Rolling Stone ha scritto che Achille Lauro ha mancato anche stavolta di fare la rivoluzione. Lo ha scritto con stizza, e anche scherno. Così: “Il Jukebox vivente si dà all’eurodance, prende sette pezzi anni Novanta, li usa per raccontare storie un po’ struggenti e un po’ decadenti. Manca lo scossone: anche per oggi la musica italiana la si rivoluziona domani”. Ma è soltanto un catenaccio. L’articolo è meno cattivo, dice che Achille va comunque seguito, perché è importante capire dove sta andando il solo artista pop italiano attualmente capace di “pungere il pubblico generalista lì dove è più sensibile e dove nessuno lo sta più colpendo”. Il pubblico generalista è un’espressione geografica in uso ancora soltanto al Rolling Stone, più raramente anche a Tv Sorrisi e Canzoni e alla Rai. E’ un nemico scappato, vinto, battuto, come ci illudevamo fosse la storia negli anni Novanta. La dicevamo finita, perché la pensavamo risolta, ne credevamo risolti i grandi conflitti, sciolti gli inestricabili nodi; pensavamo coalizzate saldamente le forze del bene, avviate efficacemente le leve del futuro. Erano balle. Gli anni Novanta sono stati un fuoco d’artificio continuo, un’ostinata festa di Mrs Dalloway, una delle tante che lei dava per coprire il silenzio, il ballo dell’ultima notte al mondo, spacciata per l’inizio di un giorno eterno.
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