L'inganno di Franco Battiato
È morto il cantautore siciliano. La sua musica è stata un viaggio esotico e imaginifico nel giardino di casa. Come Salgari ha trasportato altrove la sua terra: una Sicilia celeste e mistica
Quando nel 2016 venne data la notizia della sua morte, Franco Battiato parlò del fascino dell'ubiquità. "Essere vivo e in moderata salute e allo stesso tempo trapassato verso chissà dove, devo ammettere che è qualcosa che mi affascina. Ho percepito per la prima volta cosa vuol dire essere ubiquo. Qui nella mia casa e altrove. La musica non è riuscita a fare ciò che una notizia falsa ha fatto. Devo dire che nonostante abbia avuto sempre un enorme rispetto per la musica in questo caso la musica ha fallito". Tutto questo lo diceva con pacifica allegria a Radio2 qualche giorno dopo la smentita ufficiale.
L'obiquità di allora non si potrà ripresentare. Franco Battiato questa volta è morto davvero in una mattina di maggio, il 18 maggio 2021.
In quell'occasione Franco Battiato sottolineò come la realtà fosse tutt'altro che granitica, certa. Come tutto fosse "un gioco di richiami tra la dimensione che pensiamo essere quella del vero, del reale che poi reale e vero non è sempre, e quella dell'invenzione e della fantasia. Davvero una esiste più dell'altra? Non è solo una questione di percezioni, di credere più a qualcosa invece che a qualcos'altro?".
Forse un po' tutto è un inganno e forse pure lui ci ha ingannati. A suo modo, certo, con le parole e i suoni, la ricerca dell'altro, dell'esotico, pure dell'esoterico a volte. Lui che veniva chiamato Maestro ma che Maestro non voleva essere chiamato, che parlava di mondi lontanissimi, di dinamiche celesti che assomigliavano però molto alla sua Sicilia agreste e cittadina. La sua musica è stato un inganno, un bellissimo inganno fatto di suoni elettronici e antichi, di sperimentazioni che guardavano al passato, di un'avanguardismo che nasceva da una profonda nostalgia di casa.
Giorgio Gaber nel 1998, parlando del disco di Battiato Gommalacca, allora uscito da poche settimane si lasciò andare ai ricordi: "Me lo ricordo quando era arrivato da pochi anni a Milano negli anni Sessanta. Era piccoletto e un po' strambo. Parlava di mille cose, si dava da fare a cantare la protesta, era affascinato da questo e da quest'altro, dall'America e dall'Asia, fino all'Africa più profonda. Un gran bel mescolio. Una volta lo andai a trovare a casa e mi colpì una cosa. C'era la Sicilia ovunque. Testi in siciliano, musica siciliana. Capì allora che sarebbe potuto andare ovunque Franco, ma i piedi ce li avrebbe avuti sempre al paese. Tutto ciò mi parve bellissimo. La sua affascinazione per mondi lontani non era altro che una forma d'amore per la sua terra. Era lì che in fondo sempre tornava".
Franco Battiato dalle canzoni di protesta arrivò alla sperimentazione musicale di Fetus e Pollution, alle infinite note di L'Egitto prima delle sabbie, al pop rivisitato, portato verso spiagge esotiche, territori mistici e indiani, ascensioni stellari e viaggi cosmici.
Ha viaggiato nel nazionalpopolare senza esserlo, ha sorriso e fatto occhiolino alla filosofia e al misticismo senza caderci dentro davvero. Ha raggiunto il successo nelle vendite, senza però mai essere considerato "commerciale", il classico modo di definire, con un certo spregio, chi riesce a ottenere un ritorno economico per la propria arte.
Un vagare instancabile che lo ha portato alla rottura con molto di quello che aveva costruito. Era l'inizio degli anni Ottanta e dopo Patriots e La voce del padrone, Franco Battiato pubblica Orizzonti perduti. È in questo disco che la doppia realtà di Battiato, il reale e l'irreale si mescolano e dialogano. Che il suo magnifico inganno che aveva celato senza mai nasconderlo, viene fuori e si palesa per quello che è un lungo viaggio salgariano, dove tutto si muove per sentieri immaginari che però partono da radici piantate nel profondo del sottosuolo siciliano. Una caduta nella sincerità in un universo d'invenzione.
Franco Battiato, diceva il compositore Giusto Pio con cui aveva a lungo collaborato, "ci ha portato musicalmente e con le parole sino ai confini del mondo, ma questi confini non erano altro che i territori che stanno attorno a Catania. Tutto ciò che incontrava attraversava il ricordo, per questo di deformava e prendeva le forme dell'altro. Non c'è nulla di più lontano di quello che ci sta attorno ogni giorno".
L'affascinazione per l'esotico, per ciò che non possiamo sfiorare, in fondo non è nient'altro che una nuova creazione del quotidiano. Emilio Salgari lo scrisse al direttore dell'Arena Giovanni Antonio Aymo nel 1885. "Le tigri di Mompracem esistono davvero. Le loro paure, le loro ambizioni, le loro lotte non sono poi diverse da quelle che ogni giorno scorrono silenziose nelle nostre campagne e colline. Solo che non interessano a nessuno le storie di questo nostro misero territorio, serve ambientare tutto questo lontano da qui per poterne scrivere".
Franco Battiato ha ambientato altrove la sua Sicilia, l'ha resa celeste e mistica. A chi sarebbe mai interessato un centro di gravità permanente che vorticava su Ionia, o su Giarre, o su Milo, oppure anche su Catania? Probabilmente a nessuno.
Il cantautore ha creato un mondo di rimandi, di improbabili accostamenti, un mescolarsi di concetti dotti affiancati ad altri storicamente inesatti quando non del tutto inventati. Li ha impastati di esotismo e di esoterismo, realizzando una pozione magica a tratti irresistibile per chi voleva qualcos'altro, voleva credere a qualcosa che non esisteva. È stata finzione imaginifica quella di Battiato, un mescolio di Tommaso Landolfi e Emilio Salgari, di reale e irreale, di fantasia al servizio dell'unica cosa che in fondo ha senso, "disinteressarsi spesso di cosa c'è e donarsi totalmente a cosa si è inventato". Lo scrisse Italo Calvino proprio a Tommaso Landolfi.
Battiato è stato immaginario. Un inganno musicale lungo cinquant'anni nel quale si poteva trovare tutto e il contrario di tutto.