Qualcuna era punk
La musica e le ragazze che incendiarono Londra, in un libro di Vivien Goldman
Oggi insegna alla New York University, dove la chiamano punk professor. Ma Vivien Goldman è stata una pioniera del genere: “Per noi ragazze, ‘vendetta’ significava ottenere lo stesso accesso dei coetanei maschi al creare la propria musica, suonare e farsi ascoltare”
Cominciamo da quelle due foto. Nella prima, 1980, ci sono in posa, tutte insieme sorridenti e orgogliose, le regine del punk/new wave del tempo: Chrissie Hynde dei Pretenders, Debbie Harry dei Blondie, Viv Albertine delle Slits, Poly Styrene di X-Ray Spex, Siouxsie Sioux di Siouxsie and the Banshees e Pauline Black dei Selecter. Seconda foto, due anni prima, 1978, aeroporto di Heathrow, Johnny Rotten, al culmine della bruciante parabola dei Sex Pistols, cammina di fianco alla giornalista che di quel momento iconico è la migliore cronista: Vivien Goldman, che con i suoi pezzi consegna alla storia le gesta di tante effimere band sulle pagine di Sounds, New Musical Express e Melody Maker (tutte magnifiche testate, alcune delle quali nel frattempo passate a miglior vita).
Fine flashback. Oggi Vivien ha 66 anni, occupa una cattedra alla New York University, dove la chiamano la punk professor, e pubblica un libro che esce anche da noi: La Vendetta delle Punk, sottotitolo Una storia della musica femminista da Poly Styrene alle Pussy Riot (Vololibero), nel quale rievoca per filoni tematici il ruolo delle ragazze nella germinale esplosione del punk londinese e poi, col passare degli anni, la parte femminista che ha contribuito a plasmare lo spirito rivoluzionario di questo suono. Vivien Goldman è stata una pioniera della scena musicale trasgressiva fine anni Settanta a braccetto con una collega, Julie Burchill, che presto però ha imboccato una strada diversa, trasformandosi in una caposcuola del "me journalism" d’impronta sociologico-snob. Vivien invece è rimasta fedele ai primi amori e oggi torna a ragionarne con occhio adulto, immutato affetto e con una specie d’imperitura militanza, andando ben oltre Londra e documentando le provocazioni rock al femminile nel frattempo manifestatesi in luoghi inattesi, dalla Repubblica Ceca all’Indonesia.
Ma il primo amore non si scorda mai, e risalire allo spirito che animava le Slits, le Raincoats e lei stessa – allorché saltò la barricata e si mise alla prova come musicista – continua a rappresentare per lei una salvifica immersione in un radicalismo necessario: “Il punk era eccitante ed era facile da suonare”, le dice Gina Birch delle Raincoats, “perciò mi sono detta: eccomi, sono pronta”. Le fa eco Kate Korrs delle Mo-dettes, rievocando il giorno in cui Joe Strummer dei Clash le insegnò un paio d’accordi sulla chitarra: “Con questi puoi suonare qualsiasi cosa: fallo!”, e lei non si fece pregare. Era il gesto a essere necessario, più dell’oggettivo valore musicale. E poi, come scrive Goldman, “per le ragazze punk, ‘vendetta’ significava ottenere lo stesso accesso dei coetanei maschi al creare la propria musica, suonare e farsi ascoltare. Sembrerebbe naturale, ma come racconta questo libro, per le ragazze non è stato così”. Lei perciò torna a ispezionare questo squilibrio di genere, tracciando la nascita, l’ascesa e la portata globale dello she-punk e dimostrando l’importanza del fenomeno nella presa di coscienza collettiva.
Tutto comincia nel 1976, la notte in cui Vivien vede per la prima volta una ragazza calcare la ribalta di un concerto punk e capisce di dover scrivere sia di ciò che accade sopra che sotto il palco, testimoniando l’aria dei tempi. Già nel 1981, comunque, la Goldman volta pagina: lavora nell’ufficio stampa di Bob Marley, coltiva la sua passione per la reggae music e pubblica il primo singolo da solista, “Launderette”, prodotto da John Lydon, con Vicky Aspinall delle Raincoats al violino. “La musica è stata la mia compagna di ballo per tutta la vita”, scrive nell’introduzione. E quindi analizza, capitolo per capitolo, i diversi aspetti della vicenda: “L’identità femminile”, “Il Denaro”, “Amore/Non amore” nel quale abbina in modo bizzarro canzoni sulla lussuria e sulla violenza sessuale, raccontando un memorabile aneddoto su un incontro con Grace Jones, in lacrime nell’ascensore di un hotel, mortificata dall’amante Jean-Paul Goude: “Lui vuole sempre che io sia un animale”, singhiozza Grace. Ogni capitolo è corredato da una playlist Spotify, da ascoltare come compendio alla lettura, che è un po’ manifesto di liberazione, un po’ amarcord di tempi fantastici, un po’ rinfrancante testimonianza di un momento di libertà e pacifica anarchia.