lezioni di musica
Bill Frisell in concerto a Umbria Jazz. La chitarra si suona così
Il chitarrista americano ha suonato da giovedì a domenica al Teatro Mancinelli di Orvieto, per l'edizione invernale del festival. Se volessimo spiegare a un alieno come suonare la sei corde, questo è l'esempio giusto
Umbria Jazz Winter, edizione ventotto: i pomeriggi di giovedì, venerdì, sabato e domenica Bill Frisell ha suonato al Teatro Mancinelli di Orvieto, su Corso Cavour, in compagnia del fido contrabbassista Thomas Morgan e dell’Umbria Jazz Orchestra. Se c’è un buon motivo per vincere la paura del contagio, è un concerto come questo. Frisell è uno dei grandi chitarristi jazz in circolazione, ma sarebbe meglio dire uno dei più grandi chitarristi, punto. Ha esplorato stili e generi e collaborato con le personalità più diverse. Ha attraversato città e campagna: nato a Baltimora nel 1951, allievo di Jim Hall, negli anni 80 è a New York in compagnia di quel diavolo di John Zorn, avanguardia di sfida ai limiti delle possibilità compositive – e di ascolto. Roba acidissima, tagliente, e urbana. Poi gli anni 90 a Seattle e la riscoperta della tradizione musicale americana, country e bluegrass, il ritorno della luce e del calore.
Lo andiamo a sentire sabato primo dell’anno. Oggi Frisell è un signore che arriva sul palco e la prima cosa che fa, foglietto di appunti alla mano, è presentare i musicisti: l’orchestra di Umbria Jazz, sei ottoni, quattro tra legni e sax, e un violoncello. Li chiama tutti per nome, lascia il tempo di un applauso per ciascuno. Il tempo è il segno della musica di Frisell, quello lasciato tra una nota e l’altra, quello che è necessario prendersi per apprezzare ogni vibrazione. Il tempo scandito dagli arrangiamenti originali di Michael Gibbs, compositore che ha lavorato un po’ con tutti, da Jaco Pastorius a Whitney Houston. Avrebbe dovuto essere a Orvieto a condurre l’orchestra, non è riuscito a venire. Melodie e armonie semplici e raffinate, sognanti, il sassofonista Manuele Morbidini dirige i musicisti umbri e la chitarra di Frisell è libera di seguire il suo percorso.
Oggi, se volessimo spiegare a un alieno come si suona la chitarra, dovremmo indicargli Bill Frisell. Perché il suo stile è puro, c’è dentro un po’ di tutto, ma con moderazione, pochissimi effetti speciali. Tutto è misurato, accordi e scale si succedono perfettamente distinguibili. Se una frase improvvisata suona bene, la ripete. Perché no? Ogni volta che accende la distorsione, ogni volta che tocca la leva del vibrato, è come se dicesse: si fa così, guardate. E’ uno stile che dimostra alla perfezione la differenza abissale tra il facile e il semplice. Alla semplicità ci si arriva dopo un percorso, dopo aver imparato a togliere l’inessenziale, e farlo con la chitarra elettrica, strumento da virtuosi per eccellenza, è molto difficile. Gli altri musicisti lo sanno, nei momenti in cui l’orchestra si ferma per lasciare spazio all’improvvisazione di chitarra e contrabbasso soli, i componenti diventano parte del pubblico e ascoltano e imparano anche loro. A un certo punto un sassofonista si gira verso la platea, occhi sgranati e annuisce: sentite che roba. Alla fine del concerto, uscendo, Frisell abbraccia gli altri musicisti uno per uno.