Anthony Quinn (Zorba) e Alan Bates (Basil) nella celebre scena finale di Zorba il greco (regia di Michael Cacoyannis, 1964)

L'intervista

Capire Mikis Theodorakis, padre del sirtaki e della Grecia libera

Francesco Gottardi

Tutto il mondo lo conosce per Zorba. Ma il compositore morto oggi a 96 anni "ha scandito la storia di un paese, mettendo in relazione poesia, musica e collettività come succede dai tempi di Omero". Dalle piazze di Atene ai contatti con il mondo accademico, un ricordo a due voci

Chiudere gli occhi e iniziare a ballare. Il ritmo della libertà l’ha svelato Mikis Theodorakis: da una spiaggia di Creta fino alla grassa risata di Anthony Quinn, Hollywood e la danza di Zorba, “che oggi nel mondo è senza dubbio più conosciuta del nostro inno nazionale”, parola di ateniese. Ma la musica di Theodorakis, morto questa mattina a 96 anni, è molto più della Grecia di copertina, che acchiappa estati e turisti a colpi di sirtaki – il ballo popolare che sì, ha inventato lui, inaugurando una tradizione.

 

E Mikis Theodorakis è stato molto più della sua stessa musica: “Ha definito la nostra identità culturale. Insegnano le sue canzoni nelle scuole, il suo contributo politico – poi ci torniamo – parla a tutte le generazioni. E ha formato il mio inconscio sonoro”. Konstantinos Damianakis è un giovane musicista: anche se il suo repertorio “techno e pop sperimentale” non potrebbe essere più diverso dalle opere sinfoniche e neomelodiche di Theodorakis, spiega al Foglio come non abbia potuto farne a meno. “Negli ultimi anni era mio vicino di casa ad Atene, nel quartiere Koukaki. Lo incrociavo ogni tanto, già debilitato, per strada o mentre si riposava sul balcone. Poi anche la mia famiglia è di Creta”, tra i vari luoghi d’origine di Mikis, nato nell’isola di Chio da madre di Cesme, Asia minore, “ma forse quello a cui era più legato. Sono cresciuto con il pentozali, una danza popolare cretese che è un po’ il precursore del sirtaki. E più del sirtaki, la sintesi del lavoro di Theodorakis: dinamico, incalzante, impegnato per la collettività”.

 

 

Impossibile scindere il compositore dalla storia. “Fino agli anni Sessanta si è occupato di musica da camera”, continua Damianakis. “Poi ha iniziato a combinare le sinfonie con canti e strumenti tradizionali”, su tutti il bouzouki, alter ego del nostro mandolino. “Dal 1980 circa invece ha unito poesie e suoni, mettendo in musica testi di Pablo Neruda e pilastri della letteratura greca come Giorgos Seferis e Giannis Ritsos”. È stato riarrangiato perfino dai Beatles, mentre nel 1964, con Zorba il greco, la regia di Cacoyannis consacrava l’omonimo libro di Kazantzakis: “Il miracolo del cinema, che ci ha portato alla ribalta mostrando un paese autentico. E che ci ha permesso di avere voce nel momento più difficile”. Quando su Atene piombò la dittatura dei colonnelliTheodorakis fu imprigionato, le sue canzoni proibite eppure ascoltate di nascosto. “Non avevano contenuti politici espliciti, ma erano molto evocative e metaforicamente forti. Lo scarcerarono grazie alle proteste popolari, che fecero insorgere l’opinione pubblica internazionale. Questa è l’eredità che ci lascia Mikis oggi: la possibilità di resistere sempre, attraverso arte e cultura”.

 

Theodorakis nel 1974 (AP Photo/Aristotle Saris)

 

Per capire fino a che punto la sua figura abbia avuto un significato sociale, fuori dai cliché e dentro il millenario patrimonio ellenico, ne parliamo con Caterina Carpinato, docente di Lingua e letteratura neogreca: “Theodorakis è stato un uomo politico nel senso più aristotelico del termine”, spiega la professoressa dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. “Ha messo il suo talento al servizio della comunità, interpretando fedelmente il binomio poesia-musica che ricorre da Omero a oggi. La poiesis indica tutte le attività del fare: dunque anche fare musica, cantare poesia”. Un esempio. “La storia dell’Epitaphios”, poema di Ritsos, “tra i padri della sinistra greca: nel 1936 scrisse in morte di un giovane alle rivolte sindacali di Salonicco. Nel 1958 Mikis ne fece una canzone di tre minuti: ancora oggi i greci la cantano e la ballano nelle taverne. Ma è un grande inno poetico, politico, perfino religioso: quel che può sembrare un paradosso per noi, ma non per i greci, è che Theodorakis era un musicista lirico ateo, comunista fino alla fine ma profondamente spirituale. Un intellettuale organico, al di là delle sonorità. Ha sempre creduto che ‘le sfere del fare’ possano cambiare il mondo: la musica non è puro intrattenimento, ma deve coinvolgere collettivamente”.

 

 

Carpinato racconta poi “un uomo tutto d’un pezzo, fiero della sua bellezza. Eppure curioso, affabile”. Ricordi di gioventù: “Lo incontrai alla fine degli anni Ottanta, da studentessa. Mikis era felice di scoprire che in Italia qualcuno studiasse greco moderno: qualche tempo dopo mi mandò dei libri con una sua dedica. È sempre rimasto molto umano, nonostante la notorietà”. Il terreno del sirtaki può essere scivoloso: “Ha fatto conoscere il suo nome ovunque. Ma in modo stereotipato, come autore di consumo”, sottolinea la professoressa. “Non si può affrontare la Grecia superficialmente: è una realtà che riguarda la civiltà occidentale e oltre. Non solo per l’eredità classica, ma anche per il suo Novecento, che ha ripercussioni ancora oggi. Quindi ben venga Zorba, se può avvicinare a tutto questo”. Le fa eco Damianakis: “Ascoltate e ballate Mikis, per capire il nostro paese”, strappare la corda ed essere liberi. L’ultima parte è una battuta del film. O una fervida nota di bouzouki.

 

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