La prima volta che è quasi morto, Luciano Ligabue non era ancora nato. Il cordone ombelicale gli si era attorcigliato intorno al collo mentre sua mamma lo partoriva, e più spingeva e più lo strangolava. La seconda, a un anno e mezzo, è quasi morto di peritonite. La terza, a cinque anni, di tonsillite. Più precisamente, è quasi morto soffocato da un’emorragia poco dopo che gli avevano asportato le tonsille. A donargli il (molto) sangue che aveva perso era stata la stessa suora che aveva provato a mandar via sua madre dopo l’operazione, naturalmente senza riuscirci. La voce strozzata se l’è portata dietro per tutta la vita, insieme al rischio di perderla per sempre. E così anche il sangue a fior di pelle, con le vene sempre gonfie, quasi ostruite. Quando il suo manager di sempre, Claudio Maioli – Il Maio –, capì che c’era ciccia per gli affari, gli disse che dovevano fare un patto di sangue. Lui, LL, gli rispose: “Va bene, basta che mi fai fare un concerto al giorno e io ti do tutto il sangue che vuoi, anche se forse non ti piacerà perché è un po’ di suora”.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE