Con i Ministri anche la musica si sente responsabile della ricostruzione
Il ritorno della band: "Peggio di niente" il nuovo singolo
La copertina del nuovo singolo dei Ministri, band milanese indie rock o forse post rock post punk post Milano insomma post tutto, e però dotata di un incredibile talento per la previsione (nei loro primi due dischi c’è più o meno tutto quello che è successo negli ultimi dieci anni, anticipato), richiama quelle della collana Nuovo Politecnico dell’Einaudi, che dagli anni Sessanta ai Novanta pubblicò la maggior parte dei saggi che animarono il dibattito pubblico e politico italiano. E’ una scelta perfetta, anche per le copertine i Ministri hanno sempre avuto grande talento – e chi se la scorda quella di “I soldi sono finiti”, il disco d’esordio, quindici anni fa: sfondo nero e un euro incollato sopra.
Nuovo Politecnico s’ispirava alla rivista di Vittorini, Il Politecnico, che cominciò le pubblicazioni nel ‘45 e le chiuse due anni dopo: fu, quindi, un documento fondamentale della ricostruzione italiana del secondo Dopoguerra. Scusate la premessa didascalica e certamente superflua per molti, ma serve a tenere a mente le intenzioni della band e del suo ritorno (il nuovo EP, "Cronaca nera e musica leggera" arriverà il 14 maggio): assumersi una responsabilità culturale, discutere, porsi come interlocutori e non intrattenitori, ricordare che la musica è un fatto politico, cosa che non comporta obbligo d’impegno, ma ruolo e peso (se glieli riconoscessimo, i lavoratori dello spettacolo non sarebbero al secondo anno senza lavoro, ed è per questo che quella copertina è così importante, più di quanto lo sarebbe stata dieci anni fa o uno: perché ora si ricostruisce, e però delle macerie non s’è presa contezza).
Il pezzo dei Ministri si chiama “Peggio di niente”, è diviso in due parti, che sono i due tempi che racconta facendoli incontrare, mostrandone la consequenzialità, il cerchio in cui s’abbracciano e ci chiudono. Nelle prime settimane della pandemia, alcuni dicevano che eravamo colpevoli e il virus ci puniva. Era una posizione assurda, naturalmente, e i Ministri la ribaltano in una domanda che forse è il solo punto davvero dirimente: sappiamo aiutarci? La comunità è un’ambizione, un vagheggiamento retorico, ma in concreto non esiste: la pandemia lo ha reso evidente, i Ministri fanno parte di una generazione che lo ha sperimentato e che, in fondo, la comunità è stata educata a smantellarla. “Ho passeggiato nel vuoto per vedere se alla fine conviene e poi improvvisamente ho visto il tempo volare, ho visto il tempo cadere, ho visto il buio per sempre, e poi improvvisamente ho visto Nina volare, ho visto Nina cadere, non ho visto più niente”.
Guardavamo Nina volare, come De André da piccolo, rifugiato a Revignano d’Asti, guardava una bambina su un’altalena, pensava che il mondo partisse da lì e non immaginava la guerra fuori. Poi siamo caduti all’indietro, non c’era nessuno a tenerci, non c’era niente: siamo precipitati nel punto più basso. Nello snodo tra come eravamo e come siamo, i Ministri inseriscono un richiamo al respiro, che è il punto cruciale di tutto quello che è successo quest’anno: il virus e l’assassinio di George Floyd – “ho visto gente speciale calpestare altra gente ed era peggio di niente”.
E’ anche una canzone sul respiro, questa: lo riproduce all’inizio, con un urlo, e alla fine di alcuni versi. Perché il respiro è un fatto sociale, anzi il fatto sociale del nostro tempo: la battaglia ecologica lo dice da anni. “Peggio di niente” non significa che non siamo mai stati così in basso, o almeno non solo: significa che non ci sono strade, modelli, esempi, appigli. Non ci sono ora, non c’erano prima: costruiamone di nuovi, facciamo un Politecnico. Dopo le parole, allora, c’è la musica, che ha il tumulto allegro dei Ministri, e la vitalità post tutto che ci riporterà ai concerti leggerissimi, pesantissimi, migliori di sempre. Politici.