“Folklore”, il nuovo disco di Taylor Swift è un ascolto sull’ascolto. Un cuore in inverno. Soft as snow but warm inside, come erano l’eroina e l’amore quando entrano in circolo, in un vecchio pezzo dei My Bloody Valentine. Lo ha scritto in questi mesi, mentre le sue colleghe si dimenavano su Instagram e Tik Tok per tenerci compagnia e parlare, straparlare, strafare, raccontare, senza dire mai niente. Lei no, lei zitta, buona, niente foto con la mascherina, dichiarazioni motivazionali, arcobaleni, pagnotte, pigiami. Lei se n’è stata al chiuso, s’è affacciata dentro e ha scritto che cosa vedeva. Ha lavorato, come ha sempre fatto (è una che a 17 anni aveva un repertorio di 150 canzoni: non l’ha fermata l’infanzia, figuriamoci una pandemia). Ha lavorato in quel modo che racconta in un documentario su di lei, “Miss Americana”, che è uscito a febbraio e che tutti hanno guardato perché i giornali avevano scritto che parlava dei suoi disturbi alimentari. E invece lì c’era la storia del talento, dell’onere gigantesco che è, di come renda chi lo porta un pubblico servitore. La storia di una ragazza americana che diventa pop star ed è così brava, così eccezionale, che nessuno capisce che in lei a vibrare è la vocazione, non l’ambizione. Questo disco, forse, lo mette in luce. Tira fuori la voce di un’artista che sarebbe pop, nel senso di universale, anche se scrivesse un disco su Hegel. E noi lì a prenderla per una pop star qualsiasi. Una Katy Perry. Una post Spears. Certo, è stata anche questo: ha dovuto passarci, s’è divertita, probabilmente ci ripasserà.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE