Il dono di Claudio Coccoluto
È morto a Cassino uno dei maestri della rispettatissima scuola italiana dei djs. Se ne è andato in un giorno strano per la nostra musica
Muore a 59 anni Claudio Coccoluto, sublime maestro della rispettatissima scuola italiana dei djs. Se ne va in un giorno strano per la nostra musica, mentre la sera s’inaugura la surreale edizione di Sanremo che vuole essere resistente, innovativa e tradizionale al tempo stesso, mentre è appena emersa la notizia di un’altra perdita eccellente come quella di Corrado Rustici, venerabile chitarrista e profeta del rock intellettuale della penisola e mentre sui social gli appassionati discutono del webmob dell’Ultimo Concerto, l’evento muto messo online per denunciare la malattia che sta minando la salute economica e psicologica di quanti di musica vivevano. E, ancora, mentre De Gregori pubblica un’educata provocazione su Rep, proponendo l’istituzione di un Ministero del Divertimento che assuma finalmente le difese di chi lavora nel settore a cui, nel nostro paese delle canzonette, tradizionalmente non si riconosce lo status artistico. Claudio si accommiata mentre le discoteche sono chiuse da sei mesi per Covid, la riapertura è remota, il settore è in fibrillazione e i conti correnti si prosciugano.
L’annuncio viene dato dal figlio Gianmaria, che cammina sulle sue tracce musicali e dal socio storico Giancarlo Battafarano, in arte Giancarlino, alter ego e cofondatore del Goa, l’unica discoteca che vale la pena visitare nella Capitale del nuovo millennio e di cui Coccoluto è stato l’inventore e il suggeritore delle atmosfere per cui era amato e imitato, nelle quali il beat assume pulsazione organica, edificando l’edonistica ipnosi da dancefloor. Il suo mentore era stato Marco Trani, altra figura scomparsa anzitempo, nella Roma delle prime radio e di un nightclubbing che assumeva dimensione inattesa, in un underground stanco di militanze, dibattiti e scazzi. Ballare, vivere la notte come un terreno sperimentale diventava, nel giro di poche stagioni, il nuovo territorio espressivo d’una generazione che abdicava dalle sigle e dalle aggregazioni precostituite e assumeva dimensione fluida, capace di ridisegnarsi sera dopo sera, da un evento all’altro, da un “posto” al successivo.
Coccoluto si afferma come lo stregone capace delle alchimie che trasformano una sequenza di dischi in una rappresentazione condivisa, nella percezione e nell’esperienza di un’atmosfera, l’architettura della quale è la sua visione. Presto trova riconoscimenti internazionali e da parte della musica ufficiale, membro delle giurie sanremesi ma anche rappresentante di una categoria che ha faticato come poche a ottenere la legittimità di una professione. Il bello è che tutta la sua storia comincia a finisce nella profonda provincia italiana, tra Gaeta e Cassino, nel negozio di elettrodomestici del padre dove Claudio comincia a mettere le mani sui magici apparecchi e dove conclude i suoi giorni. Nel mezzo una quarantina d’anni trascorsi nel vortice d’un mestiere nascente, nelle città che riscoprivano il piacere di divertirsi, con un’appartenenza spontanea a quello che di fatto era un movimento di pensiero, ma che solo a posteriori si sarebbe dato la definizione di club culture, rompendo il velo della clandestinità e per la sincronia delle sue intuizioni. All’origine del tutto c’era il dono di far ballare le folle senza mediazioni e senza spiegazioni. Una tensione che adesso appare remota, allontanata dai distacchi forzati del nostro tempo e dal fatto che siamo tutti cambiati senza accorgercene. Per fortuna un’epifania di quell’emozione può ancora capitare quando, senza preavviso, da una radio arrivi il battito dinamico che ricorda maledettamente quello del tuo cuore, solo molto più accelerato.