetta, al quale la premiata ditta Edda&Marok si ispira liberamente per comporre il sesto pezzo del disco, Bebigionson.

  


Edda e Marok (foto Alberto Trakle Bonucci, tutti i diritti riservati)

  

I due si conoscono da tempo. “Siamo 'cazzoni' ma timidi a mollare gli ormeggi. Ci siamo sfiorati nei Novanta, apprezzati ma mai conosciuti”, ricorda Marok che cita gli amici comuni, Claudio Rocchi – nell'album c'è una straordinaria cover di Castelli di sabbia –, gli incontri “che sono una cosa strana”. Poi sono arrivate le collaborazioni. Il volume 1 di Alone conteneva il primo brano a doppia firma, L'Altrove. Un po' il pezzo cardine di quel disco datato 2018, un viaggio iniziatico accompagnato da sitar e esraj, l'unico dell'album dove la spiritualità spazza davvero via tutto. “Ho chiesto a Stefano di riprovare con una cosa simile e lui ha registrato un mantra, che dà il titolo a Mantrino nel nostro nuovo album”, aggiunge Maroccolo. “Mi ha detto che credeva di avere fatto quello più forte possibile in questo momento. Mia madre è venuta a mancare proprio ora, durante la quarantena. Sono 'evaso' per andarla a trovare in ospedale, penso che mi stesse aspettando per andarsene. Le ho sussurrato all'orecchio e le ho raccontato anche che Stefano mi aveva mandato questo canto potentissimo. Lei l'ha sentito: credo che l'abbia accompagnata”.

   

Noio; volevam suonar in fondo è proprio questo: “Un modo di essere pesanti con leggerezza”, come dicono loro, “uno scherzo che nasconde un doppio strato, diversi livelli di lettura”. Come in Maranza, “questa cosa tamarra, coatta, 'maranza' appunto”, che Gianni voleva provare a trasformare, con la voce e le parole di Stefano, in “qualcosa di più sofisticato”. Un'invettiva gratuita contro i Negramaro – “che tanto non ci sentiranno mai”, scherzano – e un divertissement truzzo, un inno da ballo. O come Noio, un (finto) plagio di una celebre canzone dei Baustelle, o come Achille Lauro, “una dichiarazione omo da cui Marok si dissocia” per il rapper che “mi ha fatto scoprire che c'è qualcosa oltre la mia clausura e Rita Pavone”, scherza Edda.

  

Gli undici brani sono i tasselli di un mosaico composto dalle vite e dalle memorie dei due artisti, dai riferimenti culturali, dagli affetti e dalle malinconie, in totale libertà e in disarmante sincerità, per raccontarsi. Esce il sangue dalla neve per esempio è una vecchia canzone di Edda scritta insieme al poeta e musicista Alessandro Grazian che trova nuova vita nell'arrangiamento di Maroccolo, con l'intervento di Flavio Ferri dei Delta V. “Questo album è un regalo fatto a noi stessi e al pubblico”, dicono. “Perché la musica è una medicina, è qualcosa che ha a che fare con la bellezza, un modo per migliorarsi. In un momento così assurdo, come essere umano ti domandi cosa puoi fare. Come artista puoi regalare la tua musica. Noi siamo antenne che amplificano qualcosa che ci arriva e rimettiamo in circolo, il nostro compito è suonare, non reclamare diritti d'autore”.

 

Alla fine i due si prendono il tempo di ringraziare la mitica e audace Contempo Records di Firenze, “che ha speso lavoro ed economie per creare e distribuire il disco”, e tutti quelli che ci hanno messo mano, dalla tipografia al taglio del vinile, dai missaggi ai video. E ci tengono a ripeterlo: “Spiegalo tu, che tanti sono di coccio”. Sì, il disco ce lo regalano. Regalatevelo.

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