Fantasia al potere
Libertà di scrittura, imprevedibilità, creatività. Sufjan Stevens non si discute
Un artista che per le sue doti artistiche, la sua poliedricità e il suo essere produttivo è tra i simboli del nuovo millennio
Sufjan Stevens appartiene al ristretto novero degli artisti musicali che praticamente non si discute. Tutt’al più si possono seguire, con maggiore o minore partecipazione, i suoi vagabondaggi tra gli stili e la sua bizzarra esplorazione della cultura popolare d’oltreoceano, a caccia d’ispirazioni che spaziano dalle biografie dei serial killer alle fasi fondative di alcuni stati dell’Unione fino, è naturale, a spaccati di autobiografismo che rivaleggiano con la migliore narrativa nazionale degli ultimi anni. Per questa complessa stratificazione, per la sua libertà di scrittura, per la capacità d’essere imprevedibile e sempre in movimento nel territorio della creazione musicale, Sufjan è un artista-simbolo del nuovo millennio. E un’altra sua caratteristica che non conosce requie è la produttività, se è vero che negli ultimi due anni ha pubblicato qualcosa come quattro album, ciascuno con motivazioni diverse: “Aporia” nel quale ha collaborato col padre adottivo Lowell Brams; “The Ascension”, lavoro immerso nei grandi temi della vita e della morte; “Convocations”, torrenziale opera strumentale in cinque volumi, da lui stesso motivata come conseguenza creativa della morte del suo vero padre. E a questo punto con un certo sollievo si accoglie il quarto titolo dell’elenco, questo “A Beginner’s Mind”, che riporta Stevens vicino alla sua matrice più apprezzata, quella intinta di soffice cantautorato molto letterario e venato di urban-folk - lo stesso, per intenderci, di uno dei suoi album più amati, “Carrie & Lowell”.
Stavolta la particolarità è che il lavoro viene firmato a quattro mani da Sufjan con colui che è il suo più legittimo discepolo, Angelo De Augustine, di cui a suo tempo è stato il pigmalione, annettendolo alla propria etichetta Asthmatic Kitty, per la quale un paio d’anni addietro Angelo ha pubblicato la sua cosa migliore, l’album “Tomb”. Sia detto subito: il risultato della collaborazione è eccellente e darà piacere e commozione alla robusta community dei fans di Sufjan. A margine, comunque, ci sono una serie di notazioni che è interessante riportare. Prima di tutto riguardo alla realizzazione delle registrazioni. Ebbene, Stevens e De Augustine (che, a dispetto della differenza di età – rispettivamente 45 e 28 – sono grandi amici) hanno scelto di aderire fedelmente al canone romantico dell’artista colto nel vibratile, spasmodico conseguimento della sua visione, raggiungibile solamente attraverso l’isolamento e il contatto con la natura. Insomma, come Bob Dylan ai tempi dei “Basement Tapes”, o come più remoti geni stravaganti sul genere di Emerson e Thoreau, o come anche si rivelò al mondo Justin Vernon/Bon Iver ai tempi del magnifico “For Emma, Forever Ago”, i nostri eroi si sono rifugiati in uno chalet isolatissimo nell’Upper State New York, con la sola compagnia dei propri strumenti e della ricerca d’una feconda comunione d’intenti. Agevolata, in questo caso, dall’adozione di un’ inconsueta scintilla ideativa: il cinema, i film classici, quelli raccolti e restaurati dal catalogo Criterion, che Sufjan e Angelo hanno guardato uno ogni sera, scavando nell’immaginario condiviso americano e nei residui delle loro personali visioni adolescenziali, passando da “Il Silenzio degli Innocenti” a “Chi ha paura di Virginia Wolfe?”, da “La Notte dei morti viventi” a “Point Break”.
Il che, per chi vorrà approfondire questo aspetto dell’album, sarà un valore aggiunto, vista la maestria con cui Sufjan si muove nelle pieghe delle storie in questione – un grande territorio comune di reference – che nei suoi testi diventano fonte inesauribile di stimoli, risolti su un’infinità di piani diversi. Poi, nelle canzoni di “A Beginner’s Mind”, tutto ciò prende forma con una verve particolare attraverso i duetti di Sufjan col suo amico, nella modalità che costituisce la caratteristica essenziale del progetto: le voci di Sufjan e di Angelo, infatti, sono praticamente identiche, utilizzando allo stesso modo un falsetto fragile, spezzato e singhiozzante, intrecciandosi e scambiandosi senza gerarchie o schemi prevedibili, armonizzando, dialogando quasi indistinguibili tra loro, rivelando un’intimità piuttosto magica e componendo una matrice espressiva emozionante, che richiama inevitabilmente alla mente il periodo più limpido di Simon e Garfunkel. Oppure, vista la loro straordinaria omogeneità, verrebbe da dire di Garfunkel & Garfunkel – due gemelli gorgheggianti in un placido oceano della tranquillità e delle infinite speculazioni sul senso della vita.