Patti Smith (foto Nicholas Hunt/Getty Images per Anthology Film Archives) 

La pandemia, la storia del rock e il peso invisibile delle parole. La versione di Patti Smith

Giuseppe Fantasia

“Visti i tempi difficili che stiamo vivendo, abbiamo il potere di lottare per cacciare dal mondo i folli, adesso più che mai. Ogni volta che canto 'People have the power', ci credo”

People have the power”, cantava e canta ancora, come fosse oggi, Patti Smith. Era il 1988 quando uscì quel brano - “il singolo dell’anno” secondo il New York Times – e 33 anni dopo, “è più che mai attuale”, ci dice lei, la "sacerdotessa del rock", cantautrice, poetessa, fotografa, pittrice e scultrice. “Il suo valore non cambia, perché è una canzone valida in tutto il mondo per chiunque creda in un cambiamento. La gente ha il potere e oggi più che mai deve usarlo davvero. Tutti noi dobbiamo credere di averlo, perché insieme possiamo cambiare le cose”.

   

      

“Abbiamo il potere di sognare di fare le regole” – cantava in quel brano e ce lo conferma anche a voce. “Visti i tempi difficili che stiamo vivendo, abbiamo il potere di lottare per cacciare dal mondo i folli, adesso più che mai. Ogni volta che io canto quella canzone, ci credo”. Siamo al Museo Maxxi dove lei, poco prima, ha duettato con il cantautore Giovanni Caccamo che qui ha presentato il suo nuovo lavoro discografico, “Parola” (Ala Bianca /Warner Music Italia), terza tappa del tour live del disco nei musei dopo quelle a Milano alle Gallerie d’Italia e a Firenze a Palazzo Vecchio. Un disco speciale con sette brani, ognuno dei quali è preceduto da un’introduzione strumentale e da una voce che legge il testo che l’ha ispirata, da Liliana Segre a Willem Dafoe, da Aleida Guevara a Michele Placido, da Beppe Fiorello a lei, appunto, insieme a sua figlia Jesse Paris, che hanno introdotto il brano “Il Cambiamento” con parole forti e significative. “Stiamo perdendo la misura, il peso, il valore della parola”, diceva Andrea Camilleri, la cui voce introduce la serata – “le parole sono pietre, possono trasformarsi in pallottole”.

   

Le parole hanno un peso che non puoi vedere – aggiunge la Smith, 76 anni il prossimo dicembre, ma un’eterna ragazzina, visto che la sera prima ha tenuto un concerto alla Nuvola di Fuksas, all’Eur, tappa conclusiva del suo tour europeo e prima ancora alla Royal Albert Hall di Londra, saltando come una matta fino a far saltare le corde della sua chitarra. “Bisogna almeno provarci a pensare, invece la gente parla, parla e parla, senza senso”.

 

“È per me fondamentale parlare con il pubblico, poco importa se con una piccola canzone o con brani che hanno fatto la storia della musica”, precisa lei che con la sua allure è sempre stata una sintesi perfetta di musica e parole, un’artista completa che ha saputo intrecciare le forme d’arte in un’incessante ricerca (e passione) per la sperimentazione e l’avanguardia. Oggi sa guardarsi indietro senza paura e lo fa senza risparmiarsi, con la placata esuberanza dell’artista che ha raggiunto le vette del successo e della sua arte, con la passione disincantata di chi, attraverso la fama, ha imparato a conoscere luci e abissi.

  

“Da ragazzina – ricorda - ho sempre saputo di avere qualcosa di speciale dentro”, parole che scrisse, non proprio in quest’ordine ma con quel senso, nel suo primo libro “Just Kids” (Feltrinelli), in cui raccontava, tra le altre cose, soprattutto del legame speciale che la legava a Robert Mapplethorpe, fotografo estremo che con lei intrecciò un cammino di arte, di devozione e di iniziazione, “scoprendo che rock, politica e sesso sono gli ingredienti essenziali della rivoluzione a venire”. Una storia tra loro? No, il vero collante era l’amicizia, ha precisato più volte, “un’amicizia rara, pura e preziosa, un patto esplicito di reciproco sostegno, fondato sulla condivisione di visioni, di idee, di arte e di sogni”.

 

Si potrebbe dire che io sia un sognatore, cantava John Lennon in Imagine, a sua volta cantata nel gran finale dalla Smith con un’interpretazione da brividi – “ma non sono, non siamo, aggiunge lei, gli unici sognatori. Spero che un giorno vi unirete a noi e allora il mondo sarà come un’unica entità”, aggiunge salutandoci con un movimento di mani che ha il fascino di un’eleganza antica. Con i suoi modi tra lo schivo e il fuggente ricorda un po’ Bob Dylan, di cui è l’alter ego femminile, e non è infatti un caso se lui, quando vinse il Nobel per la Letteratura, la mandò a ritirarlo a Stoccolma. Sono solo le 22, ma per una come lei che ha già fatto di tutto e sempre prima degli altri, “è tardi”. Il rock, a quanto pare, è un’attitudine che non a tutti è concessa. Di capire, ma – soprattutto – di vivere.

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